Una mostra a Milano s’interroga sull’“abitare contemporaneo”.
Il progetto espositivo rappresenta un intreccio di domande sui luoghi del nostro vivere e racconta l’abitazione come non l’abbiamo mai vista prima.
La mostra costituisce una grande indagine sul concetto di casa, di abitare, di senso di dimora, a cavallo tra il mondo fisico e quello digitale.
È un viaggio attraverso i nuovi immaginari che trasformano le nostre esistenze.
Una mostra inedita, ampia, collaborativa e mutante, che evolve in funzione del tempo e dello spazio.
Abbiamo selezionato le risposte principali di innovatori, scienziati e (naturalmente) architetti! Leggiamole insieme.
1. LUCE ARTIFICIALE O NATURALE?
Lo suggerisce il buon senso, lo confermano le ricerche scientifiche.
La luce naturale fa bene all’umore, migliora il sistema immunitario, aumenta la capacità di concentrarsi e di mantenere alta l’attenzione.
E dove il Sole “vero” non arriva, ovvero in stanze chiuse, in locali sotterranei o semplicemente in ambienti esposti in modo infelice, oggi se ne possono riprodurre almeno gli effetti.
Un team di ricercatori dell’Università Insubria di Como, infatti, ha inventato un sistema di illuminazione a pannelli (Coelux) che imita i fenomeni ottici dell’atmosfera terrestre (foto).
Ogni pannello, grazie a led e nanoparticelle, si trasforma in una finestra virtuale che illumina l’ambiente con la naturalezza della luce solare: stesso colore, stesse ombre e persino stesso cielo azzurro.
Gli effetti su chi lo prova? Benessere, ma non solo: «Durante test psicologici», spiega Paolo Di Trapani, fisico e coordinatore del progetto, «Coelux ha dimostrato di indurre una sensazione di sollievo persino in chi soffre di claustrofobia».
Tra le varie versioni disponibili, c’è anche quella notturna, Coelux Moon, che riproduce la luce lunare.
2. DOVE STAI E PER QUANTO TEMPO?
Si fa presto a dire “abito in questa casa”.
Ma quanto tempo passiamo in ogni ambiente? Come occupiamo gli spazi?
Se lo sono chiesto gli studenti del corso di Design degli Interni del Politecnico di Milano: nella mostra in corso alla Triennale, hanno realizzato un laboratorio che mette in discussione le nostre case.
Nella loro indagine, hanno preso nota del tempo trascorso da ciascuno, in una giornata, nelle stanze della propria abitazione, riportando i risultati in un “cronòtopo”, una coppia di anelli che rappresentano il giorno e la notte.
Attorno a questi anelli sono avvolti nastri di diversi colori (che rappresentano gli ambienti: verde per la cucina, giallo per il soggiorno, bianco per il bagno ecc.), con lunghezze proporzionali al tempo trascorso nelle stanze.
Risultato? I cronòtopi ottenuti dimostrano in modo inequivocabile che oggi gli ambienti sono mal ripartiti: le stanze più ampie sono le meno “abitate” (per esempio, la camera dei genitori) mentre le più frequentate le camerette dei bambini) sono in genere le più piccole.
3. COME SCEGLI I COLORI E QUANTI MATERIALI CHE SI BUTTANO RIENTRANO SOTTO NUOVE FORME?
- COME SCEGLI I COLORI?
Prima di analizzare gli (eventuali) effetti dei colori sul nostro umore, vale la pena riflettere sul modo in cui il cervello crea, in ognuno di noi, la percezione stessa del colore:
«È un meccanismo complesso e soggettivo», spiega Luca Ticini, docente di Neuroscienze Cognitive all’Università di Manchester (Gb), «basato sull’accostamento tra ciò che osserviamo e ciò che lo circonda».
A proposito di effetti: c’è chi sostiene, per esempio, che pareti dipinte di rosso migliorino l’umore di chi le osserva, mentre una stanza dove domina il blu allenti la tensione muscolare.
«Alcuni teorici hanno studiato queste interazioni», spiega Ticini, «ma i risultati sono ancora inconcludenti. Questo non significa che una buona scelta di colori non possa favorire l’umore o la creatività. Ma si tratta di effetti psicologici che variano in ognuno di noi», conclude, «e dipendono da fattori emotivi e culturali».
In altre parole, il criterio migliore per scegliere i colori di un’abitazione è il gusto personale: le tonalità giuste sono quelle che ci piacciono e ci fanno stare bene.
- QUANTI MATERIALI CHE SI BUTTANO RIENTRANO SOTTO NUOVE FORME?
Noi italiani consumiamo ogni anno (in media) ben 6 kg di caffè a testa. E nell'immondizia buttiamo circa 360mila tonnellate di fondi di caffè.
A partire proprio dagli scarti che raccogliamo dalla macchinetta, Material Connexion, un centro di ricerca sui materiali innovativi e sostenibili, ha creato Ex-Novo, una nuova linea di pannelli, piastrelle e mosaici da impiegare nel campo dell'edilizia.
Non è l'unico materiale che, buttato nel cassonetto, finisce per rientrare in casa sotto altre vesti: alla mostra in corso a Milano, infatti.
