Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, un termine generale che si riferisce alla perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita quotidiana.
Circa il 50-80% delle persone che soffre di demenza è affetto da vero e proprio disturbo di Alzheimer.
Pur coinvolgendo prevalentemente i soggetti anziani, il morbo di Alzheimer non è solo una malattia della vecchiaia.
Fino al 5% delle persone che ne cadono vittime riscontra un’insorgenza precoce del disturbo (nota anche come “insorgenza anticipata”), che spesso appare tra i quaranta e i sessant’anni.
Oggi, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa 35,6 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza. Di queste, il 60-70% (tra i 21 e i 25 milioni) è affetto da Alzheimer.
Anche in Italia la patologia ha dimensioni rilevanti: secondo l’Istat un milione è il numero di italiani colpito da demenza e il 54% circa è dovuto al morbo di Alzheimer.
Si stima che il numero di casi di demenza in Europa passerà dai 7,7 milioni del 2001 a 15,9 milioni nel 2040.
La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.
All’esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale. Infatti, evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neurofibrillari.
Oggi le placche formate da proteine amiloidi e i viluppi vengono considerati gli effetti sui tessuti nervosi di una malattia di cui, nonostante i grandi sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.
L’Alzheimer una delle malattie neurodegenerative più in crescita, ma non è inevitabile: rallentare il decadimento nervoso è possibile. Scopriamo come.
1. L'Alzheimer si può prevenire
È vero: l’invecchiamento dei neuroni ci spaventa.
Tremiamo all’idea di ritrovarci il cervello annebbiato, di dimenticare chi siamo, di non riuscire a esprimere a parole quel che agita il nostro cuore o alberga nei nostri pensieri.
Ci terrorizza l’idea di perdere i ricordi, di non poter più rivivere le corse da bambini, il primo bacio, la nascita di un figlio, le nuotate nel mare...
Tutto ciò può succedere, perché il nostro cervello purtroppo non è immune dai disturbi. Lo spettro che si aggira per l’Europa, e il mondo occidentale in genere, da qualche anno si chiama Alzheimer.
È una delle malattie neurodegenerative in crescita. I motivi sono diversi. Il primo è l’aumento dell’aspettativa di vita; l’uomo è passato dai 35 anni di età media dell’era preindustriale ai 75 di oggi (che diventano 80 in alcuni Paesi, come il nostro). Merito dello stile di vita e dei passi avanti della medicina. Il cervello, però, non si spegne mai.
E se i progressi della farmacologia ci hanno regalato la pasticca per il cuore e la pressione, gli antibiotici, la pillola per il diabete e tutta una serie di farmaci, la nostra centralina pensante non dispone di grandi aiuti farmacologici per contrastare le malattie neurodegenerative, la demenza senile ma anche i normali processi legati all’invecchiamento cerebrale, come la perdita di memoria, di attenzione e di vivacità mentale.
Ci sono però due buone notizie: la prima è che il cervello invecchia più lentamente del resto del corpo. Quando passano gli anni i muscoli perdono tono e volume, le gambe sono più lente, ma noi siamo comunque in grado di leggere, ridere e scherzare con gli amici, suonare uno strumento.
Ci basta continuare a fare le stesse cose di prima, o ancora meglio qualcosina di più. Perché è vero che il cervello può perdere neuroni, per un ineluttabile decadimento naturale, ma lo fa se glielo permettiamo.
E questa è la seconda notizia: possiamo rallentare l’invecchiamento delle cellule nervose tenendole attive; perché solo se sono prive di stimoli si atrofizzano e muoiono, spegnendo l’area cerebrale di cui fanno parte.
Ma come sono fatti i neuroni? I neuroni sono composti da tre parti: il corpo cellulare, l’assone (o neurite) e i dendriti.
Il corpo cellulare, o soma, contiene il nucleo, che ospita il progetto genetico che dirige e regola le attività della cellula.
I dendriti sono strutture simili a rami che si estendono dal corpo cellulare e raccolgono informazioni da altri neuroni.
L’assone è una struttura simile a un cavo elettrico, ricoperto di mielina, che trasmette messaggi ad altri neuroni attraverso le sinapsi, terminali dove arriva e parte il messaggio verso altri neuroni.
