Spesso la storia sembra seguire un percorso suo e noi, semplici cittadini, ci sentiamo relegati a un ruolo marginale.
Eppure dietro a tutto ciò che succede ci sono sempre dei condottieri, che con il loro agire quotidiano forgiano la realtà.
Chi sono questi condottieri che hanno contribuito alla storia con genialità, coraggio e forza?
Alcuni di questi nomi sono molto noti in tutto il mondo (Napoleone Bonaparte, Alessandro Magno ecc.), altri sono molto meno conosciuti, ma non per questo meno importanti.
Qualcuno, addirittura, ci è sconosciuto.
Oggi abbiamo selezionato 5 grandi condottieri molto carismatici ma poco (o quasi) conosciuti che, attraverso le loro imprese militari, hanno segnato la storia contemporanea. Vediamoli insieme.
1. RALPH ABERCROMBY - Generale britannico (1734-1801)
Ralph Abercromby ridiede professionalità all’esercito britannico negli ultimi anni del diciottesimo secolo e addestrò ufficiali e soldati che avrebbero ottenuto la vittoria nelle Guerre Napoleoniche.
La sua audacia e integrità personale, insieme alla cura e l’affetto per i soldati semplici, lo resero caro alle truppe e alla popolazione civile.
Senza Abercromby, probabilmente l’esercito britannico non sarebbe stato in grado di sconfiggere i francesi e di rendere la Gran Bretagna la potenza militare dominante del diciannovesimo secolo.
Abercromby nacque il 7 ottobre 1734 a Menstry, in Scozia, in un’importante famiglia di proprietari terrieri. Frequentò la scuola di Rugby, poi studiò legge a Edimburgo e a Lipsia. Annoiato dalla professione legale, nel 1756 convinse il padre ad acquistare per lui una nomina a ufficiale nel Terzo Reggimento dei Dragoni Reali.
Due anni dopo, combattè la sua prima battaglia durante la Guerra dei Sette Anni, in Germania, dove prestò servizio fino alla fine della guerra, nel 1763, imparando molto sia dai propri comandanti sia dall’esercito prussiano, di cui ammirava la disciplina.
Dopo la firma del Trattato di Hubertusburg, Abercromby tornò in patria e fu chiamato in servizio in Irlanda. Nel 1773, in seguito a pressioni da parte della famiglia, lasciò l'esercito e si candidò al parlamento. Riuscì a conquistare un seggio, ma perse l’autorità politica in seguito all’appoggio dato al movimento indipendentista americano.
Anche se un fratello di Abercromby restò ucciso durante la Guerra d’indipendenza Americana e un altro fu decorato al valore, Ralph continuò a opporsi alla repressione inglese delle colonie.
Disgustato dalla politica, nel 1780 Abercromby si dimise dal Parlamento e rientrò nell’esercito, in tempo per prendere parte alla spedizione del Duca di York in Olanda. Nel 1793, con il grado di maggior generale, guidò una brigata nelle Fiandre contro i francesi, distinguendosi per il valore con cui diresse le sue truppe alle battaglie di Fumes e Valenciennes.
Quando l’armata britannica si ritirò dall’Olanda nell’inverno del 1794-95, Abercromby comandò la retroguardia. Fu uno dei pochi generati inglesi a uscire da quella campagna con la reputazione integra.
La sconfitta in America e la forzata ritirata dal continente europeo influirono in modo così negativo sul morale e sull’efficienza dell’esercito britannico che alcuni osservatori descrissero gli un tempo orgogliosi ufficiali delle “giubbe rosse” come “barbegrigie”, e i soldati come “giovanotti senza cervello”.
Per il resto della sua carriera, Abercromby si dedicò a reintrodurre la disciplina tra le schiere e a riportare la professionalità tra gli ufficiati. Nel 1795, Abercromby assunse il comando della Spedizione nelle Indie Occidentali e salpò alla volta dei Caraibi per conquistare le isole occupate dai francesi.
In una campagna durata due anni, Abercromby liberò i reparti inglesi assediati a St. Vincent, occupò Santa Lucia, Demerara e Trinidad e riorganizzò le difese inglesi di Grenada. Oltre a ottenere diverse vittorie militari, Abercromby ristabilì la disciplina tra i ranghi e destituì gli ufficiali disonesti e inefficienti.
