Uno sparo, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, provocò 16 milioni di morti. Era quello dell’attentato all’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, in seguito al quale scoppiò la Prima guerra mondiale. Quel colpo di pistola, fu il casus belli, la causa della guerra.
Tucidide già 2.400 anni fa scrisse che la scintilla che fa scoppiare una guerra è spesso marginale rispetto alle sue cause profonde.
Il casus belli è, infatti, quasi sempre un pretesto che scatena in un preciso momento tensioni accumulate magari per anni.
E non è nemmeno raro che per giustificare l’entrata in guerra di fronte all’opinione pubblica, gli Stati approfittino di eventi del tutto casuali o anche di pretesti costruiti ad hoc.
Un esempio? Bismarck, primo ministro di Prussia dal 1862 al 1890, per far scoppiare la Guerra franco-prussiana nel 1870 modificò un telegramma inviato dal Kaiser a Napoleone III.
Nella Storia, comunque, ci sono stati casus belli decisamente più curiosi.
1. Giù le mani dai campi sacri di Delfi! (592 a.C.) e l’invasione dei Galli in Italia per un bicchier di vino(390 a.C.)
- Giù le mani dai campi sacri di Delfi! (592 a.C.)
Coltivare la terra sacra di Delfi e taglieggiare i pellegrini non era un buon modo per farsi amico Apollo.
E il potente santuario greco rispose a queste angherìe, subite a opera dei cittadini di Crisa, scatenando una guerra santa.
In soccorso dell’oracolo si formò una delle prime alleanze panelleniche, che per 10 anni si impegnò nella Prima guerra sacra (“guerre sacre” per i Greci erano appunto quelle a tutela di Apollo Delfico).
Dalla piana di Cirra, affacciata sul Golfo di Corinto, la città di Crisa controllava l’accesso dal mare al santuario e alle sue ingenti risorse.
Inoltre, usurpava i terreni agricoli del tempio e chiedeva dazi ai pellegrini, imponendo la sua autorità sul luogo più sacro di Grecia.
Ma Crisa era a sua volta un porto strategico, quindi un rivale da liquidare (al di là di ogni pretesto “sacro”) per le altre città. L’alleanza di ateniesi e tessali portò all’assedio della polis sacrilega, di cui furono avvelenati i pozzi con l’elleboro (una pianta tossica).
Fu un massacro, e la città di Crisa fu rasa al suolo. Da allora si vietò di coltivare le terre del santuario.
- L’invasione dei Galli in Italia per un bicchier di vino(390 a.C.)
Secondo Plutarco fu il desiderio di vino, che una volta assaggiato li aveva resi folli, la ragione della feroce guerra dichiarata dai Celti a Etruschi e Romani, che si concluse con il sacco di Roma nel 390 a.C. da parte di Brenno.
La vicenda è citata anche da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, che però al vino aggiunge anche altri prodotti: “Si dice che i Galli [...] ebbero come primo motivo del loro riversarsi in Italia il fatto che l’elvetico Elicone, cittadino delle Gallie, dopo aver soggiornato a Roma come fabbro, aveva portato con sé, ritornando in patria, dei fichi secchi, dell’uva, dei campioni di olio e di vino”. Prodotti che evidentemente piacquero molto.
Valicata la catena montuosa, invasa la Pianura padana, sconfitti gli Etruschi sul Ticino, i Galli continuarono la loro pressione sulla Toscana, assediando Chiusi.
Qui un altro casus belli fu fatale per Roma: i tre ambasciatori romani mandati per mediare tra i belligeranti non riuscirono a sottrarsi al fascino del combattimento, e affrontarono il nemico.
Il diplomatico Quinto Fabio Arbusto riuscì persino a uccidere un capo dei Galli. I quali per vendicarlo lasciarono Chiusi e si diressero a Roma, mettendola a ferro e fuoco.
2. Chioggia: questione di precedenza (1378) e il mancato saluto che scatenò la Prima guerra anglo-olandese (1652)
- Chioggia: questione di precedenza (1378)
Scoppiò a Cipro la scintilla che causò lo scontro finale tra le superpotenze navali Genova e Venezia. Un conflitto che portò la Serenissima a un passo dal baratro, ma finì per segnare l’inizio dell’eclissi della repubblica ligure.
