Gli uomini desiderano essere felici e tentano in tutti i modi di raggiungere la felicità.
Quella della felicità, è stato ribadito, è un’esperienza originaria della vita, insita nel modo di essere nel mondo che è proprio dell’uomo (Salvatore Natoli).
Però, quando ci si chiede “che cosa è la felicità?”, le risposte non sono mai univoche, poiché è il concetto stesso di “felicità” a risultare evasivo, enigmatico, problematico e difficile da definire: così le risposte variano a seconda delle persone, delle situazioni, delle concezioni della vita, tanto che si è potuto dire che ogni individuo ha la sua idea di felicità.
Felici si nasce o si diventa? I geni aiutano, ma non bastano.
Ecco le formule scientifiche per avere una vita serena e appagante.
1. Cos'è la felicità?
Provate a chiedere a dieci persone cos’è la felicità. Qualcuno vi dirà che felici si nasce: ce l’abbiano scritta nel Dna.
Altri risponderanno che i geni non c’entrano nulla: sono gli eventi della vita, le belle sorprese, i colpi di fortuna a determinare la nostra gioia.
Ci sarà anche chi vi dirà che è la capacità di stare bene con se stessi e con gli altri, di godere delle piccole cose, di guardare al futuro con ottimismo.
Poi, non mancheranno i sostenitori dell’impegno individuale: la felicità è qualcosa che si costruisce giorno dopo giorno, con fatica, determinazione, sacrificio.
Un po’ come nel film di Gabriele Muccino, intitolato non a caso La ricerca della felicità, in cui il protagonista, solo e ridotto in miseria, lotta contro tutto e tutti per ottenere un lavoro dignitoso e alla fine viene ripagato diventando milionario.
Ebbene, hanno tutti ragione. La felicità è un mix di geni, ambiente, talento e casualità. Da sempre gli studi analizzano il peso di questi fattori nella costruzione di una vita serena e appagante.
Attraverso ricerche condotte sui gemelli si è arrivati alla conclusione che la genetica influisce per il 30-35%. Ci sono molti geni coinvolti. Uno di questi si chiama 5-HT- TLPR ed è un trasportatore della serotonina, il neurotrasmettitore del benessere.
Un altro si chiama FAAH ed è un enzima che incide sulla quantità di anandamide, una sostanza prodotta dalle cellule cerebrali in situazioni di stress. Chi ne produce di più è avvantaggiato.
Ma i geni della felicità sono come gli ingredienti di una torta: sono un punto di partenza, però non determinano il risultato finale, che dipenderà in gran parte anche dalla nostra bravura nell’eseguire la ricetta.
2. Insieme è meglio
Siamo un organismo complesso, nato dall’interazione tra natura e cultura, tra patrimonio genetico e vissuto quotidiano.
Sul fronte individuale le ricerche dicono che la personalità conta moltissimo, in particolare l’estroversione, la fiducia in se stessi.
Ma oggi si osserva sempre di più anche la società nel suo insieme e nuovi studi asseriscono che l’indice di felicità di una nazione sia più importante del prodotto interno lordo.
Questo vuol dire che possedere più cose non rende l’individuo più felice. Affermazione che ci fa entrare subito nel merito di una questione molto dibattuta, ovvero se i soldi fanno la felicità oppure no.
Più che il denaro, è la capacità di integrazione con gli altri individui che ci predispone a questo stato d’animo.
Le persone felici si integrano meglio perché dotate di una migliore capacità di adattamento: merito dell’empatia. La capacità di tessere relazioni autentiche sembra dunque un elemento chiave, riconosciuto anche dalla scienza.
E parlando di relazioni non si può non parlare di famiglia: una ricerca dell’Università di Harvard dimostra che chi può contare su una famiglia solida e su affetti sinceri vive meglio.
Un altro lavoro, condotto da un sociologo di Harvard e uno psicologo dell’Università della California di San Diego, ha aggiunto che è fondamentale coltivare gli affetti, stare in gruppo, anche per essere «contagiati» dalla felicità altrui grazie ai nostri neuroni specchio.
Per contro, le persone carenti d’affetto sono più soggette a infelicità, conferma Kory Floyd, esperto in psicologia della famiglia all’Arizona State University, ma anche a depressione, stress e cattiva salute.
In particolare, secondo uno studio dell’University College di Londra, le probabilità di ammalarsi aumentano del 26%.
Il motivo: la vicinanza di persone care abbassa la pressione sanguigna e riduce il dolore, mentre la carenza di contatto fisico è associata a livelli più alti di ormoni dello stress e di marcatori d’infiammazione.
3. Ricchi dentro
Che i soldi non facciano la felicità lo dimostra anche il fatto che, in media, negli ultimi 50 anni le persone non sono più appagate, nonostante i redditi medi siano più che raddoppiati.
Alcune ricerche hanno dimostrato che, eliminando la depressione e l’ansia dalla popolazione, si ridurrebbe l’infelicità del 20%, rispetto ad appena il 5% in meno che si otterrebbe se i politici si concentrassero sulla riduzione della povertà.