I neuroni sono sempre in contatto tra loro. Quando uno riceve segnali da altri neuroni, genera una carica elettrica che viaggia lungo l’assone e rilascia sostanze chimiche, i neuro- trasmettitori, attraverso un piccolo spazio, chiamato sinapsi.
Come una chiave che si inserisce in una serratura, ciascuna molecola di neurotrasmettitore si lega quindi a specifici recettori del dendrite di un neurone vicino. Questo processo innesca segnali chimici o elettrici che stimolano o inibiscono l’attività nel neurone ricevente. La comunicazione avviene attraverso le reti di cellule cerebrali.
Le sinapsi, collocate sull’assone dei neuroni, connettono le cellule neuronali tra di loro. Ogni neurone può stabilire da 1.000 a 10.000 connessioni con altri. Moltiplicando per 100 miliardi di neuroni, questo vuol dire che un cervello al 100% delle sue possibilità funzionali potrebbe avere un milione di miliardi di connessioni!
Ma, come è noto, noi utilizziamo solo in parte le potenzialità della nostra mente. È importante invece riuscire ad aumentare le nostre connessioni sinaptiche, a qualsiasi età, perché questo aiuta a costruirci una “riserva” tale da prevenire o da ridurre i danni dovuti all’Alzheimer o ad altri tipi di demenza.
2. Provare piacere ci mantiene giovani
Ma in che cosa consiste, allora, un buon allenamento cerebrale?
La risposta è tanto scontata quanto vera: l’attività fisica costante, la dieta sana, una vita sociale intensa e divertente, interessi culturali diversificati e stimolanti sono tutte attività che mantengono giovane il cervello.
L’importante è fare cose che ci piacciono. Il nostro encefalo ha bisogno come il pane di dopamina, la molecola che si libera quando siamo soggetti a uno stimolo positivo, e di serotonina, il neurotrasmettitore che regola l’umore.
Ci sono anche altri strumenti che agiscono più specificamente sul cervello e aiutano a prevenire l’Alzheimer. Eccone alcuni:
- Mai smettere di imparare
Le ricerche lo dimostrano: tanto maggiore è il numero di anni di studio, quanto minore il rischio di soffrire di Alzheimer.
Ci sono persone che hanno svolto attività mentalmente impegnative nel corso della vita e non hanno manifestato sintomi di demenza, benché il loro cervello (come è risultato dall’autopsia) manifestasse già tracce di degenerazione provocata dall’Alzheimer.
Lo studio, la lettura, l’esercizio mentale, ma anche l’apprendimento di nuove abilità fisiche, come il ballo, uno sport e il bricolage, fanno “espandere” il cervello e ostacolano i processi di degenerazione neuronale.
- Sì alla socialità
Si diventa vecchi mentalmente quando ci si rinchiude nelle abitudini, si perde la curiosità e la passione.
Non è solo un modo di dire, ma un’evidenza dimostrata dalla scienza: il cervello si sviluppa grazie alle novità, ai cambiamenti, agli input diversi dal consueto.
I rapporti sociali e affettivi sono un’altra fonte di vitalità per i nostri neuroni. Se sappiamo coltivare questi stimoli possiamo vivere una vita più piena e sviluppare le nostre capacità mentali a ogni età.
- Fai viaggiare la fantasia
Il viaggio, la dimensione della scoperta, conoscere culture diverse è una palestra per esercitare la propria plasticità cerebrale.
Si può viaggiare con la mente, leggendo romanzi che scatenano una sorta di rivoluzione cerebrale.
Due studi, pubblicati su “Brain Connectivity” e “Psychological Science” hanno dimostrato che la narrativa aiuta a mettere in contatto diverse aree, costruendo “ponti”, le connessioni neurali, che servono a mantenere attivo il linguaggio, la memoria, il ragionamento e l’immaginazione.
Ma non è tutto: il tipo di letture può influenzare la struttura del cervello. I romanzi surrealisti, in cui la realtà è descritta come è vista dalla fantasia dell’autore, aiutano a ragionare in maniera differente.
