Alpinismo: gli uomini e le donne che sono saliti più in alto

Quando chiesero a George Mallory perché volesse scalare l’Everest, l’inglese rispose: «Perché è lì». La filosofia dell’alpinismo sta tutta in questa risposta.

La passione che spinge a intraprendere quelle che potranno essere epiche imprese o clamorosi fiaschi è nella stessa esistenza delle montagne.

Questi giganti di roccia hanno da sempre affascinato e attratto l’uomo che di fronte alla loro maestà decide di sfidare sé stesso e la gravità per elevarsi fino alla cima.

Con il libro di Claudio Gregori, Storia dell’alpinismo. Le grandi sfide tra l’uomo e la montagna (Diarkos) ecco le vicende di 9 alpinisti che hanno scritto il loro nome nella storia di questa disciplina: alcuni hanno firmato primati assoluti, altri non ci sono riusciti, ma non importa. Ciò che conta è provarci. Le montagne sono lì proprio per questo.

Nel cuore lo stesso desiderio, raggiungere vette ancora inviolate. Dai pionieri come Michel-Gabriel Paccard e la contessa d’Angerville – i primi a scalare il Monte Bianco – alle conquiste memorabili di Messner, Whymper, Mallory, Comici, Huber, Bonatti: ecco le imprese leggendarie dei protagonisti della storia dell’alpinismo.

1. REINHOLD MESSNER, IL RE DEGLI 8.000

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Parlare di Messner per l’alpinismo è come raccontare di Pelé per il calcio: tutti ne conoscono il nome, anche coloro che non sono mai stati su un sentiero di montagna, sanno che Messner è l’uomo degli 8.000, colui che ha raggiunto tutte le più alte vette del mondo.

Nato a Bressanone (Bolzano) il 17 settembre 1944, a 14 anni Reinhold fa già cinquanta scalate in un anno. Va dovunque: su roccia friabile, su ghiaccio, in gole mai percorse, su spigoli esposti.

Alle gioie delle conquiste leggendarie, nel 1970 si sovrappone il dolore per la morte del fratello Günther, deceduto mentre stanno entrambi scendendo dalla vetta del Nanga Parbat in Pakistan (8.126 metri).

Negli anni successivi Messner firma una serie di primati, come l’ascesa senza bombole d’ossigeno dell’Everest del 1978, ma soprattutto nell’autunno del 1986 viene incoronato il re degli 8.000.

Il 16 ottobre, infatti, raggiunge gli 8.516 metri del Lhotse (Nepal) la quarta montagna della Terra: Messner, a 42 anni, diventa il re delle 14 vette alte ottomila metri del mondo.

Le ha scalate e conquistate tutte.

2. MICHEL-GABRIEL PACCARD E LA CONTESSA HENRIETTE D’ANGEVILLE

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- MICHEL-GABRIEL PACCARD È IL PRIMO AD ARRIVARE IN CIMA AL MONTE BIANCO
“Il primo grande atto della storia dell’alpinismo è la scalata del Monte Bianco”, scrive Gregori nel suo saggio.
Protagonista di questa impresa è Michel-Gabriel Paccard, medico di Chamonix (Francia) dove è nato il 21 febbraio 1757.
Cresciuto all’ombra del gigante delle Alpi, studia medicina a Torino per diventare il medico condotto del paese. È lui il primo che, per il gusto della sfida, non per soldi, non per interesse, affronta l’avventura e la realizza.

Ha già provato altre quattro volte a raggiungere la vetta del Monte Bianco (4.809 metri), ma questa è la volta buona: con il compaesano Jacques Balmat des Baux, cacciatore e cercatore di cristalli, inizia l’ascesa il 7 agosto 1786.
“Non hanno né corda, né piccozza, né ramponi. Portano scarpe e abbigliamento da caccia e, per il bivacco, una coperta ciascuno”, dice Gregori.
L’ascesa è lunga, ci sono momenti di difficoltà, ma alle 18.23 dell’8 agosto 1786 il sogno diventa realtà: Paccard arriva per primo in vetta e Balmat lo raggiunge presto. Paccard muore a Chamonix il 21 marzo 1827.