Inoltre,
premiò le sue unità adottando leggere uniformi di cotone al posto delle tradizionali giubbe di lana. Promosse anche misure sanitarie e igieniche. Nel 1797, Abercromby comandò tutte le forze britanniche in Irlanda, nel 1799 prese parte alla campagna anglo-russa in Olanda.
Nel 1800 assunse il comando dei reparti britannici nel Mediterraneo e occupò Minorca. In seguito, dopo aver addestrato a fondo l’esercito nella messa a punto di manovre anfibie, sbarcò con quattordicimila fanti, mille cavalieri e seicento pezzi di artiglieria ad Abukir, nel Nord Africa, l’8 marzo 1801.
Fu la più efficiente operazione anfibia mai condotta fino ad allora. Il 21 marzo, le disciplinate truppe britanniche si scontrarono con un esercito francese fuori Alessandria e, malgrado la forza e la determinatezza dei nemici, ebbero il sopravvento.
Abercromby, che nonostante l’età avanzata e la vista indebolita guidava spesso le truppe dalla prima linea, si espose costantemente al fuoco nemico mentre incitava i suoi uomini. Verso la fine della battaglia ricevette una moschettata alla coscia, che portò a complicazioni da cui non riuscì a riprendersi.
Morì il 28 marzo 1801, all’età di sessantasei anni, a bordo della Nave di Sua Maestà Foudroyant, e fu sepolto a Malta.
Probabilmente l’episodio più rivelatore del carattere di Abercromby avvenne sul campo di battaglia, mentre gli venivano prestate le prime cure dopo aver ricevuto la ferita che si sarebbe dimostrata mortale. Chiese a un aiutante di campo: "Cosa mi avete messo sotto la testa?” Quando gli dissero che il cuscino era solo "la coperta di un soldato”, il vecchio generale ribattè, indignato: “Solo la coperta di un soldato? Sbrigatevi e restituitegliela immediatamente.”
Dovettero passare più di dieci anni dalla morte di Abercromby prima che l’esercito britannico riconoscesse pienamente il suo merito di aver trasformato un esercito corrotto, inefficiente e mal addestrato nell’armata che avrebbe sconfitto Napoleone a Waterloo.
Molti ufficiali inglesi che combatterono durante le Guerre Napoleoniche erano stati pupilli di Abercromby e avevano addestrato e disciplinato le loro schiere secondo gli standard stabiliti dal loro mentore.
Wellington vinse la battaglia di Waterloo con un esercito che Abercromby aveva fatto diventare - da un’accozzaglia di “barbegrigie” e “giovanotti senza cervello” - la forza militare più potente del mondo.
Durante la sua carriera, Abercromby usò l’intelligenza e l’intuito in una maniera insolita per gli ufficiali del tempo. La sua rettitudine gli guadagnò il rispetto dei superiori e il trattamento riservato ai subordinati gli conquistò l’affetto dei soldati.
Pur avendo prestato servizio a lungo e con onore in conflitti minori e scaramucce, Abercromby non ottenne mai la fama degli ufficiali che combatterono in tempi più “storici”.
Eppure, la sua dedizione e la professionalità che instillò nell'esercito britannico furono fondamentali per preparare la strada a Wellington e agli altri grandi condottieri britannici che si conquistarono un posto nella storia.
2. JEAN BAPTISTE VAQUETTE DE GRIBEAUVAL - Generale francese (1715-1789)
Jean de Gribeauval modernizzò e riorganizzò gli armamenti della Francia, dando origine a un secolo di predominio dell’artiglieria.
Le sue innovazioni nella standardizzazione dei calibri, nella compatibilità delle componenti dei cannoni e dei carri e nella mobilità fornirono linee guida tuttora valide.
Oltre a perfezionare gli armamenti, Gribeauval insegnò l’impiego tattico dell’artiglieria a diversi grandi capitani del periodo, incluso Napoleone I.
Gribeauval nacque da un magistrato il 17 settembre 1715 ad Amiens e si arruolò nell’artiglieria francese nel 1732. Tre anni dopo, si guadagnò una nomina a ufficiale e nei vent’anni che seguirono prestò servizio con diversi gradi all’interno dei reggimenti, studiando l’arte dell’artiglieria.