Gli studiosi citano Kafka, che descrive un mondo immaginario come se fosse la piatta quotidianità.
3. Una forma di demenza ancora da studiare
Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, un termine generale che si riferisce alla perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita quotidiana.
Circa il 50-80% delle persone che soffre di demenza è affetto da vero e proprio disturbo di Alzheimer. Pur coinvolgendo prevalentemente i soggetti anziani, il morbo di Alzheimer non è solo una malattia della vecchiaia.
Fino al 5% delle persone che ne cadono vittime riscontra un'insorgenza precoce del disturbo (nota anche come “insorgenza anticipata"), che spesso appare tra i quaranta e i sessant'anni.
Oggi, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa 35,6 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza. Di queste, il 60-70% (tra i 21 e i 25 milioni) è affetto da Alzheimer.
Anche in Italia la patologia ha dimensioni rilevanti: secondo l’Istat un milione è il numero di italiani colpito da demenza e il 54% circa è dovuto al morbo di Alzheimer.
Si stima che il numero di casi di demenza in Europa passerà dai 7,7 milioni del 2001 a 15,9 milioni nel 2040.
Anche se la ricerca non è ancora giunta alla piena comprensione dei meccanismi che sottendono lo sviluppo della malattia di Alzheimer, sono stati identificati diversi fattori che aumentano il rischio:
• storia familiare: avere un parente che ha sofferto del morbo aumenta il rischio di ammalarsi. Ciò fa pensare che esistano fattori genetici che predispongono alla sua insorgenza;
• traumi cranici: le persone che hanno subito traumi alla testa o colpi di frusta hanno maggiori probabilità di sviluppare la patologia;
• malattie vascolari: il morbo di Alzheimer può sovrapporsi o essere favoriti dal malfunzionamento dei piccoli vasi sanguigni del cervello. Questo a sua volta può avere altri fattori di rischio, come il fumo, l’obesità, il diabete, la pressione e il colesterolo alti;
• sindrome di Down: le persone affette da trisomia del cromosoma 21 hanno un maggior rischio di sviluppare la patologia, probabilmente a causa di una produzione anomala di diverse proteine.
La diagnosi precoce è fondamentale? Indubbiamente sì. Come in altre malattie neurodegenerative, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro.
Oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente.
Questo significa che durante il decorso della malattia si può solo dichiarare la possibilità o la probabilità che la persona soffra di Alzheimer “possibile” o “probabile”. Per questo i medici si avvalgono di diversi test:
• esami clinici, come quello del sangue, delle urine o del liquido spinale;
• test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, di contare e di dialogare, il grado di attenzione;
• Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità.
Questi esami permettono al medico di escludere altre possibili cause che portano a sintomi analoghi, come problemi di tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi sanguigni che irrorano il cervello.
4. Si perde prima la memoria e poi la parola
Gran parte dei sintomi della malattia di Alzheimer è simile o uguale ad altre forme di demenza.
La progressione il più delle volte è lenta e può impiegare anche molti anni a dare segnali allarmanti.
Tuttavia non sempre è così: l’Alzheimer tende a presentarsi in forme e con velocità diverse da un individuo all’altro.
Nella maggior parte dei casi, i malati hanno seri problemi con la memoria a breve termine; per esempio non ricordano dove hanno lasciato la borsa o il portafogli, oppure si dimenticano di pagare le bollette e di preparare i pasti, o non si presentano a un appuntamento.
L’esordio sintomatico è lento, ma nel corso degli anni conduce a un progressivo peggioramento di numerose funzionalità cerebrali che portano il paziente alla perdita della propria indipendenza di vita e al totale isolamento dal mondo circostante.
I disturbi cognitivi possono essere presenti anche anni prima che venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer.
•Alzheimer lieve: i sintomi più comuni nei primi stadi dello sviluppo della malattia sono perdita di memoria a breve termine, sbalzi d’umore, problemi ad articolare le parole. Ciò avviene poiché le prime aree del cervello a subire un deterioramento sono quelle che controllano la memoria e il linguaggio.
