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A che cosa serve la geografia?

Geografia è la Cenerentola delle università in Italia.

Gli iscritti alla facoltà triennale di geografia (dati Miur) sono 203: lo 0,07% di tutti gli immatricolati italiani.

È la facoltà (umanistica!) con meno immatricolati in assoluto. I corsi esistono solo in due atenei: la Statale di Milano e la Sapienza di Roma.

Ancora peggio i corsi biennali di specializzazione (a Matera, Bologna, Firenze e Roma): hanno 9 iscritti.

Ben diverso lo scenario in altri Paesi: nel Regno Unito ci sono 80 facoltà e 30mila studenti. Da noi il 60% dei laureati in geografia trova lavoro entro un anno dalla laurea (dati Almalaurea): poco meno della media generale (71%).

Che lavoro può fare un geografo? Cartografo, urbanista, consulente ambientale, esperto per Ong internazionali. Anche se i due più famosi geografi di oggi – il premier britannico Theresa May e il campione di basket Michael Jordan – hanno fatto altre carriere.

Ma a che cosa serve la geografia? Scopriamolo insieme!

 

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1. Un nuovo Rinascimento

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Era l’autunno del 2010, e ad Haiti, già in crisi per un violento terremoto, era esplosa una grave epidemia di colera.

L’infezione mieteva decine di vittime al giorno, ma non si riusciva a bloccare perché era impossibile localizzarne le fonti: nessuno dei quartieri e delle bidonville dell’isola era mai stato cartografato in modo accurato.

Così Ivan Gayton, uno dei volontari di Medici Senza Frontiere (Msf), decise di telefonare a Google.

Che, pochi giorni dopo, inviò a Port-au-Prince l’ingegnere informatico Pablo Mayrgundter, armato di rilevatori Gps: li diede agli abitanti e li mandò nei quartieri della città distrutta a registrare latitudini e longitudini che corrispondevano ai nomi haitiani dei posti.

Tre giorni dopo, le mappe erano pronte: grazie a esse, Gayton riuscì a localizzare un’interruzione idrica in un quartiere dove i casi di colera erano improvvisamente esplosi. Il problema fu segnalato ai gestori dell’acquedotto, che mandarono una squadra di operai a riparare il guasto.

«Riuscimmo a ridurre i decessi perché una mappa ci aveva consentito di ricollegare un aumento dei casi a un evento preciso», commenta Gayton. «È l’obiettivo più alto della cartografia: salvare delle vite». Chi l’avrebbe mai detto?

Oggi, infatti, nell’epoca dei satelliti e dei droni, il mondo non è ancora completamente mappato. È vero che non ci sono più territori inesplorati, tuttavia un numero sorprendente di posti non è ancora stato cartografato, e i luoghi che abbiamo scoperto di poter esplorare sono aumentati.

Anzi: proprio grazie alle nuove tecnologie (riprese aeree, computer, grafica 3D) siamo entrati in un nuovo Rinascimento della geografia.

«Oggi può essere mappata qualunque cosa: anche elementi che non hanno un’esistenza tangibile, come il traffico su Internet o i prezzi del gasolio», osserva Danny Dorling, docente di geografia a Oxford.

Dalle rappresentazioni del traffico aereo alle migrazioni, possiamo capire molto del mondo moderno osservando le mappe. «Siamo nell’età dell’oro della cartografia», aggiunge Dorling, «e stiamo appena cominciando a scoprire i suoi poteri».

 

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2. Svarioni e pensiero globale

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  • Svarioni
    Eppure, a fronte di questo fermento globale, in Italia c’è crisi.
    La riforma scolastica Gelmini, nel 2008, ha ridotto le ore di insegnamento della geografia, abolendola in alcuni corsi (istituti nautici, per il turismo e alberghieri) dove meritava un ruolo centrale.
    E i risultati si vedono, come racconta Riccardo Canesi, docente di geografia all’Istituto Zaccagna di Carrara, nel libro Mucche allo stato ebraico (Tarka).