Allo scoppio della Guerra dei Sette Anni, Gribeauval, distaccato nell’esercito austriaco, combattè durante l'assedio di Glatz nel giugno-luglio 1760 e in seguito prese parte alla difesa di Schweidnitz. Fu promosso tenente feldmaresciallo e, prima della fine della guerra, comandava tutte le forze d’artiglieria austriache.
Al suo ritorno in Francia, nel 1764, Gribeauval divenne ispettore dell’artiglieria. L’anno seguente salì al grado di tenente generale ma, a causa della sua scarsa influenza a corte, dovettero passare ben dieci anni prima che Gribeauval venisse nominato ispettore capo dell’artiglieria.
Dopo più di quarant’anni di servizio come artigliere, Gribeauval si trovò finalmente nella posizione di introdurre i cambiamenti e le innovazioni che progettava da quando era un ufficiale subalterno.
Le basi delle riforme di Gribeauval consistevano nella standardizzazione dei calibri dei cannoni e nell’assegnazione di cannoni specifici a missioni specifiche. Prima di Gribeauval, gli eserciti ammassavano cannoni di tutte le dimensioni, pesi e mobilità per qualsiasi missione dovessero affrontare.
Gribeauval stabilì tre categorie di artiglieria: da campo, da assedio e da guarnigione. Limitò la produzione di cannoni ai pezzi da quattro, otto e dodici libbre e ridusse il peso generale dei cannoni a centocinquanta volte il peso dei proiettili.
Limitò i pezzi da otto e dodici libbre alle difese costiere e di guarnigione e agli assedi a lungo termine, e si concentrò sui pezzi da quattro - e, in seguito, da sei - libbre come principali cannoni d’artiglieria offensiva.
Gribeauval riconobbe che la più grande limitazione dell’artiglieria, particolarmente durante gli attacchi, era la scarsa mobilità, e introdusse modifiche che permisero ai pezzi d’artiglieria di avanzare al passo non solo con la fanteria, ma anche con la cavalleria.
A tale scopo, attaccò coppie di cavalli ad affusti a ruote più leggeri e meglio costruiti, dotati di scomparti per le palle e la polvere da sparo. Standardizzò le componenti degli affusti a ruote e i pezzi dei cannoni, rendendoli intercambiabili. Inoltre, aggiunse cassoni supplementari per il trasporto di munizioni, pezzi di ricambio e rifornimenti per gli artiglieri.
Per migliorare la precisione di tiro, Gribeauval insistette perché si svolgessero più controlli sulla qualità delle colate dei proiettili - in modo da ottenere pesi e misure uniformi - e sulla produzione della polvere da sparo. Cosa ancora più importante, inventò mirini e dispositivi di elevazione per facilitare il puntamento dei cannoni sull’obiettivo e permettere regolazioni accurate.
Inoltre, Gribeauval riorganizzò l’artiglieria in batterie di otto cannoni, in modo che gli artiglieri, i cavalli e i cannoni formassero una squadra vera e propria. Tali batterie autosufficienti si muovevano come unità e si esercitavano a far fuoco a raffica.
Gribeauval capì che la preparazione degli artiglieri era importante quanto i cannoni stessi, e rimpiazzò i tradizionali cocchieri e gli addetti ai cavalli civili con soldati regolari. Un rigido addestramento, che consisteva in ripetute esercitazioni e prove di fuoco in campo, trasformò gli addetti all’artiglieria in squadre efficienti.
Gribeauval fece pressioni anche per aumentare la paga e migliorare le condizioni di vita degli artiglieri, oltre che del resto dell’esercito. Gribeauval era convinto che, per impiegare l’artiglieria nel modo più vantaggioso possibile, i comandanti francesi dovessero capirne meglio le potenzialità e le limitazioni, dunque istituì corsi specializzati d’artiglieria per ufficiali.
Molti dei più grandi comandanti francesi, compreso Napoleone Bonaparte, furono addestrati da lui. Gribeauval continuò a prestare servizio alla Francia e a dedicarsi al perfezionamento dell’artiglieria fino alla morte, che lo colse a Parigi il 9 maggio 1789.
Gribeauval elevò l’artiglieria a uno status pari a quello della fanteria e della cavalleria, nella triade di forze militari di terra. Mentre lo svedese Gustavo Adolfo e il suo subordinato Lennart Torstensson stabilirono l’importanza dell’artiglieria, Gribeauval perfezionò le loro idee e integrò l’artiglieria nella guerra moderna.