•Alzheimer moderato: al progredire della malattia possono comparire disorientamento, difficoltà a orientarsi nello spazio, problemi alla vista, allucinazioni, comportamenti ossessivi e ripetitivi, disturbi del sonno, incontinenza.
•Alzheimer severo: nella fase più avanzata della malattia i sintomi comparsi in precedenza diventano più accentuati. Inoltre possono aggiungersi problemi a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito, maggiore sensibilità alle infezioni. Questo insieme di sintomi fa sì che già dallo stadio moderato dell’Alzheimer, il malato abbia bisogno di assistenza costante, che diventa sempre più intensa al progredire della patologia.
Ma cosa succede nella testa? La malattia di Alzheimer è causata da un processo di atrofizzazione progressivo di aree via via più estese del cervello, processo che ne altera la capacità di funzionare correttamente.
Nei pazienti affetti da tale demenza si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive.
Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.
Non è noto cosa inneschi questo meccanismo; tuttavia una peculiare caratteristica del cervello delle persone affette da Alzheimer è la presenza di una quantità abnorme di una proteina (amiloide), che si condensa in placche.
Un altro fattore tossico di questa malattia sono i grovigli neurofibrillari: si tratta di accumuli anormali di una proteina chiamata tau che si trova all’interno dei neuroni, nelle strutture chiamate microtubuli che guidano i nutrienti nel passaggio dal nuclei della cellula verso l’assone, struttura simile a un cavo elettrico che trasmette messaggi agli altri neuroni.
Nei neuroni normali, la proteina si lega a tali microtubuli e li stabilizza. Nella malattia di Alzheimer, alterazioni chimiche causano il distacco della proteina tau dai microtubuli e l’unione con altre molecole simili, con la formazione di fili appiccicosi che si uniscono in grovigli che occupano i neuroni e ne bloccano le funzioni.
Fra i fattori sospettati c’è anche l’infiammazione cronica dovuta all’accumulo di cellule gliali, normalmente deputate a eliminare e distruggere rifiuti e tossine, che nell’Alzheimer non riescono a svolgere questi compiti.
Cambia anche la chimica del cervello: cala l’acetilcolina, la sostanza che aiuta a immagazzinare i ricordi, e aumenta il glutammato, che in dosi eccessive direziona un flusso di calcio nei neuroni, che li conduce alla morte.
5. Attenzione: non è sempre Alzheimer!
La perdita di memoria può rappresentare anche un’evoluzione fisiologica dell’invecchiamento.
Succede al 60-70% delle persone dopo i 65 anni, che avvertono una sorta di appannamento della mente, ma solo il 5% sviluppa una malattia di Alzheimer.
Nella fase iniziale del declino cognitivo, poi, i sintomi sono lievi e possono essere scambiati per banali dimenticanze, distrazione o confusione legate all’età.
È opportuno dunque prestare attenzione ai primi sintomi di disagio mentale, senza alimentare eccessive preoccupazioni per piccoli vuoti di memoria che non sono sintomi di una vera e propria demenza. Ecco dieci sintomi a cui stare attenti.
1. Si comincia a perdere la memoria
Uno dei segnali più comuni del morbo di Alzheimer è la perdita di memoria; si tende soprattutto a dimenticare informazioni apprese di recente.
Altri segnali sono: scordare date o eventi importanti, chiedere le stesse informazioni più volte, avere maggiore bisogno di contare su strumenti di ausilio (ad esempio, note di promemoria o dispositivi elettronici) o dover contare su membri della famiglia per far fronte a scadenze che si era soliti gestire in proprio.
Ma è normale, con il passare degli anni... dimenticare talvolta i nomi o gli appuntamenti e ricordarli più tardi.
2. Si ha difficoltà a risolvere dei problemi
Alcune persone possono sperimentare cambiamenti nella loro capacità di sviluppare e seguire un programma o lavorare con i numeri.
Possono avere problemi a ricordare una ricetta che era loro familiare o a tenere traccia delle bollette mensili.
Si può avere difficoltà a concentrarsi e impiegare molto più tempo di prima per fare le cose.
Ma è normale, con il passare degli anni... fare errori occasionali, quando si fanno i conti o metterci un po’ di tempo in più a risolvere problemi.
