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Aldo Moro, l’uomo del compromesso

Era il 9 maggio del 1978 quando, in via Caetani, a Roma, in una Renault 4 rossa, venne ritrovato il cadavere del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro.

Il politico era stato rapito il 16 marzo da un commando di brigatisti rossi in via Fani, dove furono uccisi i cinque uomini della sua scorta.

Moro, tenuto prigioniero per 55 giorni, fu poi ucciso e successivamente fatto ritrovare in una strada del ghetto ebraico, a pochi passi dalla sede del Partito comunista e da quella della Democrazia cristiana.

Un luogo simbolico? A giudicare dal momento storico in cui avvenne parrebbe proprio di sì.

Dopo decenni di indagini, 5 processi, e 2 commissioni di inchiesta oltre a quella attualmente in essere, il “caso Moro” è ancora oggi uno dei più controversi della nostra storia recente e secondo alcuni studiosi il mistero della sua fine non ha permesso di capire fino in fondo la sua figura storica.

Ma chi era Moro e quale è stato il suo contributo alla politica dell’allora ancora giovane e fragile democrazia italiana?

 

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1. Scalata veloce

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Di origini pugliesi, il futuro segretario della Dc era nato - secondo di 5 figli - nel 1916 a Maglie, paese del Salento, uno di quelli in cui trionfa il barocco leccese.

La strada della sua casa di famiglia oggi porta il nome di quei tragici eventi, si chiama “Caduti di via Fani”.

Il cammino di Moro, laureatosi a soli 22 anni in giurisprudenza a Bari, sembrava segnato fin dai tempi dell’università: aveva una buona capacità dialettica, dote particolarmente indicata per un ruolo pubblico.

Entrato infatti giovanissimo nella Federazione degli universitari cattolici (Fuci), su indicazione di Giovanni Battista Montini, futuro pontefice con il nome di papa Paolo VI (a cui avrebbe scritto anche durante il sequestro), ne divenne molto presto presidente nazionale.

Per capire il momento storico in cui mosse i primi passi in politica, basti pensare che nel 1938, quando divenne dottore in legge, il partito di cui fece parte in seguito non esisteva ancora.

Lui stesso partecipò alle prime riunioni clandestine nel 1942 - in pieno regime fascista - con Alcide De Gasperi e Mario Scelba, che portarono poi alla fondazione della Democrazia cristiana (19 marzo 1943).

E da allora la sua carriera fu fulminante. A soli 30 anni sedeva già nell’Assemblea Costituente che, nel 1946, dopo la guerra, ebbe il compito di redigere la Costituzione della neonata Repubblica.

Moro fu parlamentare per sette legislature, cinque volte presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, dell'Istruzione e della Giustizia, oltre che segretario e presidente del suo partito.

 

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2. Nuovo corso

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Ma la sua personalità politica ebbe modo di rivelarsi diversi anni dopo la Costituente.

Nel 1960 il governo del democristiano Fernando Tambroni, un ex fascista finito nella Dc, ottenne la fiducia con l’appoggio dei missini (membri del partito neofascista Movimento sociale italiano, Msi).

Contestatissimo e osteggiato dalle sinistre, il governo vacillò in seguito a quelli che sono ricordati come “i fatti di Genova del 30 giugno".

Una manifestazione, indetta dalla Camera del lavoro nel capoluogo ligure per protestare contro l’annunciato congresso dell’Msi in città, finì in scontri aperti con la polizia.

Subito dopo manifestazioni e disordini scoppiarono in molte altre città (con gravi conseguenze a Reggio Emilia, dove la polizia uccise 5 operai).

Così, dopo l'inevitabile caduta del governo Tambroni (a luglio) e il crescente malcontento nel Paese, Moro si convinse che fosse necessario un nuovo corso politico: era il momento di dare più spazio alla sinistra, ai socialisti.

Nonostante i malumori nel partito, al congresso di Napoli del 1962 passò la linea di Moro, l’unico che in quel momento sembrava capace di gestire il complicato scenario sociale.

Il nuovo corso politico si concretizzò nel 1963 con un governo guidato proprio da Moro, che prevedeva la presenza del partito socialista (Psi) e dei socialdemocratici (Psdi).

Al segretario socialista Pietro Nenni fu affidata la vicepresidenza. La formula del governo di centro-sinistra dette buoni frutti, sia con i tre governi Moro sia con i successivi.

 

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3. Collaborazioni

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Tuttavia quelli erano anni difficili e la società italiana alla fine degli anni Sessanta era in grande fermento.

Moro si convinse allora che fosse necessaria un'altra svolta, questa volta più decisa: bisognava aprire un dialogo anche con i comunisti.

Era giunto il momento che il partito di maggioranza prendesse in considerazione la partecipazione del secondo partito d’Italia per consensi, il Pci, nella gestione del governo.

Moro la chiamò “strategia dell’attenzione" al fine di “rendere possibile, lasciando da parte ambiguità e comodità, il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza", affermò a Bari il 15 giugno 1969, durante il congresso regionale della Dc.