Considerare i soldi come un mezzo per vivere meglio può essere un modo saggio per gestire il proprio denaro, ma attenzione: il paradosso di Easterlin, chiamato anche paradosso della felicità, ha dimostrato che quando aumentano reddito e benessere economico la felicità umana inizialmente aumenta, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a U rovesciata.
Ciò non significa che i soldi non contino, ma non possono garantirci una felicità autentica e duratura. A conferma, una ricerca delle università britanniche di Stirling e Nottingham ha dimostrato che a guadagni maggiori non corrisponde mai una maggiore felicità e che la soddisfazione personale non è proporzionale al peso della busta paga, ma alla stabilità del conto corrente.
Come dire, non sono i milioni a farci felici, quanto la consapevolezza che quel che si guadagna lo si manterrà nel tempo.
Imparare a godere di ciò che abbiamo non è un consiglio scontato. Le persone felici sono quelle che ricavano dalle emozioni gli stimoli per andare avanti.
Lo sostiene anche Francesco Piccolo nel suo libro Momenti di trascurabile felicità (Einaudi): «Sono quegli attimi che possono annidarsi ovunque, pronti a farti aprire gli occhi su qualcosa che fino a un attimo prima non avevi considerato».
Si consiglia di «misurare» il proprio grado di felicità imparando a dare un senso e un valore alle cose che si fanno: «Si può fare una sorta di diario virtuale della propria vita, da compilare e consultare tutti i giorni, per ricordarci quante cose belle ci capitano e smetterla di soffermarci sempre solo sulle disgrazie e sulle sfortune».
Il problema è che, se siamo sempre più esigenti su ciò che vogliamo essere o avere, finiamo per essere condannati a una perenne infelicità. Il vecchio adagio «chi si accontenta gode» è quindi lungi dall’andare in pensione.
4. Happiness training
Possiamo invertire la rotta? Sì.
Al di là dei geni, delle influenze ambientali e dello zampino del fato, esiste un happiness training, un programma di allenamento che tutti possono mettere in pratica.
Lo suggerisce Marci Shimoff, che negli Stati Uniti insegna psicologia motivazionale in corsi per aziende e università, nel suo libro Felici senza motivo (Corbaccio):
«Quando vi accorgete che siete infelici per qualcosa, chiudete gli occhi e richiamate alla mente la situazione spiacevole. Ora immaginate di vederla proiettata su uno schermo e alla fine del film chiedetevi: quale parte di quel che è accaduto è una mia responsabilità?
Quale lezione posso imparare? Scrivete le risposte focalizzando l’attenzione su cosa potrete fare in modo differente la prossima volta. Rileggete l’appunto ogni volta che vi viene la tentazione di lamentarvi».
I sogni danno un senso all’esistenza! Lo sapevate che esiste anche un alfabeto della felicità? Parte dalla A come autostima («la nostra essenza, il nostro valore, indipendentemente dagli errori che facciamo»), e finisce con la Z, come zona di comfort.
È costituita dalle abitudini che ripetiamo automaticamente e ci fanno sentire protetti e al sicuro, ma non felici.
In mezzo troviamo C come coraggio («la capacità di seguire il proprio cuore»), E come esplorazione («l’unico modo per avere risultati diversi è fare cose diverse»), G come gratitudine («la polverina magica che ci fa apprezzare tutto quello che abbiamo: basta scrivere ogni sera prima di addormentarsi almeno tre cose per cui si è grati alla vita»).
E poi, altre virtù come humour, integrità, ottimismo, perdono, talento, umiltà. La lettera più importante? La S come sogni: «sono ciò che ci mantengono vivi e danno un senso alla nostra esistenza».
5. Le regole d’oro della soddisfazione
Dai più importanti studi scientifici sulla felicità, ecco sette regole d’oro da tenere presente per inseguire una vita serena e appagante.
- SFRUTTA OGNI MOMENTO
Non aspettare un evento straordinario per essere felice, ma dai valore alla felicità provata nelle situazioni di tutti i giorni. - DATTI OBIETTIVI CONCRETI
Funzionano decisamente meglio di quelli astratti: così ridurrai la distanza tra aspettative e quello che sarà possibile ottenere. - CONDIVIDI
Le emozioni positive si diffondono più velocemente e con maggiore impatto di quelle negative: condividile, anche sui social network, per stare meglio e per «contagiare» gli amici. - PREFERISCI IL DARE AL RICEVERE
Fai gruppo, dedicati al volontariato: è dimostrato che dedicarsi agli altri ha un effetto positivo e aumenta il livello di soddisfazione. - «IMBROGLIA» IL CERVELLO
Se ti comporti come se fossi felice finirai per esserlo davvero. Per esempio, sorridi anche quando sei triste: darai segnali al cervello che verranno letti come positivi. - CIRCONDATI DI AFFETTI
I rapporti d’affetto con gli altri sono fondamentali, molto più del raggiungimento di risultati accademici o professionali: questo vale sia in ambito familiare, sia nelle relazioni sociali. - NON CONSIDERARTI INFELICE PER NATURA
I geni si possono correggere. La felicità è un’emozione talmente potente da modificare addirittura il tuo Dna: ti farà stare meglio anche fisicamente.