Le innovazioni nell’equipaggiamento, l’attenzione data agli artiglieri arruolati e l’addestramento dei futuri grandi leader da parte di Gribeauval, fecero sì che la Francia dominasse il campo dell’artiglieria fino al diciannovesima secolo.
3. GIULIO DOUHET - Generale italiano (1869-1930)
L’ufficiale dell’esercito italiano Giulio Douhet fu tra i primi a formulare concetti sull’impiego bellico degli aerei, affermandosi come il primo grande teorico dell’aeronautica militare.
Douhet credeva che gli aerei fossero la più efficace arma offensiva, in grado di vincere le guerre distruggendo popolazioni, complessi industriali e centri di trasporto.
Nel suo libro Il Dominio dell’Aria, pubblicato nel 1921, Douhet presentò la prima teoria coerente sull’impiego bellico di velivoli.
Nato a Caserta il 30 maggio 1869, Douhet seguì la tradizione di famiglia frequentando l’accademia militare, dalla quale si diplomò, primo nella sua classe, nel 1892, guadagnandosi una nomina a ufficiale nell’artiglieria.
Agli inizi della carriera, Douhet si concentrò sulla meccanizzazione dell’esercito italiano e comandò un battaglione sperimentale in motocicletta. Nel 1909 conobbe l’americano Wilbur Wright, il pioniere dell’aviazione, durante una sua visita in Italia e divenne immediatamente un entusiasta sostenitore dell’aeronautica militare.
Durante la guerra italo-turca del 1911-12, Douhet fu alla testa del primo battaglione d’aviazione italiano - la prima unità di bombardamento aereo al mondo. In base alle sue esperienze, nel 1913 Douhet pubblicò il primo manuale di regole per combattimenti aerei, "Regole per l ’Uso di Aeroplani in Guerra".
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Douhet ricopriva il ruolo di capo di stato maggiore di una divisione di fanteria, ma ben presto divenne il capo della sezione aeronautica dell’esercito.
Propugnò bombardamenti a tappeto a largo raggio, ma non riuscì a fare progressi perché fu processato e condannato alla reclusione per aver criticato il modo di gestire la guerra dei superiori. Douhet approfittò del periodo di prigionia per affinare le sue teorie sull’aeronautica e continuare a scrivere.
Pochi mesi dopo la disastrosa disfatta dell’esercito italiano a Caporetto, nel novembre 1917 - sconfitta che confermò le critiche di Douhet alla leadership militare italiana - Douhet fu rilasciato, reintegrato e nominato capo del nuovo Ufficio Centrale dell’Aeronautica.
Nel 1921 Douhet pubblicò l'avveniristico Il Dominio dell’Aria e prestò servizio per un breve periodo sotto il governo fascista di Mussolini; nel 1922 si ritirò col grado di maggior generale. Morì a Roma il 15 febbraio 1930 all’età di sessantanni. In tutta la sua carriera, Douhet scrisse innumerevoli articoli e libri sul potenziale militare dell’aeronautica.
Tuttavia, la sua fama e la sua influenza derivano soprattutto dal Dominio dell’Aria, nel quale sosteneva che l’aereo fosse l’unica e la più perfetta arma da combattimento, propugnava la completa separazione dell’aeronautica dalla marina e dall’esercito di terra e invocava la costruzione di un “aereo da battaglia” che combinasse le prestazioni di un caccia e di un bombardiere.
Douhet nutriva un’enorme fiducia nell’aeronautica, al punto di proporre che le forze di terra e di mare fossero limitate alla difesa, lasciando all’aeronautica militare la conduzione di tutte le operazioni d’offensiva.
Sosteneva che soltanto gli aerei avrebbero potuto distruggere le unità di terra nemiche, gli allestimenti militari e le strutture industriali di supporto, stroncando la volontà di combattere dei civili.
Secondo Douhet, dei massicci attacchi aerei sarebbero bastati a ottenere la vittoria. Disse anche che l’aeronautica avrebbe “inflitto il danno maggiore nel periodo di tempo più breve possibile”.
Nei suoi scritti, Douhet sostenne i vantaggi di una struttura militare progettata intorno all’aeronautica anche dal punto di vista dei costi: immaginò di trasformare in aerei da combattimento dei velivoli di linea per il trasporto di merci e passeggeri, riconvertibili al loro impiego prebellico dopo la vittoria.