 

- LA CONTESSA HENRIETTE D’ANGEVILLE FA TESTAMENTO PRIMA DI SCALARE IL MONTE BIANCO
La contessa Henriette d’Angeville, nata il 10 marzo 1794 a Semuren-Brionnair (Francia), conquista il Monte Bianco nel 1838.
Trent’anni prima (il 14 luglio 1808) quella vetta è già stata conquistata da un’altra donna, Marie Paradis, ma “è aiutata dai compagni, sostenuta e perfino portata per un tratto”, scrive Gregori, “per terminare l’ascesa”.

Nel 1838, invece, la contessa Henriette d’Angeville, 44 anni, “fa tutto da sola. In quindici giorni organizza la sua spedizione e la porta al successo”.
Dopo aver consultato il medico e fatto testamento, si prepara e mette insieme una squadra di 13 persone: 6 guide, 6 portatori e un mulattiere.
“Raggiunge la vetta con le sue forze, rifiutando fieramente ogni aiuto. Porta con sé un cannocchiale, due ventagli e persino uno specchio. Non poteva sfigurare davanti a Monsieur Mont Blanc”.

3. IL DUCA DEGLI ABRUZZI E EDWARD WHYMPER

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- IL DUCA DEGLI ABRUZZI SALE PER PRIMO SUL MONTE SAINT ELIAS
Era destinato alla Marina. Luigi Amedeo, il figlio di Amedeo I duca d’Aosta e Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, nato a Madrid il 29 gennaio 1873, a sei anni è già mozzo della Regia Marina Militare.
“Ma i Savoia sono cacciatori di stambecchi e, quindi, alpinisti”, scrive Gregori nel suo libro e ben presto per il duca degli Abruzzi (titolo conferitogli nel 1890) il forte richiamo dei monti ha la meglio.
Raggiunge alcune delle vette più famose come il Gran Paradiso, il Monte Rosa, il Dente del Gigante, l’Aiguille du Moine e il Petit Dru, ma presto il suo sguardo va oltre l’Atlantico.

L’obiettivo è l’inviolato monte Saint Elias (5.489 metri) al confine tra Stati Uniti d’America e Canada, tra Alaska e Yukon. Il 17 marzo 1897 il duca degli Abruzzi parte dalla stazione di Porta Nuova a Torino con nove compagni d’avventura: è l’inizio dell’impresa.
Un viaggio epico che ha il suo apice il 31 luglio: l’assalto finale al monte. Alle 11.55 Luigi Amedeo duca degli Abruzzi mette così per primo il piede sulla vetta del monte Saint Elias. Un’impresa superba per lui che morirà il 18 marzo 1933.

 

- EDWARD WHYMPER: AL DECIMO TENTATIVO CONQUISTA IL CERVINO
Edward Whymper ha un obiettivo nella vita: raggiungere la vetta del Cervino, quello “scoglio nell’azzurro del cielo” che nessuno ha ancora domato.
Nato a Londra il 27 aprile 1840, è disegnatore e incisore: nel 1860 va in Savoia (Francia) alla ricerca di nuovi panorami da ritrarre ed è colpito dalla bellezza delle Alpi.

Negli anni successivi inizia a scalare alcune montagne come il Monte Pelvoux (3.946 metri), ma il suo obiettivo resta il Cervino con i suoi 4.478 metri di altezza. Ci prova più volte, ma invano.
Fino al fatidico e storico 14 luglio 1865: è il decimo tentativo e in quei giorni sono molti gli alpinisti pronti ad attaccare i pendii della montagna.
Ma l’eroe è lui, che assieme alla guida francese Michel Croz raggiunge la vetta alle 13.40. Morirà il 16 settembre 1911.

4. EMILIO COMICI E GEORGE MALLORY

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- EMILIO COMICI INAUGURA MOLTI PERCORSI ALPINI. ANCORA OGGI PORTANO IL SUO NOME
Nato a Trieste il 21 febbraio 1901, Emilio Comici è appassionato di ginnastica, atletica, nuoto, pattinaggio e calcio.
Poi si dedica alla speleologia ed è proprio calandosi nelle grotte del Carso triestino che apprende le basi dell’arrampicata.