    Ci sono studenti che parlano di «tettonica delle Azzolle» (a zolle), che credono che il lago più profondo del mondo sia il “Viakal” (Bajkal), che uno degli affluenti del Po si chiami “Dora Di Paria” (Riparia) o che il Mediterraneo sia addirittura un oceano.
    Strafalcioni, peraltro, che non avvengono solo in Italia: lo scorso settembre il presidente degli Usa, Donald Trump, ha fatto una figuraccia mondiale durante un incontro con alcuni leader africani, chiamando la Namibia “Nambia”, una via di mezzo fra Zambia e Gambia.
    È per questo preoccupante analfabetismo geografico che i docenti italiani hanno fondato “Sos Geografia”, un coordinamento nazionale per diffondere la cultura geografica in Italia. Una delle sue iniziative sono i Campionati di Geografia, una competizione culturale per gli studenti delle scuole superiori.

 

  • Pensiero globale
    Ma perché dovrebbe importarci sapere che la capitale del Burkina Faso è Ouagadougou?
    «Questa è un’idea antiquata della geografia», obietta Canesi, fondatore di “Sos Geografia” e fra i 10 migliori insegnanti d’Italia per l’Italian Teacher Prize.
    «Per molti, compresa la nostra classe dirigente, la geografia è solo una materia nozionistica. Ma non è così: la geografia, invece, è una scienza interdisciplinare che unisce geologia, demografia, biologia, storia, economia. È una delle poche discipline trasversali: offre uno sguardo generale sul mondo, aiutandoci a capirlo. Ci aiuta, insomma, a pensare in modo globale».
    Anzi, per Dorling, autore di Geography (Profile books), «la geografia è importante come non mai: gli uomini non sono mai stati interconnessi come oggi, e non abbiamo mai avuto tante conoscenze sul mondo naturale, la sua biodiversità, la sua chimica, l’impatto umano sull’ambiente. I concetti-base della geografia del XXI secolo sono sostenibilità, globalizzazione, uguaglianza. Tutte sfide che la geografia può aiutarci ad affrontare».

 

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3. Oceani nascosti

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E, a proposito di sfide, i territori da cartografare sono molti più di quelli che immaginiamo. E in prima fila ci sono le nazioni meno sviluppate.

«Prendete un posto come il Sud Sudan, dove milioni di persone nascono e muoiono senza mai essere registrate su alcun documento. Non apparire su una mappa significa non contare nulla», aggiunge ancora Gayton di Msf, che dopo l’esperienza ad Haiti ha fondato “Missing Maps”, un progetto internazionale per aiutare a cartografare i Paesi poveri.

«Fa una grande differenza una cartina su cui appaiono almeno i simboli delle baracche, invece di una distesa verde. Per molti Paesi è la prima volta nella storia che qualcuno si è interessato a loro abbastanza da farci caso: essere indicato su una mappa vuol dire avere un valore».

I luoghi ancora da mappare, comunque, non si esauriscono negli agglomerati urbani. Anzi, sono ancora più vaste le aree naturali: uno degli obiettivi più ambiziosi, ancora da raggiungere, è cartografare il fondale degli oceani, che sono il più ricco e completo archivio geologico del pianeta.

Oggi solo il 17% dell’oceano è stato mappato con il sonar, cioè da una nave o da un sottomarino che abbia percorso avanti e indietro il fondale oceanico: paradossalmente, conosciamo meglio la faccia nascosta della Luna.

Le mappe 3D dei fondali oceanici che si vedono su Google Earth, infatti, sono per lo più ricostruzioni ancora da verificare. Ma la spinta a conoscere gli abissi marini è enorme, perché possono anche celare tesori: giacimenti di petrolio, per esempio.

Secondo la Convenzione Onu sul diritto del mare, un Paese può sfruttare le risorse naturali fino a 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa: dunque, tracciare mappe precise è un atto politico che può avere rilevanti effetti economici.