I piloti, opportunamente addestrati, sarebbero venuti dai ranghi delle compagnie aeree commerciali. Malgrado i suoi concetti visionari sul futuro dell’aeronautica, le idee di Douhet non ebbero una ripercussione immediata sull’esercito italiano.
L’economia italiana non era in grado di sostenere la costruzione e l’equipaggiamento di una flotta aerea delle dimensioni proposte da Douhet e Mussolini favoriva personalmente l’esercito di terra e la marina militare.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, le teorie di Douhet furono studiate e dibattute sia in Francia che in Germania, ma non furono messe in pratica da nessuna nazione.
Anche se una traduzione inglese di Il Dominio dell’Aria non apparve fino al 1942, il comandante dell’aeronautica britannica Hugh Trenchard e il sostenitore dell’aviazione americana Billy Mitchell conoscevano entrambi le opere di Douhet.
La Seconda Guerra Mondiale si dimostrò un laboratorio dove mettere alla prova le teorie di Douhet. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna portarono avanti una politica di bombardamenti strategici a tappeto, confermando l’importanza dell’aeronautica, tuttavia molte delle idee centrali di Douhet furono smentite.
Nessuno riuscì a progettare con successo un aereo in grado di compiere contemporaneamente missioni di bombardamento e combattimento, e le prolungate incursioni aeree non bastarono a stroncare la determinazione del nemico, o a ridurre in modo sostanziale le potenzialità di produzione bellica di un paese.
I conflitti posteriori alla Seconda Guerra Mondiale hanno continuato a dimostrare che la sola forza aerea non può sbaragliare l’avversario. Nessuna nazione, infatti, ha ancora vinto una guerra senza che la fanteria occupasse materialmente il territorio del nemico.
Gli scritti di Douhet non hanno però né l’impatto né la longevità delle opere di altri maestri dell’arte della guerra, come Sun Tzu, Karl Von Clausewitz, Antoine Henri Jomini o John Frederick Charles Fuller.
Eppure, anche se gran parte delle sue si dimostrarono inattuabili, Douhet fu il primo a immaginare - e descrivere nei suoi scritti - le possibilità dell’impiego militare dell’aeronautica. Scrisse: “Prepararsi alla guerra richiede l’esercizio dell’immaginazione”.
L’influenza di Douhet non deriva tanto dai contenuti teorici dei suoi libri quanto dall’intuizione - generazioni in anticipo - che, oltre alle forze di terra e di mare, i capi militari devono includere nella pianificazione della guerra le forze aeree.
4. ALEXANDER VASILIEVICH SUVOROV - Maresciallo russo (ca. 1729-1800)
Durante la sua lunga camera, Alexander Suvorov condusse le truppe russe alla vittoria sulla Polonia, la Turchia, la Francia, e sui ribelli del suo stesso paese.
Intelligente, coraggioso e tenace, Suvorov non perse mai una battaglia, pur costretto più volte ad affrontare contingenti nemici superiori.
Anche se fu frequentemente ostacolato da intrighi e gelosie all’interno della corte russa, le sue innovative operazioni offensive, che si valevano di lunghe e rapide marce e di attacchi a sorpresa portati avanti da un esercito perfettamente addestrato, gli conquistarono la duratura ammirazione del popolo russo.
Nel 1942 l'Unione Sovietica creò l’Ordine di Suvorov in onore del suo retaggio militare. Non si conoscono dettagli specifici sulla giovinezza di Suvorov. Nacque a Mosca o nella Finlandia orientale tra il 1725 e il 1730 (molto probabilmente nel 1729).
Anche se malaticcio, si arruolò nell’esercito russo intorno ai tredici anni e prestò servizio come militare di leva fino al 1754, quando si guadagnò una nomina a ufficiale - un’impresa in sé e per sé, in un’epoca in cui i ricchi e i potenti acquistavano le nomine per i figli al momento della nascita.
Suvorov prestò servizio come ufficiale subalterno nella Guerra dei Sette Anni contro i prussiani e il 12 agosto 1759 combattè la battaglia di Kunersdorf. Prima di prendere parte all’occupazione di Berlino, il 9 ottobre 1760, aveva già raggiunto il grado di colonnello grazie all’audacia personale e alla superiore attitudine al comando.