Dagli abissi della Terra passa dunque alle vette delle montagne, facendosi notare per la sua capacità naturale di individuare sempre nuovi e impossibili passaggi per raggiungere la cima delle montagne.
“Emilio è il primo a trasformare l’alpinismo in spettacolo”, sottolinea il saggista Gregori, che ne illustra anche la filosofia: “L’alpinismo io l’intendo soprattutto come arte”, aveva infatti scritto Comici.
Sono molte le vie che Comici inaugura e che portano il suo nome. Nel 1929 fonda la prima scuola di roccia italiana. Muore il 19 ottobre 1940 a Selva di Val Gardena per un incidente durante una scalata.

 

- GEORGE MALLORY E IL MISTERO DELLA ASCESA ALL’EVEREST
Forse ce l’ha fatta. O forse no. L’inglese George Mallory, classe 1886, ha come obiettivo l’Everest, la montagna più alta del mondo con i suoi 8.848 metri.
Quando nel 1924 arruola come compagno di cordata Andrew Irvine, di 22 anni, è il suo quarto tentativo. I due, assieme a 8 portatori, iniziano la scalata il 6 giugno e il giorno successivo sono a quota 8.230.

L’8 giugno, alle 5.15, partono per la vetta, ma di loro, da quel momento, non si sa più nulla. Fino al 1999, quando una spedizione ritrova il corpo e gli oggetti di Mallory (foto sotto).
Ecco le parole di Gregori: “In una tasca aveva gli occhiali da neve, intatti. Questo lascia ritenere che l’incidente si sia verificato durante il crepuscolo o di notte, presumibilmente sulla via del ritorno”.
Un incidente? Una caduta? E, prima di morire, i due hanno raggiunto la vetta? Nessuno lo saprà mai e l’Everest custodirà per sempre la risposta a questo mistero.





5. WALTER BONATTI E ALEXANDER HUBER

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- WALTER BONATTI VOLEVA ARRIVARE A TOCCARE LE NUVOLE
Come scrive Gregori nel suo saggio, Walter Bonatti, nato a Bergamo il 22 giugno 1930, sin da piccolo “ha l’argento vivo addosso.
Vive nella natura. In un mondo di terra e d’acqua, di verde e di nuvole”. Ben presto quelle nuvole diventano l’obiettivo da raggiungere. Vuole toccarle sulle cime delle montagne.
A 13 anni scopre l’alpinismo e se ne innamora. Dopo aver dato prova di abilità e tecnica, nel 1954 partecipa alla spedizione che porta l’Italia sulla vetta del K2 (8.609 metri), la seconda vetta più alta del mondo.

Il primato è firmato da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, ma il contributo di Bonatti (assieme a quello di Amir Mahdi) è fondamentale per la riuscita dell’impresa.
Da quel momento, spesso in solitaria, inanella una serie di conquiste in Italia e all’estero che lo fanno entrare nel mito dell’alpinismo.
Dopo aver scalato il Cervino nel 1965 (prima ascesa in solitaria e prima salita invernale) abbandona l’alpinismo estremo e si dedica all’esplorazione: i suoi reportage dall’Africa, da Capo Horn, dall’Antartide o dal Sud America (solo per citarne alcuni) fanno sognare i lettori. Muore a Roma il 13 settembre 2011.

 

- ALEXANDER HUBER, IL FUTURO DELL’ALPINISMO
Uno dei più importanti alpinisti odierni è Alexander Huber, nato a Trostberg (Germania) il 30 dicembre 1968. Spesso in compagnia del fratello maggiore Thomas, Huber porta a termine scalate che superano tutti i limiti finora invalicati.
Sulle Tre Cime di Lavaredo stupisce per la sua agilità. Ma il suo nome risuona anche su molte altre montagne, dallo Yosemite (USA) alle vette dell’Asia, passando per le Ande sudamericane senza dimenticare il gruppo del Monte Bianco.

Huber si spinge anche fino all’Antartide dove compie scalate prodigiose in condizioni estreme, con temperature al di sotto di -20°.
Tutte queste imprese portano Reinhold Messner a definirlo, nel 2003, il miglior arrampicatore del mondo.
Gregori scrive: “Huber è il pioniere del nuovo alpinismo. Non gli interessano gli ottomila. È attirato solo dalla novità, dalla bellezza della roccia, dalla difficoltà e dalla varietà. Il suo eclettismo è mostruoso”.








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