I rapporti tra Venezia e Genova erano pessimi da tempo. Nell’ottobre del 1372 a Cipro si doveva celebrare l’incoronazione del nuovo sovrano, Pietro II. L’inviato veneziano e quello genovese si contesero l’onore di tenere la briglia destra del destriero del re, segno del protettorato sull’isola da parte dell’una o dell’altra repubblica.
Dalle dispute sulle questioni di precedenza, durante il banchetto si passò alla rissa, che degenerò in violenza generalizzata. I liguri furono gettati fuori dalle finestre del palazzo e si scatenò in tutta Cipro la caccia al genovese. Quando la notizia arrivò in Liguria una flotta salpò per andare a occupare Cipro.
Nel 1378 Genova dichiarò guerra a Venezia, invase l’Adriatico, occupò Chioggia e assediò Venezia dal mare, mentre i suoi alleati – austriaci e ungheresi – la assediavano da terra. Ma Venezia due anni dopo sconfisse i genovesi a Chioggia grazie al condottiero e ammiraglio Vettor Pisani e, pur dovendo cedere la Dalmazia all’Ungheria, la Serenissima sul mare non ebbe mai più nulla da temere dalla storica rivale.
- Mancato saluto? E si scatenò la Prima guerra anglo-olandese (1652)
Una delle guerre più decisive della Storia, che determinò il plurisecolare predominio dell’Inghilterra sui mari, forse sarebbe scoppiata comunque.
C’era troppo in gioco e da troppo tempo: la rivalità commerciale tra Inghilterra e Olanda era ormai di lunga data. In quel crescendo di tensione fu però un piccolo incidente a far scoppiare la “bomba”.
Inghilterra e Olanda stavano rinforzando le rispettive flotte militari per prepararsi allo scontro. Ma la situazione precipitò per un mancato saluto: Oliver Cromwell, allora alla guida dell’Inghilterra, rivendicava un privilegio al quale a Londra tenevano molto.
In base a una regola antica tutte le navi straniere incrociando quelle inglesi nel Mare del Nord e nella Manica dovevano “salutarle”. Ma la flotta olandese dell’ammiraglio Maarten Tromp non eseguì il saluto a quella flotta che intendeva perquisire le sue navi, e l’ammiraglio britannico Robert Blake aprì il fuoco. Così si avviò la prima della decina di battaglie navali nelle quali si affrontarono le due flotte e dopo le quali i Paesi Bassi capitolarono.
3. L’orecchio di Jenkins che costò il conflitto tra Inghilterra e Spagna (1739) e i pasticcini di Francia fatali al Messico (1838)
- L’orecchio di Jenkins che costò il conflitto tra Inghilterra e Spagna (1739)
Un fiasco con un orecchio conservato sotto alcol ostentato alla Camera dei comuni, a Londra, provocò tre anni di guerra.
Era il 1738, e il capitano di vascello Robert Jenkins era stato uno dei molti inglesi a denunciare le angherie degli spagnoli. Questi ultimi si erano arrogati il diritto di perquisire tutte le navi britanniche che facevano la spola attraverso l’Atlantico. Dicevano di voler combattere contrabbando e pirateria, ma intanto pretendevano di procedere liberamente a sequestri e requisizioni con i malcapitati.
Nel 1731, durante una di queste perquisizioni, a Jenkins fu mozzato l’orecchio sinistro. Nel 1738 testimoniò di fronte al Parlamento inglese, mostrando l’orecchio come simbolo della crudeltà del nemico spagnolo, che gli avrebbe intimato in tono di sfida: “Di’ al tuo re che se lo trovo gli farò lo stesso”.
L’opinione pubblica britannica insorse, fino a spingere Londra a dichiarare guerra a Madrid nel 1739. Il primo anno di guerra arrise agli inglesi, con la conquista di Portobello
(Panama), a cui è ancora oggi intitolata una celebre via londinese. Ma in seguito gli spagnoli recuperarono terreno e nel 1742 la guerra si concluse praticamente con un nulla di fatto.
- I pasticcini di Francia fatali al Messico (1838)
Il saccheggio di una pasticceria è all’origine del primo intervento militare francese in Messico.
