È una vittoria di Pirro! Lo diciamo per indicare un faticoso trionfo.
Sapevate che questa espressione trae origine dalla vittoria che Pirro, re dell’Epiro, ebbe sui Romani?
Molti dei modi di dire più usati oggi sono nati a partire da una battaglia, un personaggio o un evento che hanno cambiato così a fondo la storia da modificare persino il modo in cui parliamo.
Ecco 5 modi di dire entrati nel nostro linguaggio di tutti i giorni.
1. "È una vittoria di Pirro"
Che cosa significa: una vittoria da cui il vincitore esce a pezzi o comunque molto male.
L’origine storica: Pirro fu re dell’Epiro (una regione oggi suddivisa tra Grecia, Albania e Macedonia del Nord) nel 306-300 a.C. e poi, ancora, nel 298-272 a.C.
Nel 281 a.C. inviò un proprio generale e circa tremila soldati a Taranto, l’anno successivo sbarcò in Italia con 20mila fanti, 5.500 tra cavalieri, arcieri e frombolieri e 20 elefanti da guerra: lo scontro con Roma divenne inevitabile.
Nel 280, Pirro sconfisse i Romani a Eraclea, si riposò, arruolò alcuni Sanniti e Tarantini per far fronte alle perdite subite e l’anno dopo affrontò di nuovo i Romani presso Ascoli Satriano (nell’odierna provincia di Foggia).
La battaglia fu cruenta: Roma schierò 8 legioni per un totale di 40mila uomini, altrettanti erano a disposizione di Pirro; i suoi fanti erano decisamente inferiori per abilità ai legionari romani, la sua cavalleria era superiore.
Tecnicamente la vittoria andò agli Epiroti che tuttavia non solo fecero molta fatica a calmare gli elefanti impazziti per le ferite, ma persero così tanti uomini da non poter più proseguire la guerra contro Roma.
Secondo lo storico Plutarco, lo stesso Pirro avrebbe dichiarato alla fine della battaglia: «Un’altra vittoria così sui Romani e sarò perduto».
L’ultimo scontro si ebbe nel 275 a.C.: i Romani attaccarono l’esercito di Pirro, stanco e decimato, presso la città sannitica di Maloenton, detta in latino Maleventum.
Anche in questo caso, lo scontro ebbe un esito incerto, ma Pirro capì che era giunto il momento di tornare a casa propria. In ricordo dell’evento e a memoria della propria tenacia, i Romani trasformarono il nome di Maleventum in Beneventum (l’odierna Benevento).
2. "Perdere la Trebisonda"
Che cosa significa: perdere la testa o il controllo, rimanere confusi.
L’origine storica: Trebisonda è il nome italianizzato della città turca di Trabzon o Trebizond, affacciata sulla costa nord-orientale del Mar Nero.
Fondata dai Greci di Mileto nell’VIII secolo a.C. con il nome di Trapezunte, nel I secolo a.C. la città divenne un importante porto commerciale sotto il dominio dei Romani e grazie alla sua posizione strategica, a metà strada sulle rotte navali tra Oriente e Occidente, restò un centro di notevole importanza per tutta l’antichità.
Dopo la quarta crociata, nel 1204, divenne la capitale dell’Impero di Trebisonda e tale rimase sino al 1461, quando cadde nelle mani dei turchi guidati da Mehmet II “Il Conquistatore”, il settimo sultano dell’Impero ottomano che qualche anno prima (nel 1453) aveva conquistato Costantinopoli, segnando così la fine dell’Impero bizantino.
Secondo alcuni studiosi, la conquista ottomana delle due città sollevò profonda impressione nell’Europa cristiana del tempo ed ebbe gravi ripercussioni anche sul piano economico.
L’espressione “perdere la Trebisonda” sarebbe nata nell’Italia del Cinquecento proprio a sancire l’incertezza e la confusione generate dalla perdita del porto e dal suo passaggio nelle mani dei Turchi.
Non tutti gli studiosi sono però d’accordo: secondo alcuni storici della lingua italiana, l’espressione sarebbe nata in tempi ancora precedenti: nell’antichità e nel Medioevo, il porto di Trebisonda era dotato di un potente faro che segnalava la rotta corretta a tutte le navi mercantili in tragitto sul Mar Nero.
Nessun navigante avrebbe voluto perdere la rotta per Trebisonda o il segnale del suo faro perché in quelle acque infestate dai pirati ciò avrebbe significato perdere la vita e l’intero carico.
Nella foto sotto, Tresibonda. La città fondata dai Greci, passata ai Romani e infine conquistata dai Turchi nel 1461.
3. “È un ambaradan”
Che cosa significa: una gran confusione, un vero guazzabuglio.
L’origine storica: ambaradan deriva da Amba Aradam. Amba è il termine generico con cui si indicano gli altopiani dell’Etiopia e Amba Aradam è il nome con cui è conosciuto un massiccio situato a sud di Macallè e a nord di Addis Abeba, nella zona di Debra Behan.
Qui nel 1936 avvenne una cruenta battaglia tra gli italiani e gli etiopi, nel corso della cosiddetta Guerra d’Etiopia o d’Abissinia, il conflitto coloniale che l’Italia di Mussolini combatté contro l’Etiopia tra l’ottobre 1935 e il maggio 1936 e che si concluse con la conquista dell’intero territorio etiope e l’assunzione della corona imperiale da parte del re d’Italia Vittorio Emanuele III.
