Una credenza comune nell’opinione pubblica è che l’universo dell’omicidio seriale sia quasi esclusivamente popolato da maschi in qualità di assassini e dalle donne nel ruolo delle vittime predestinate.
Questa convinzione è perennemente diffusa e rinforzata dai mezzi d’informazione che, nei pochi casi in cui raccontano di una donna serial killer, lo fanno descrivendola come un’assoluta “rarità”.
Molti autori che si sono occupati a livello scientifico dell’omicidio seriale ritengono che le donne assassine seriali non esistano, partendo dalla definizione di serial killer come di colui che uccide sempre spinto da una pulsione sessuale.
I pochi studiosi che ammettono la presenza femminile fra gli autori di questo tipo di omicidio ne stimano una percentuale fra il 5 e il 10%.
L’immaginario comune ha opinioni abbastanza discordanti sulle origini e le cause del comportamento aggressivo delle donne e, se da un lato le donne continuano a essere considerate meno aggressive, più predisposte degli uomini alla socializzazione, più inclini all’altruismo e alla cura del prossimo, dall’altro lato sono in aumento le rappresentazioni di donne particolarmente violente che tendono a utilizzare di preferenza modalità di risposta aggressive nei rapporti sociali.
Da un punto di vista strettamente numerico, le donne serial killer sono molte di meno rispetto agli uomini, ma sono molto più pericolose dei “colleghi” maschi, in quanto possiedono una capacità di manipolazione notevolmente più sviluppata.
Oggi vi presentiamo 5 famose assassine seriali, vissute in diverse epoche storiche, e tutte accomunate dal fatto che sono riuscite a portare avanti con determinatezza, crudeltà e una pianificazione metodica, una catena di omicidi.
Curiosità: «la prima donna serial killer» fu Aileen Wuornos, la prostituta che all’inizio degli anni ’90 del xx secolo ha ucciso sette uomini.
1. Linda Burfield Hazzard (1868-1938)
Luogo omicidi: Stati Uniti - Minneapolis (Minnesota), Seattle (Washington)
Periodo omicidi: 1902-1923
Vittime: 14+, pazienti
È la primogenita di sette figli, la madre è anglo-canadese e il padre è americano, un veterano della guerra civile. I genitori sono vegetariani e questa pratica sarà successivamente incorporata dalla Hazzard nel regime dietetico proposto ai pazienti.
Nel 1886, appena compiuti 18 anni, si sposa con un uomo più grande di lei di quattordici anni e, nel 1889 e nel 1891, ha due figli.
La Hazzard è una donna molto ambiziosa e non ha nessuna intenzione di restare chiusa a casa a fare solo la moglie e la madre, così, nel 1898, lascia il marito e manda i figli a vivere con sua madre (otterrà il divorzio nel 1902, riprendendo il nome da ragazza, Burfield).
Sempre nel 1898, dopo aver studiato per un po’ di tempo la specializzazione in osteopatia come infermiera, svolge un breve tirocinio, si autodefinisce “dottoressa in osteopatia” e apre uno studio per occuparsi di terapia dimagrante.
Nel 1903, incontra e sposa quasi subito Sam Hazzard, che rimarrà il compagno fino al 1938, anno della sua morte. Linda Hazzard scrive molti libri che parlano del regime della dieta estrema, un metodo drastico di dimagrimento da lei inventato.
I primi pazienti che richiedono la sua consulenza sono soggetti con un diabete in fase avanzata, gravi degenerazioni epatiche, sifilitici e paralitici. Il primo decesso causato dalla “dieta estrema” avviene nel 1902.
Nel 1908, la Hazzard fonda una clinica interamente dedicata alla “terapia dell’affamamento” a Seattle e le morti iniziano a verificarsi in rapida successione. I pazienti muoiono letteralmente di fame e la Hazzard ruba i gioielli e i soldi delle vittime.
Col passare degli anni aumentano le denunce dei parenti delle vittime e la polizia decide di arrestarla. Il processo a suo carico viene celebrato nel 1912, ma viene assolta “per insufficienza di prove” e liberata dopo aver passato due anni in carcere.
Nel 1920, costruisce un’altra grande clinica a Minneapolis e continua a farsi chiamare “dottore” anche se le è stata revocata la licenza medica.
La Hazzard viene nuovamente arrestata nel 1923, ma è ancora scarcerata e, dopo questa data, non si hanno notizie certe di altri pazienti morti a seguito della “dieta estrema”.
Nel 1935, degli anonimi bruciano la sua clinica, dopodiché si perdono le sue tracce fino alla notizia della morte, avvenuta nel 1938. Il marito, Sam Hazzard, morirà otto anni dopo.
2. Enriqueta Marti (?-1912)
Luogo omicidi: Spagna - Barcellona.