Nel 1973, il neosegretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer, propose una collaborazione ai democristiani, trovando un alleato in Moro e nella sua corrente, i “morotei”, considerata la sinistra del partito.

Assolutamente contrari erano invece i “dorotei" sostenuti da Giulio Andreotti.

Vari motivi tuttavia spinsero la politica verso quello che è passato alla Storia come “compromesso storico" tra Pc e Dc:
- il timore di una deriva golpista, dopo il colpo di Stato in Cile del 1973 (Allende fu deposto dal generale Augusto Pinochet);
- la paura di perdere voti a causa della cosiddetta “strategia della tensione" iniziata nei 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano e proseguita poi nel 1974 con quella di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus a Bologna;
- le agitazioni di piazza e le amministrative del '75, quando Pci (33%) e Dc (35%) si trovarono a poca distanza.

Il 20 marzo 1978 prese vita un esecutivo di "compromesso" guidato da Giulio Andreotti e appoggiato dal Pci. Ma quattro giorni prima era successo qualcosa di drammatico: il presidente della Dc era stato rapito dalle Br.

 

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4. Epilogo tragico e le memorie dalla prigione

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  • Epilogo tragico
    Quella organizzazione che andava sotto il nome di Brigate Rosse, formatasi nel 1970, che all’inizio fu sottovalutata dall’opinione pubblica e dallo Stato, ora con il rapimento, e successivamente con l’uccisione, di Aldo Moro, faceva paura.
    Gli anni che seguirono furono politicamente e socialmente complicati, l’esecutivo del 20 marzo finì dopo un anno e con esso ogni forma di collaborazione tra democristiani e comunisti. Il compromesso storico naufragò dopo la tragica morte del suo artefice.

 

  • Le memorie dalla prigione
    Il 19 ottobre 1990 un muratore, durante la ristrutturazione dell'appartamento di via Montenevoso 8, a Milano, ex covo delle Brigate Rosse, scopre sotto una finestra un pannello fissato con 4 chiodi.
    Lo toglie e trova un mitra, una pistola, 30 detonatori, 60 milioni di lire e 419 fotocopie di manoscritti e 2 dattiloscritti.
    Nei 55 giorni di prigionia in via Montalcini a Roma, Moro scrisse 78 lettere, alla moglie Eleonora Chiavarelli, ai familiari e a personalità della politica e delle istituzioni tra cui Benigno Zaccagnini allora segretario della Dc e Paolo VI, del quale poi scrisse alla moglie "ha fatto pochino" per la sua salvezza.
    Queste lettere, (alcune recapitate durante il sequestro) più 7 testamenti e "verbali" degli interrogatori a cui i brigatisti lo sottoposero durante la prigionia, costituiscono il cosiddetto "memoriale Moro".
    Rispetto al materiale dopo la morte di Moro, il 1° ottobre 1978, quello del '90 è più completo (53 pagine in più). Ma non è ancora tutto.
    E, nonostante l'arresto tra il '79 e l'82 di quasi tutti i brigatisti responsabili del caso Moro, delle carte mancanti non si conosce il destino.

 

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5. Gli anni della tensione

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1968:
A marzo si verificano violenti scontri tra studenti e polizia a Valle Giulia a Roma. L'anno prima era iniziata l'occupazione delle università.

1969:
• Settembre : Inizia il cosiddetto "autunno caldo”. Proteste operaie e studentesche in tutta Italia.
• Dicembre: Una bomba nella Banca dell'Agrilcoltura, in piazza Fontana a Milano, fa 17 morti e 88 feriti, (è l'inizio di quella che The Observer chiamerà "la strategia della tensione”).

1970:
A Pecorile (Re) i militanti del Collettivo Politico Metropolitano di Milano (fra cui Curcio) e i fuoriusciti della Fgci di Reggio Emilia (fra cui Francescani e Gallinari), sanciscono il passaggio alla lotta armata: nascono le Brigate Rosse.

1972:
Lotta Continua uccide a Milano il commissario Luigi Calabresi, indicato come responsabile della morte dell'anarchico Pino Pinelll.

1974:
• Aprile: le Br rapiscono il giudice Mario Sossi (liberato iI 22 maggio).
• Maggio: una bomba in piazza della Loggia a Brescia, durante una manifestazione antifascista, miete 8 vittime e fa un centinaio di feriti.
• Agosto: esplode un ordigno sul treno Italicus,causando 12 morti e 48 feriti.

1976:
A Genova, un commando di brigatisti uccide il procuratore Francesco Coco e due agenti della sua scorta.

1977:
• Maggio: a Milano , in una manifestazione organizzata da Autonomia Operaia, viene ucciso a colpi di arma da fuoco il vicebrigadiere Antonio Custra.
• Novembre: a Torino, agguato delle Br contro Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa. Morirà dopo 12 giorni.

1978:
• Marzo: In via Fani a Roma le Br rapiscono Aldo Moro.
• Maggio: ritrovato in via Caetani il cadavere del presidente della Democrazia cristiana.

 

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