Nel 1762, Suvorov fu nominato comandante di reggimento e introdusse le tattiche e l’addestramento che avrebbero caratterizzato il resto della sua carriera. Semplificò le complesse esercitazioni e sottolineò l’importanza della resistenza fisica degli uomini per i movimenti rapidi.
Concesse ai comandanti subordinati l’autonomia di manovrare le loro unità e di sfruttare i vantaggi acquisiti. Suvorov, inoltre, che disdegnava la corrente “mentalità da assedio”, sosteneva la teoria che con un attacco immediato l’esercito avrebbe subito molte meno perdite rispetto a quelle causate dalle malattie durante un lungo assedio.
Propugnava violenti combattimenti corpo a corpo e affermava: “Il proiettile è uno sciocco, la baionetta un tipo raffinato.” Nell’aprile 1773, Suvorov mise alla prova i suoi metodi nell’attacco della Fortezza di Turtukai, all’inizio della Prima Guerra Russo-Turca.
Decorato al valore e promosso a tenente generale, l’anno seguente Suvorov sbaragliò la roccaforte turca di Kozludjii malgrado i nemici fossero cinque volte più numerosi dei suoi uomini.
Anche se la tattica di Suvorov provocava scontri sanguinosissimi, il morale tra le truppe era altissimo e i soldati stimavano molto il loro comandante. A sua volta, Suvorov garantiva che gli uomini ricevessero una paga puntuale e adeguata e le armi e i rifornimenti migliori disponibili al tempo.
La sua propensione a comandare le truppe dalle prime linee, a condividere con gli uomini i pericoli in campo di battaglia e a dimostrarsi umano nei loro confronti - al contrario dei tipici ufficiali dell’epoca - lo rese benvoluto tra i soldati.
Tornato in Russia dalla Turchia, Suvorov fece erigere una serie di installazioni militari, note come la Linea Kuban, per difendere i territori meridionali del paese. Nel 1783 sedò una rivolta in Crimea, in una campagna particolarmente sanguinosa durante la quale le sue truppe dimostrarono ben poca pietà per i connazionali ribelli.
Allo scoppio della Seconda Guerra Russo-Turca, nel 1787, Suvorov vinse la prima battaglia del conflitto a Kinbum. Nel luglio 1789 ottenne la vittoria di Focsoni e due mesi dopo sconfisse un esercito ottomano quattro volte più numeroso nella battaglia di Rymnik.
Ancora una volta, Suvorov fu decorato al valore, fu insignito con il titolo di “conte” e gli fu assegnato uno stemma che raffigurava un fulmine puntato contro una mezzaluna turca.
Nel dicembre 1790, il nuovo conte si dimostrò degno di tali riconoscimenti quando mosse contro le difese turche a Izmail. Suvorov coordinò un massiccio attacco appoggiato dal fuoco dei cannoni della flotta russa, infliggendo ai turchi una perdita di ventiseimila uomini.
La caduta di Izmail aprì la strada per il Danubio e per Costantinopoli. Anche se il trattato di pace fu firmato solo tre anni dopo, di fatto la battaglia di Izmail mise fine al conflitto.
Nel 1793 Suvorov guidò un esercito in Polonia - occupata dai russi - per sedare una rivolta di contadini. Il 10 ottobre 1794 sconfisse i ribelli alla battaglia di Maciejowice, due settimane dopo entrò a Varsavia. Caterina la Grande lo ricompensò con una promozione a feldmaresciallo e affidandogli il comando di un esercito ancora più vasto.
Nel 1795 Suvorov si ritirò in semipensionamento e pubblicò un libro in cui esponeva le sue idee sulla guerra, appropriatamente intitolato L ’Arte della Vittoria.
Due anni dopo, fu obbligato a ritirarsi completamente dal servizio e fu bandito dalla Russia quando Caterina la Grande morì e il suo successore, lo zar Paolo I, che diffidava dell’entourage di Caterina, sostituì tutti i comandanti dell’esercito.
Tuttavia, quando lo zar si alleò con l’Inghilterra e l’Austria contro Napoleone, nel 1798, capì che aveva bisogno di leader esperti e richiamò Suvorov in servizio, ripristinandone il grado e i privilegi.