Periodo omicidi: ?-1912.
Vittime: 10+, bambini di entrambi i sessi (prevalentemente di 7-8 anni).
Soprannominata la “Vampiressa di Barcellona”, Enriqueta Marti era una donna strana, misteriosa e poco socievole con gli estranei.
Di solito, andava in giro indossando abiti umili e poco appariscenti, ma, in alcune occasioni e soprattutto di sera, i vicini la vedevano uscire di casa con abiti sfarzosi, senza che fosse chiaro dove andasse.
In realtà, la Marti conduceva una doppia vita: di giorno, si comportava come una donna qualunque del quartiere popolare in cui abitava, mentre, di sera, frequentava persone eleganti dell’alta borghesia e personaggi importanti.
Le informazioni riguardanti la sua infanzia e la famiglia d’origine sono praticamente nulle, ma alcune persone che l’hanno conosciuta bene sostengono che, da ragazza, abbia fatto la prostituta per un certo periodo.
La Marti viene arrestata nel marzo 1912, dopo che una madre terrorizzata ha denunciato la scomparsa della figlia di 5 anni, avvenuta il 10 febbraio.
La polizia fa irruzione nel suo appartamento e trova due bambine tenute prigioniere, completamente nude, con i capelli rasati a zero e incatenate in una stanzetta.
In una perquisizione più accurata, gli agenti trovano un nascondiglio in una parete ed estraggono un sacco contenente una trentina di ossa umane appartenenti a maschietti e femminucce di 7 e 8 anni.
Le indagini appurarono che Enriqueta Marti era una specie di “strega” autodidatta che vendeva filtri e pozioni realizzate con pezzi di corpi di bambini di entrambi i sessi che rapiva per le strade della città.
Le due bambine sopravvissute raccontarono che la loro carceriera le obbligava a mangiare carne umana e preparava i loro pasti con i residui dei cadaveri di altri bambini.
Dopo aver rapito le piccole vittime, la Marti le uccideva, bolliva i cadaveri e li usava per preparare “pozioni d’amore” da vendere a prezzi esorbitanti.
Era coinvolta anche in un giro di prostituzione infantile nel quale aveva il compito di procacciare bambini piccoli da mettere a disposizione dei suoi amici importanti per orge e “sacrifici umani”; alcuni omicidi erano commessi al solo scopo di soddisfare il suo spiccato sadismo sessuale.
Il processo fu molto veloce e la Marti venne condannata a morte, ma, prima che la sentenza potesse essere applicata, la donna fu trovata misteriosamente morta nella sua cella, probabilmente avvelenata da quei personaggi importanti che avevano paura che lei parlasse e rivelasse i loro nomi.
Con la morte di Enriqueta Marti non è mai stato possibile fare luce completa sul caso.
3. Dorothea Montalvo Puente (1929-2011)
Luogo omicidi: Stati Uniti - Sacramento (California).
Periodo omicidi: 1986-1988.
Vittime: 9-25.
Dorothea Puente nasce in Messico nel 1929 e trascorre un’infanzia segnata dalla miseria e dall’abbandono. Quand’è ancora una neonata viene affidata a un orfanotrofio perché non c’è nessuno che si possa occupare di lei.
Quando compie 40 anni, si è già sposata quattro volte, ma ha avuto solo un figlio, una bambina che dà in adozione alla nascita perché è totalmente priva di istinto materno.
Nel 1982, all’età di 53 anni, la Puente viene arrestata e incriminata per rapina dopo aver vittimizzato una serie di uomini anziani incontrati nei bar o che aveva conosciuto tramite la presentazione di amici.
Il suo metodo consisteva nel drogare le bevande delle vittime e, quando queste erano prive di sensi, le derubava. Trascorsi due anni e mezzo in prigione, nel 1985 viene liberata.
Nel 1986, Dorothea Puente si trasferisce a Sacramento (California), affitta una casa e riesce a convincere un assistente sociale di essere in grado di prendersi cura di un certo numero di persone anziane e invalide che vivono di sussidio, affittando loro alcune stanze della casa a prezzi contenuti e fornendo dei pasti caldi.
Dopo aver ottenuto delle buone referenze, la Puente fa pubblicità alla sua “pensione” e i clienti non tardano ad arrivare. Nei due anni seguenti, dalla sua casa transitano almeno 19 persone e molte di queste spariscono nel nulla dopo essere entrate in contatto con lei.
Nell’estate del 1988, l’assistente sociale che l’aveva raccomandata si insospettisce per le numerose “sparizioni” registrate e i vicini della Puente segnalano alla polizia che, intorno alla casa, si sente spesso un fetore molto intenso.