3. Non si riesce a svolgere normali attività familiari a casa, al lavoro o nel tempo libero
Le persone che soffrono del morbo di Alzheimer hanno spesso difficoltà a completare le attività quotidiane.
A volte, possono avere problemi a percorrere la strada verso un luogo familiare, per eseguire un compito specifico al lavoro o ricordare le regole di un gioco preferito.
Ma è normale, con il passare degli anni... occasionalmente avere bisogno di aiuto per utilizzare le impostazioni di un forno a microonde o per registrare un programma televisivo.
4. Si fa confusione con tempi o luoghi
Chi è affetto da morbo di Alzheimer può perdere il senso delle date, delle stagioni e del passare del tempo.
Può avere difficoltà a capire qualcosa se non avviene immediatamente. A volte, si ci può dimenticare dove si trovano o come si è arrivati lì.
Ma è normale, con il passare degli anni... confondersi circa il giorno della settimana, ma accorgersi subito dell’errore.
5. Difficoltà a capire le immagini visive e i rapporti spaziali
Avere problemi visivi può essere un segnale del morbo di Alzheimer.
Si può avere difficoltà a leggere, a giudicare la distanza e a stabilire il colore o il contrasto.
In termini di percezione, si può passare davanti a uno specchio, e pensare che qualcun altro sia nella stanza. Potrebbero non capire di essere loro la persona nello specchio.
Ma è normale, con il passare degli anni... manifestare disturbi visivi legati all’età come la maculopatia o la cataratta.
6. Si manifestano problemi di linguaggio
Chi soffre del morbo di Alzheimer può avere difficoltà a seguire o a partecipare a una conversazione.
Può capitare che si fermi nel mezzo di una conversazione senza continuare, oppure può accadere che si ripeta.
Può avere problemi a trovare la parola giusta o chiamare le cose con il nome sbagliato (ad esempio, chiamare “orologio a mano” un “orologio da polso”).
Ma è normale, con il passare degli anni... a volte, avere problemi a trovare la parola giusta.
7. Non trovare le cose e perdere la capacità di ripercorrere i propri passi
Le persone che soffrono del morbo di Alzheimer possono lasciare gli oggetti in luoghi insoliti.
Possono perdere le cose e non essere in grado di tornare sui propri passi per trovarle di nuovo. A volte, possono accusare gli altri di averli rubati.
Con il passare del tempo, ciò può verificarsi più frequentemente.
Ma è normale, con il passare degli anni... perdere le cose di tanto in tanto e ripercorrere i propri passi per trovarle.
8. Si ha una ridotta o scarsa capacità di giudizio
Chi soffre del morbo di Alzheimer può sperimentare cambiamenti nel giudizio o nel processo decisionale.
Ad esempio, queste persone possono dare prova di scarsa capacità di valutazione nel maneggiare il denaro, spendendo forti somme in modo immotivato.
Possono prestare meno attenzione alla cura della propria persona o a tenersi puliti.
Ma è normale, con il passare degli anni... prendere una decisione sbagliata di tanto in tanto.
9. Ritiro dal lavoro o dalle attività sociali
Le persone che soffrono del morbo di Alzheimer possono iniziare a rinunciare a hobby, attività sociali, progetti di lavoro o attività sportive.
Possono avere problemi nell’aggiornarsi sulla squadra sportiva preferita o nel ricordare come completare un’attività tra quelle che seguono.
Possono anche essere poco propensi alla socializzazione a causa dei cambiamenti che stanno vivendo.
Ma è normale, con il passare degli anni... a volte sentirsi stanco di fronte agli obblighi di lavoro, familiari e sociali.
10. Cambiamenti di umore e di personalità
L’umore e la personalità delle persone che soffrono del morbo di Alzheimer possono cambiare; possono diventare confusi, sospettosi, depressi, spaventati o ansiosi.
Possono essere facilmente suscettibili al lavoro, con gli amici o nei luoghi nei quali sono al di fuori della loro zona di comfort.
Ma è normale, con il passare degli anni... sviluppare modi molto specifici di fare le cose ed irritarsi quando una routine viene interrotta.