Anche se si avvicinava ai settant’anni, Suvorov radunò e addestrò un esercito congiunto di russi e austriaci allo scopo di cacciare i francesi dall’Italia settentrionale. Nella primavera-estate del 1799 sconfisse i francesi a Cassano, a Trebbia e a Novi. Suvorov, destinato a non venire mai battuto, aveva vinto la sua ultima campagna.
Dopo una serie di battaglie in cui l’appoggio degli alleati austriaci si era dimostrato insufficiente, lo zar Paolo ordinò al suo comandante di tornare in patria e sciolse l’alleanza. Senza l’appoggio austriaco, Suvorov si fece strada combattendo verso nord e attraversò le Alpi.
Pur in condizioni di grande disagio, riuscì a riportare in patria un esercito quasi intatto. Malgrado l’esito positivo della ritirata in Russia, Suvorov non fu accolto come un eroe. Paolo non aveva più bisogno del vecchio guerriero e, sentendosi minacciato dalla sua popolarità, lo sollevò dal comando e lo privò dei gradi.
Il settantenne Suvorov, indebolito dall’età e dalla lunga campagna, morì pochi mesi dopo, a San Pietroburgo, il 18 maggio 1800. Secondo gli ordini dello zar Paolo, il vecchio comandante ebbe un funerale privato, senza onori di stato e senza la presenza dei suoi reggimenti.
Il periodo di disgrazia di Suvorov durò poco. Quando Paolo morì, il popolo russo diede libero sfogo all’ammirazione per il feldmaresciallo, attribuendogli alti onori e dimostrandogli una grande venerazione.
5. LENNART TORSTENSSON - Maresciallo svedese (1603-1651)
Lennart Torstensson, un subordinato del re svedese Gustavo Adolfo, divenne il più grande fautore dell’artiglieria dell’epoca.
Le riforme e innovazioni da lui introdotte gli fecero guadagnare il titolo di “Padre dell’Artiglieria da Campo” e il grado di feldmaresciallo.
Torstensson si dimostrò anche un abile organizzatore di tutte le risorse in combattimento e svolse un ruolo importante nell’ascesa della Svezia a potenza militare e nei successi del suo paese durante la Guerra dei Trent’Anni.
Torstensson, il figlio di un ufficiale dell’esercito svedese, nacque il 17 agosto 1603 a Torstena, nel Vastergòtland, e a quindici anni divenne un paggio del re Gustavo. Durante le campagne del 1621-23 accompagnò il re in Livonia, e qui ebbe modo di notare l’importanza data da Gustavo all’artiglieria.
Dal 1624 al 1626 Torstensson frequentò l’Accademia Militare Olandese fondata e diretta da Maurice di Nassau, dove ampliò le sue conoscenze nel campo dell’artiglieria.
Al suo ritorno in Svezia, Torstensson combattè nella battaglia di Wallhof, nel 1626, e nei tre anni successivi accompagnò l’esercito svedese nei panni di ufficiale d’artiglieria durante la campagna contro la Prussia.
Gustavo restò talmente colpito dall’operato dell’ex paggio che lo promosse colonnello all’età di ventisei anni e gli affidò il comando del primo reggimento del mondo costituito esclusivamente da pezzi d’artiglieria.
Nei tre anni che seguirono Torstensson si conquistò la fama di Padre dell’Artiglieria da Campo e, a soli ventisette anni, la promozione a generale. Nei decenni passati, Gustavo e Maurice di Nassau avevano fatto molto per modernizzare l’artiglieria, standardizzando i calibri e incrementando il numero di cannoni impegnati in campo di battaglia.
Torstensson perfezionò tali miglioramenti e si concentrò sull’aumento della mobilità e della potenza di fuoco, in modo da integrare meglio con i cannoni le operazioni di fanteria e cavalleria. Prima di Torstensson, l’innovazione più importante era stata l’introduzione di pezzi d’artiglieria leggeri, fatti di rame e con un rivestimento di cuoio.
Tali cannoni, che pesavano meno di cinquanta chilogrammi ciascuno, erano estremamente mobili, ma risultavano quasi tanto pericolosi per gli artiglieri quanto per i nemici. Lo strato interno di rame, infatti, tratteneva il calore e, dopo diversi tiri, tendeva a “surriscaldarsi”, sparando il proiettile prima del tempo o addirittura facendo esplodere l’intero pezzo.