A novembre, i poliziotti iniziano a scavare nel giardino della casa e trovano tre cadaveri in putrefazione. Prima di essere arrestata, la Puente scappa e gli ulteriori scavi della polizia scoprono un totale di 7 corpi, ma la stima delle persone scomparse, in 2 anni di attività della donna, è di 25, uccise allo scopo di impadronirsi degli assegni di sussidio e di ogni altro loro bene.
Il 17 novembre 1988, Dorothea Puente è localizzata a Los Angeles e arrestata mentre sta adescando un uomo in un bar. Nel 1992, la donna viene processata per 9 omicidi e il verdetto, nel 1993, è di colpevolezza per 3 omicidi e la condanna è all’ergastolo senza possibilità di libertà sulla parola.
Dorothea Puente muore (di morte naturale) il 27 marzo 2011, nel carcere femminile di Chowchilla, a San Francisco, all’età di 82 anni.
4. Margarita Sanchez (1953-?)
Luogo omicidi: Spagna - Hospitalet de Llobregat (Barcellona)
Periodo omicidi: 1992-1995
Vittime: 5+, miste (marito, vicini di casa, amiche, cognato)
Nasce a Malaga nel 1953 e il padre è un alcolizzato. Per difendersi dagli scoppi di violenza continui del genitore, Margarita si coalizza insieme alle due sorelle e si difendono a vicenda.
Negli anni, sviluppa un carattere particolarmente difficile anche a causa dei suoi difetti fisici, uno strabismo complicato da altri problemi visivi e problemi psicomotori che la fanno camminare con un’andatura ondeggiante e improvvisi cambi di direzione.
È analfabeta perché ha frequentato la scuola per pochissimo tempo, ma è dotata di un’intelligenza naturale. Diventata adulta, si sposa e ha due figli in rapida successione; con la primogenita in particolare, stabilisce un rapporto di simbiosi totale, mentre il figlio più piccolo ha gravi problemi cardiaci e viene sottoposto a diversi interventi chirurgici.
Anche il marito è un alcolizzato come il padre ed è un giocatore compulsivo, motivo per cui vivono costantemente alle soglie della miseria.
Nel 1983, la Sanchez e il marito sono costretti ad andare a vivere a casa della madre di lui che ha 72 anni, perché non riescono più a permettersi un appartamento per conto loro. Il marito è ubriaco quasi ogni giorno e inizia a picchiare la moglie e la figlia.
Margarita non reagisce e cade in uno stato di profonda depressione e apatia che la conduce a trascurare tanto i figli quanto l’andamento della casa. Sviluppa un comportamento da mitomane che la porta a dire qualunque bugia allo scopo di fare soldi ed è dotata di buone capacità verbali.
La gente che la frequenta la considera una donna poco amabile, avara e con una spiccata tendenza a insultare la gente. Anche intorno ai 40 anni, continua a vestirsi come una ragazzina senza tenere assolutamente in conto la sua età reale.
La Sanchez avvelena le proprie vittime per trarne un profitto economico. Si guadagna la confidenza delle vittime, introduce una sostanza venefica (utilizza un medicinale del marito contro l’alcolismo, somministrando una quantità eccessiva per raggiungere l’effetto letale) nelle loro bevande (caffè, coca cola o vino) e queste sono colpite da tachicardia e soffocamento.
Quando le vittime muoiono, le deruba senza scrupoli. In alcune occasioni, viene aiutata anche dalla figlia, che è arrestata nel 1997 perché sospettata di aver preparato un veleno per uccidere il padre di un’amica e rubarle il denaro.
Margarita Sanchez viene condannata a 24 anni di carcere per omicidio plurimo ed altri reati correlati.
5. Timea Faludi (1976-?)
Luogo omicidi: Ungheria - Budapest.
Data: 2000-2001.
Vittime: 40+, pazienti anziani.
È un’infermiera specializzata. Alcuni colleghi si accorgono che, durante i suoi turni di lavoro, il tasso di mortalità dei pazienti nel reparto aumenta in maniera eccessiva e segnalano la strana circostanza all’autorità giudiziaria.
Messa alle strette, la Faludi confessa di aver iniettato dosi mortali di medicine varie a una quarantina di pazienti anziani (la polizia sospetta che le vittime possano essere in numero superiore) tra maggio 2000 e febbraio 2001.
Prima dell’inizio delle indagini, molti cadaveri erano stati cremati, per cui non si è potuta fare l’autopsia e accertare le cause di morte. Nella confessione, dice di averlo fatto per alleviare le sofferenze dei malati terminali.
Nel processo, non si riesce a provare la responsabilità di Timea Faludi in tutti i decessi che le sono attribuiti e la corte la condanna a soli 9 anni di carcere e dichiara la sua interdizione perpetua dalla professione medica.