Material Connexion ha presentato anche il Biobased - un materiale di origine vegetale (deriva infatti da semi oleosi, zuccheri e residui agricoli) ideale per realizzare prodotti usa e getta (per esempio le posate) - e i Neo-classici, ricavati dalla plastica di bottiglie e flaconi, che possono essere riusati per produrre moquette, maglioni e felpe in pile.
Tre materiali che vogliono affermare la necessità del passaggio da un'economia lineare (che segue una logica del tipo “produco, consumo, dismetto”) a una definita circolare (cioè che mira a “rigenerarsi” valorizzando i rifiuti).
Nella foto sotto, Bioleather, “pelle” vegetale, prodotta in Thailandia a partire dalle secrezioni da parte di batteri. La membrana così ottenuta viene poi rivestita e impermeabilizzata con paraffina, un trattamento simile a quello usato per i tessuti di cotone cerato. Si presenta come un foglio traslucido, flessibile e resistente, lavorabile come un pellame.
4. SAI, CHE CON L’ACUSTICA SI PUÒ ARREDARE?
Nelle nostre case spesso c'è un problema al quale non diamo molto peso, ma di cui tutti (o quasi) avvertiamo gli effetti: il riverbero.
È un fenomeno acustico che fa sì che, in una stanza, un suono resti “sospeso” per un certo tempo anziché decadere in modo secco. In un soggiorno con molto riverbero, per esempio, si fa fatica a comprendere l'audio di una tv o a capire le parole di una persona che parla a qualche metro.
Per rendere gli ambienti più confortevoli anche per le orecchie, l'azienda milanese Caimi Brevetti ha sviluppato Snowsound, una tecnologia che “cancella” i suoni di certe frequenze, contrastando l'effetto riverberante di materiali da costruzione come marmo, vetro e cemento.
Si tratta di pannelli in poliestere (foto sotto), di densità variabili, che interagiscono con l'aria circostante e si comportano come spugne sonore, assorbendo le frequenze fastidiose.
Secondo alcuni chef ne può giovare persino l'esperienza a tavola: se si addenta, per dire, una foglia di insalata croccante o un grissino in un ambiente acusticamente “corretto”, se ne percepisce il piacere in modo più pieno e completo, non solo attraverso il senso del gusto, ma anche con l'udito.
5. QUANDO TI SENTI DAVVERO A CASA TUA E PUOI PRODURRE TU IL CIBO CHE CONSUMI?
- QUANDO TI SENTI DAVVERO A CASA TUA?
Per qualcuno “casa” è quel posto dove entri e lo smartphone si aggancia alla rete wi-fi al volo, in automatico.
Per altri è dove gli ambienti sono talmente familiari che ci si può muovere con sicurezza anche al buio, senza dover accendere la luce.
«A me invece basta vedere una copia della Gazzetta dello Sport o del Corriere della Sera per sentirmi a casa, anche in un bar di Tokyo o di New York», rivela Stefano Mirti, architetto e curatore di “999. Collezione di domande sull'abitare contemporaneo”, la mostra, visitabile fino al 2 aprile 2018 alla Triennale di Milano, da cui sono tratte le domande di questo articolo.
Di una cosa soprattutto Mirti è convinto: delle case, oggi, non sta cambiando tanto l'architettura, quanto il modo in cui abbiamo imparato ad abitarle.
«In questo giocano un ruolo chiave le tecnologie digitali», spiega.
«Pensate a quanto sia diventato normale, oggi, proporre o prendere in affitto una casa, sfruttando lo smartphone, su Airbnb oppure ordinare la cena su Amazon. Fino a pochi decenni fa tutto questo non sarebbe stato immaginabile. Questo accade»,conclude l’architetto, «perché il futuro è già qui, solo che non si è ancora svelato del tutto».
- PUOI PRODURRE TU IL CIBO CHE CONSUMI?
Una risposta (affermativa) viene da Robonica (foto), una giovane società che, nella mostra in Triennale, ha installato Linfa, una mini serra hi-tech che dovrebbe consentire di piantare e, si spera, di raccogliere frutta, verdura, piante aromatiche e medicinali, peperoncino ecc. nel comodo delle nostre abitazioni.
Linfa sfrutta una tecnica inventata 150 anni fa (la coltivazione idroponica: con una soluzione acquosa di sali nutrizionali al posto del terreno) abbinata alle odierne tecnologie digitali.
Come funziona? Si mettono i semi (contenuti in cialde che si ordinano con una app) nella serra e questa, dopo aver riconosciuto di che pianta si tratti (come faccia, l’inventore non vuole rivelarlo!), regola in automatico i “parametri vitali”: l'illuminazione (attraverso led che simulano la luce solare), la temperatura, la quantità di acqua fornita dall'impianto di drenaggio...
L'obiettivo è stimolare nuovi modi di pensare l'alimentazione, basati su uno sfruttamento delle risorse più razionale.
Se poi Linfa sia davvero anche la soluzione per produrre in casa il cibo che consumiamo, questo lo scopriremo solo col tempo.