Nella giovane Repubblica del Messico spesso i disordini sfociavano in spoliazioni. Non era facile per gli stranieri ottenere risarcimenti.
Così, un certo monsieur Remontel dopo 10 anni trascorsi invano a chiedere un indennizzo per la devastazione della sua pasticceria da parte di ufficiali messicani, domandò la protezione alla Francia. Che prese le cose sul serio.
Nel 1838 re Luigi Filippo d’Orléans chiese al Messico un risarcimento di 600mila pesos e la restituzione di un prestito da un milione di dollari.
Non ricevendo risposta, il re spedì una flotta a imporre un blocco navale e a conquistare Veracruz, che per la sua resistenza fu detta “l’eroica”. Il Messico cercò di aggirare il blocco col contrabbando, ma gli Stati Uniti si opposero. Così il presidente messicano Bustamarte dovette cedere e risarcire il pasticciere.
4. Stati Uniti e Panama ai ferri corti per una fetta d’anguria (1856)
Può costare molto cara, una fetta di anguria. Lo capirono a loro spese Stati Uniti e Panama quando quest’ultima era ancora un distretto di una Colombia squassata da guerre civili e colpi di Stato.
A Panama gli statunitensi stavano costruendo la ferrovia che collegava i due oceani e la facevano da padroni.
Il 15 aprile un americano ubriaco, Jack Oliver, prese una fetta di anguria da un ambulante, José Manuel Luna, e la mangiò rifiutandosi di pagare. Alle proteste del venditore reagì sparandogli.
Alcune versioni dicono che il panamense aveva tirato fuori un coltello e che non volle accettare un risarcimento (di 10 centesimi!) da parte di un altro americano. Comunque sia andata, finì male, e cominciò il peggio.
Esasperata dalla povertà dilagante, la folla prese ad aggredire tutti gli stranieri che capitavano a tiro, diede alle fiamme gli edifici pubblici e assaltò la stazione ferroviaria.
La polizia si unì alla sommossa, mentre dall’altra parte sopraggiunsero via treno le forze di sicurezza della compagnia ferroviaria. Il rapporto ufficiale sulla battaglia registrò 15 stranieri morti, tra cui un francese, e 16 feriti e, sull’altro fronte, 2 panamensi morti e 13 feriti.
I locali celebrano oggi l’episodio come l’unica vittoria sugli yankees, ma in realtà fu proprio quella battaglia che fornì il pretesto per la definitiva occupazione Usa dell’istmo: nelle settimane successive arrivarono due navi da guerra e sbarcarono i marines.
5. Da un errore di traduzione la disfatta italiana di Adua (1895)
Fu anche un errore di traduzione a portare l’Italia al disastro di Adua.
All’epoca dell’espansionismo colonialista, l’Italia rivolse le sue mire all’Etiopia, e nel 1889 riuscì a ottenere un trattato favorevole da parte del negus Menelik, il “re dei re” d’Etiopia. Ma quanto favorevole?
Su questo “dettaglio” le interpretazioni divergevano. Anzi, non le interpretazioni, bensì il testo stesso del Trattato di Uccialli, differente nelle due lingue.
L’articolo 17 in italiano recitava: “Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi”. Una cessione della sovranità in politica estera che riduceva l’Etiopia a un protettorato italiano.
Ma nella lingua amarica (parlata in Etiopia e usata per redigere il trattato) le cose non sembravano stare così: “Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia può trattare tutti gli affari che desidera con altre potenze o governi mediante l’aiuto del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia”. Il che, come è evidente, vuol dire ben altro.
Non è stato mai chiarito se si trattò di un errore di traduzione, commesso in buona fede, o di un’astuzia voluta da una delle due parti (prima sospettata l’Etiopia, ma poteva essere anche un’idea italiana).
Fatto sta che i rapporti tra Roma e Addis Abeba si inasprirono subito, finché nel 1895 si giunse alla Guerra d’Abissinia. Che per l’Italia significò la dura sconfitta di Adua: il 1° marzo 1896 le nuove armi acquistate dagli etiopi (anche con i soldi del prestito concesso da Roma) uccisero circa 6mila soldati italiani.
Una sconfitta che negli Anni ’30 fornì argomenti alla propaganda fascista per una nuova guerra italo-etiopica.