Soprattutto per i giacimenti che potrebbero celarsi sotto l’Artico: non a caso, nel 2007, la Russia ha mandato un batiscafo a 4.261 metri di profondità sotto il Polo Nord geografico.

L’obiettivo, dimostrare che quel territorio è un prolungamento della piattaforma continentale russa: sotto quei fondali si celano infatti il 13% del petrolio e il 30% del gas globale.

Con il progressivo scioglimento dei ghiacci questa immensa ricchezza diventerà disponibile. E in previsione di questo scenario, il batiscafo ha estratto un braccio meccanico per piantare sul fondale una bandiera russa.

 

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4. Aggiornamenti

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Oggi, poi, è urgente aggiornare le mappe perché il nostro pianeta sta cambiando molto velocemente.

In parte per le catastrofi naturali (eruzioni vulcaniche, tsunami, terremoti): per il prossimo anno, per esempio, un gruppo di geografi nepalesi ha programmato una spedizione sull’Everest per verificare se la sua cima si sia abbassata in seguito al terremoto avvenuto in Nepal nel 2015.

Ma in parte gli atlanti vanno aggiornati anche per il riscaldamento globale, che sta cambiando i connotati della Terra: i ghiacciai si sciolgono e le coste si erodono.

Così, schiere di topografi armati di ricevitori gps e telemetri laser stanno ri- levando in ogni parte del mondo le nuove misure di ghiacciai, iceberg e coste.

E la rivoluzione non importa solo a chi realizza cartine, osserva Lois Parshley sul Virginia Quarterly Review. Riguarda anche, per esempio, le aziende agricole: «Oggi i principali clienti della Esri, produttrice di software geografici, sono le aziende, non i ricercatori universitari», scrive.

«Un’importante azienda del settore agroalimentare si è dimostrata entusiasta di poter mappare i punti dove ogni seme era stato piantato, e misurare la temperatura e l’umidità di ciascun punto».

Senza contare, ovviamente, che le cartine aggiornate sono altrettanto vitali per chi deve ogni giorno trasportare merci o persone, scegliendo il tragitto più breve (e meno trafficato) fra due punti: dai taxi fino ai corrieri espresso.

Ma, al di là degli interessi economici o culturali, mappare è un impulso irrefrenabile, perché serve alla nostra sopravvivenza.

«Quando un animale raggiunge un posto e scopre che c’è del cibo», spiega Bruce McNaughton, neuroscienziato dell’Università della California a Irvine, «quell’informazione è aggiunta alle sue coordinate spaziali come un cartografo farebbe su una griglia cartesiana».

 

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5. Galassie lontane

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Tutto questo avviene nell’ippocampo, una piccola area del cervello che fornisce informazioni sul contesto spaziale in cui avvengono le esperienze.

E' grazie a esso che di notte, se camminiamo a luci spente in cucina, riusciamo a raggiungere il frigorifero senza andare a sbattere.

Siamo “animali geografi”: il cervello registra tutta la nostra esperienza del mondo attraverso le posizioni spaziali. Le mappe sono un modo istintivo di ordinare il caos, di trasformare le stelle in costellazioni e i solchi lasciati dai ghiacciai in previsioni.

Per questo, fin dalle origini della Storia, l’uomo ha cercato di mappare tutto, compreso lo spazio profondo.

Prima aguzzando lo sguardo di notte, poi, negli ultimi decenni, costruendo telescopi sempre più potenti. L’anno scorso, il telescopio orbitante Hubble è riuscito a fotografare la galassia più lontana, GN-Z11: è a 13,4 miliardi di anni luce dalla Terra.

E, nel 2013, grazie al satellite Planck, abbiamo mappato l’universo arrivando fino ai suoi confini più estremi, perfino nel passato: abbiamo registrato le radiazioni emesse oltre 13,7 miliardi di anni fa, quando erano passati 380mila anni dal Big Bang e il cosmo era una zuppa bollente e densa di protoni, elettroni e fotoni.

C’è una sfida più affascinante che tentare di mappare un universo immenso, e per di più in continua espansione?

 

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