Pur riconoscendo i vantaggi di tali cannoni facilmente trasportabili, Torstensson capì che erano troppo pericolosi per essere mantenuti. Nel 1631 contribuì allo sviluppo di un cannone di ghisa per rimpiazzare quello “di cuoio”.
Il nuovo cannone, che pesava centottanta chili, poteva essere trasportato da quattro uomini oppure da due cavalli e distaccato in unità di manovra di fanteria o cavalleria, pur restando permanentemente assegnato al reggimento d’artiglieria originario. In seguito, Torstensson si dedicò ad aumentare la potenza di fuoco di ogni cannone mettendo insieme la polvere da sparo e la palla dentro contenitori di legno sottile.
L’introduzione di tali “proiettili” velocizzava il caricamento e, combinata all’addestramento individuale e di gruppo degli artiglieri, fece avanzare l'artiglieria al punto che gli addetti ai pezzi riuscivano a caricare e sparare con i cannoni più velocemente di quanto i fanti potessero caricare e sparare con i loro moschetti.
La prima opportunità di impiegare in battaglia l’artiglieria da lui perfezionata si presentò a Torstensson il 17 settembre 1631, a Breitenfeld. Il combattimento iniziò con una raffica di colpi sparata da cento cannoni svedesi, e durante la battaglia che seguì, l’artiglieria di Torstensson sparò con una rapidità di tre volte superiore a quella del nemico.
Anche la mobilità dei cannoni svedesi fu determinante per accompagnare le forze di manovra e ottenere una vittoria decisiva. L’ufficiale svedese continuò a contribuire all’avanzata di Gustavo e svolse un ruolo fondamentale nell’attraversamento del fiume Lech nell’aprile 1632.
Naturalmente, da sola l’artiglieria non poteva vincere tutte le battaglie, e quando gli svedesi combattevano su terreno non adatto al supporto dei cannoni non erano sempre vittoriosi. Nel settembre 1632, Torstensson prese parte all’attacco contro le difese fortificate di Alte Veste, vicino a Norimberga.
Dato che il terreno limitava la mobilità dell’artiglieria, combattè personalmente al fianco di Adolfo, ma mentre il re e la maggior parte dell’artiglieria riuscirono a fuggire dopo la sconfitta, Torstensson fu preso prigioniero.
Dopo un anno, Torstensson tornò in Svezia in uno scambio di prigionieri. Durante la sua assenza Gustavo era stato ucciso in battaglia e Johan Banèr aveva assunto la guida dell’esercito svedese. Torstensson si unì a Banèr come capo di stato maggiore e continuò a dirigere le operazioni dell’artiglieria svedese durante la vittoria di Wittstock, nel 1636.
Tuttavia, la campagna in Germania si trascinò per altri cinque anni, senza che il demoralizzato esercito svedese riuscisse a conseguire una vittoria totale. Quando Banèr morì, nel 1641, Torstensson, benché sofferente di gotta, accettò con riluttanza il comando dell’esercito in campo e cominciò immediatamente a re-imporre la disciplina e risollevare il morale tra gli uomini.
Un anno dopo, Torstensson ottenne una vittoria significativa a Lipsia - in una battaglia in cui i suoi vecchi reggimenti di artiglieria svolsero un ruolo fondamentale - e prima della fine del 1642 invase tutta la Sassonia.
Nel 1643, Torstensson proseguì l’offensiva in Boemia e in Moravia, senza incontrare particolare resistenza, e nel 1644 mosse contro i danesi. Gli svedesi respinsero l’esercito danese in Boemia e poi sconfissero dei reparti bavaresi venuti in loro aiuto.
Il 5 marzo 1645, a Jankau, Torstensson ottenne la sua ultima grande vittoria sconfiggendo i bavaresi grazie a una rapida manovra dell’artiglieria. Poco dopo Jankau, Torstensson abbandonò il comando per motivi di salute. Tornato in Svezia, occupò diverse cariche politiche.
Morì a Stoccolma il 7 aprile 1651 all’età di quarantasette anni. La fama di Torstensson è messa in ombra da quella di Gustavo, ma il Padre dell’Artiglieria si dimostrò un maestro nelle innovazioni nel campo delle armi e un eccezionale tattico e stratega nella disposizione e nell’impiego delle unità d’artiglieria.
La sua influenza immediata risiede nell’aver ottenuto le vittorie che, durante la Guerra dei Trent’Anni, elevarono la Svezia a grande potenza militare europea.