La battaglia di Amba Aradam si svolse tra il 10 e il 19 febbraio 1936 e oppose 70mila soldati italiani comandati dal generale Pietro Badoglio a 80mila uomini male equipaggiati del ras Mulugeta Yeggazu.
Oggi l’espressione “ambaradan” sembra alludere a un allegro caos ma la battaglia di Amba Aradam e le sue conseguenze furono davvero tragiche; gli storici, in particolare, hanno parlato di «una delle nostre vergogne nascoste».
Dopo la battaglia, vinta dagli italiani, i partigiani etiopi si rifugiarono con tutte le loro famiglie nelle grotte di Amaneza Washa, sull’altopiano di Aradam.
Dietro ordine esplicito di Mussolini, Badoglio iniziò a stanare i ribelli; poiché però il compito risultò più difficile del previsto, il 9 aprile 1936 fu fatto intervenire il cosiddetto “plotone chimico”.
Le grotte vennero bombardate con bombe d’arsina, un gas tossico, e irrorate con iprite, un agente chimico che provoca vesciche e, se respirata, una terribile agonia.
Nonostante l’Italia avesse firmato il bando internazionale delle armi chimiche, Mussolini diede l’ordine di utilizzarle senza alcuna esitazione. Migliaia di etiopi, uomini, donne e bambini, morirono nelle grotte dell’altipiano e questo non fu un caso isolato. Nella guerra coloniale, l’Italia purtroppo fece ampio ricorso a questo genere di armi sporche.
Nella foto sotto, mitraglieri Alpini nel 1936 sull’altopiano etiope di Aradam dove il generale Badoglio sterminò i partigiani etiopi con l’uso di armi chimiche.
4. “È un quarantotto”
Che cosa significa: insieme disordinato di eventi, una situazione confusa, instabile, di grande scompiglio.
L’origine storica: il “quarantotto” è il 1848, l’anno della cosiddetta “Primavera dei popoli”, caratterizzata da moti, sommosse e rivoluzioni in gran parte d’Europa.
Il 12 gennaio scoppia la rivoluzione in Sicilia contro i Borbone, sotto la guida di Rosolino Pilo; alla fine di marzo viene proclamato il nuovo Stato di Sicilia.
Il 22 febbraio scoppia la rivoluzione a Parigi: il re Luigi Filippo è costretto ad abdicare e a fuggire, e inizia così l’esperienza della Seconda Repubblica.
Il 15 marzo, a Budapest, si accende una rivolta antiasburgica che coinvolgerà l’intera Ungheria e porterà alla dichiarazione d’indipendenza del popolo magiaro.
Il 17 marzo Venezia insorge contro il governo austriaco: si instaura la Repubblica di San Marco che durerà poco più di un anno. Negli stessi mesi, i militari polacchi del Granducato di Poznan si ribellano alle forze occupanti prussiane.
Tra il 18 e il 22 marzo, a Milano, la capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte integrante dell’Impero austro-ungarico, scoppiano violenti moti popolari, passati alla storia come “le cinque giornate”.
Il 23 marzo, infine, viene proclamata la I Guerra d’Indipendenza: il re di Sardegna Carlo Alberto dichiara guerra agli Austriaci. La perderà, tuttavia nulla nella penisola italiana sarà più lo stesso: a poco a poco, cambieranno la nostra storia, la nostra geografia e alla fine anche la nostra lingua.
5. “È una Caporetto”
Che cosa significa: l’espressione si usa per designare una pesante sconfitta o un disastroso fallimento.
L’origine storica: Caporetto è il nome italiano di Kobarid, un piccolo centro oggi in Slovenia ma in passato incluso nella provincia di Gorizia, presso cui gli italiani subirono la più cocente sconfitta di tutta la Grande Guerra.
La rotta di Caporetto iniziò tra il 23 e il 24 ottobre 1917, in una notte nebbiosa, fredda, battuta dalla pioggia e con scarsa visibilità.
Alla XIV Armata, sotto il comando del generale tedesco Otto von Below, formata da 8 divisioni austriache e 7 tedesche, si contrapponeva la II Armata del generale Luigi Capello, il conquistatore di Gorizia, agli ordini diretti del generale Luigi Cadorna.
Alle due di notte, iniziarono i tiri d’artiglieria degli austriaci e dei tedeschi lungo l’intero fronte; alle 7,30 entrarono in azione i lanciamine e i lanciagas.
Si preparava così l’offensiva della fanteria: alle 8, le truppe d’assalto austro-tedesche si scatenarono lungo un fronte di 32 km tra Plezzo e Tolmino, sfondando l’ala sinistra del 27° Corpo d’Armata italiano e l’ala destra del 4° Corpo d’Armata tra Tolmino e Caporetto.
Alle 9 di sera del 24 ottobre, il generale Cadorna cominciò a rendersi conto della portata del disastro e ordinò la ritirata. L’esercito austro-tedesco avanzò per 150 km in direzione della pianura veneta: in 4 giorni, raggiunse Udine.
Il 4 novembre, il generale Cadorna ordinò la ritirata sulla linea del Piave, ultima barriera da difendere a ogni costo per non perdere l’intera pianura veneta, ma il 9 dello stesso mese fu sostituito dal generale Armando Diaz.
La disfatta di Caporetto e lo sfondamento dell’intero fronte costarono agli italiani 11mila morti, 19mila feriti, 300mila prigionieri.
Nella foto sotto la battaglia. Il 24 ottobre 1917 a Caporetto l’esercito italiano subì la sconfitta più significativa della guerra. Dopo la battaglia, costata più di 10mila morti, il generale Cadorna fu sostituito dal vittorioso Armando Diaz.