Nella mitologia greca le amazzoni erano feroci guerriere che vivevano nei territori attorno al mar Nero.
In diversi racconti i più importanti eroi greci sono impegnati a dimostrare il loro coraggio affrontando le formidabili regine di questa tribù.
Teseo, il leggendario fondatore di Atene, combatte contro l’amazzone Antiope e la sconfigge. La nona fatica di Eracle (Ercole per i romani) consiste nel rubare la cintura della regina Ippolita. I
noltre, durante la guerra di Troia l’eroe greco Achille e l’audace guerriera Pentesilea si scontrano in un corpo a corpo sul campo di battaglia.
Ma secondo alcune recenti scoperte archeologiche, le intrepide donne guerriere delle steppe dell’Asia centrale che tanto affascinavano i greci non furono una semplice leggenda…
1. Uguali agli uomini
Definite dai greci “uguali agli uomini”, le amazzoni erano considerate capaci di dimostrare in guerra un coraggio e un’abilità pari a quelli maschili.
Nelle rappresentazioni artistiche e letterarie ne veniva evidenziata la bellezza e l’audacia, ma si sottolineava anche il fatto che fossero armate e pericolose.
Già all’epoca dell’Iliade omerica (intorno all’ottavo secolo a.C.), le loro appassionanti avventure erano note a uomini, donne e bambini. Le amazzoni erano tradizionalmente raffigurate a cavallo, vestite con pantaloni e stivali, intente a scagliare frecce, brandire asce da guerra, lanciare giavellotti, battersi e morire eroicamente.
Erano un tema ricorrente nella decorazione della ceramica domestica e nella statuaria pubblica. Gli edifici e i templi erano spesso adornati con vivaci scene di battaglia che avevano per protagoniste le indomite guerriere.
Ma si trattava semplicemente di figure di fantasia? I ritrovamenti archeologici di tombe di donne sepolte con armi costituiscono una prova del fatto che le storie sulle amazzoni s’ispiravano alle nomadi dell’Eurasia. Le guerriere dei miti greci si dedicavano alla caccia e all’attività bellica e avevano il controllo della propria vita sessuale.
Queste stesse caratteristiche sono state osservate tra le popolazioni che abitavano la Scizia, nome con cui il mondo ellenico denominava il vasto territorio che si estende tra l’Ucraina e la Mongolia attuali. Gli sciti erano nomadi che andavano a cavallo e cacciavano con l’arco.
Entrarono in contatto con i greci nel settimo secolo a.C., quando questi iniziarono a fondare colonie intorno al mar Nero.
Proprio nel periodo in cui s’intensificò il rapporto tra queste due culture, le descrizioni e le rappresentazioni artistiche e letterarie delle amazzoni si arricchirono di dettagli più realistici, che rispecchiavano gli usi, i costumi, le armi e i cavalli delle popolazioni nomadi della steppa. Intorno al 450 a.C.
Erodoto e altri autori riportarono che le donne scite combattevano accanto agli uomini, a cavallo, proprio come le leggendarie amazzoni. Vari storici greci e romani dell’antichità riferirono che Ciro di Persia, Alessandro Magno e il generale romano Pompeo si erano imbattuti in gruppi di donne guerriere nei territori orientali.
Le tombe scite rivelano un alto livello di parità tra i generi, cosa che dovette sconcertare i greci, le cui mogli e figlie trascorrevano la vita a casa, dedicandosi alla tessitura e alla cura degli altri. Queste donne nomadi invece conducevano una dura esistenza accanto agli uomini in un territorio inospitale.
Le tribù vivevano in costante movimento, in cerca di pascoli e cacciagione, saccheggiando città straniere e combattendo contro le popolazioni ostili. Tutti i membri della comunità, maschi e femmine, giovani e vecchi, partecipavano alla difesa del gruppo per assicurarne la sopravvivenza.
Era una questione di logica e di necessità che s’insegnasse a cavalcare, tirare con l’arco, cacciare e combattere sia ai ragazzi sia alle ragazze. Questo stile di vita favoriva l’uguaglianza, perché una donna armata di arco sul dorso di un cavallo veloce poteva essere altrettanto letale di un uomo.
2. Una vita nomade
Lo stile di vita egualitario degli sciti era molto diverso da quello sedentario e agricolo dei greci. Il fatto che le donne potessero essere messe sullo stesso piano degli uomini suscitava nel mondo ellenico sentimenti contrastanti.
L’idea era tanto stimolante quanto minacciosa e ispirò un gran numero di storie avvincenti di guerriere barbare che si battevano “con il coraggio e l’abilità dei maschi”.
Nei loro miti incentrati sull’audacia delle amazzoni, i greci creavano probabilmente uno spazio protetto all’interno del quale esplorare l’idea dell’uguaglianza di genere, un’utopia nella loro società patriarcale in cui gli uomini dominavano e controllavano le donne.
Il ritrovamento di centinaia di tombe contenenti scheletri femminili con cicatrici di guerra, sepolti con armi, conferma l’esistenza di guerriere.
Eppure alcuni esperti continuano ad aggrapparsi all’idea ormai obsoleta che le amazzoni non siano altro che figure immaginarie, create al puro scopo di essere sottomesse dagli eroi greci.
Altri insistono sul fatto che tali leggende sono una dimostrazione dell’odio e della paura dei greci nei confronti delle donne e un tentativo di giustificare il dominio maschile su di loro.
Secondo questa teoria le amazzoni non potevano mai assurgere a uno status realmente eroico ed erano immancabilmente destinate alla sconfitta. Nei racconti mitologici infatti vengono sempre sconfitte dagli eroi maschili. Detto in altre parole, il pubblico greco voleva solo ascoltare storie che celebrassero i propri trionfi.
C’era un unico motivo per cui le guerriere erano sempre presentate come dotate di un coraggio e un’abilità pari a quelli degli uomini: l’eroe in cerca di gloria doveva battersi con avversari del suo livello; non c’era niente di onorevole nello sbaragliare un nemico più debole.
Ecco perché le pitture raffiguranti le battaglie contro le amazzoni che decorano le ceramiche greche sono cariche di tensione. Le guerriere lottano sempre fino alla morte, riuscendo in alcuni casi anche a uccidere i loro oppositori maschili.
Nell’immagine sotto, si può vedere l’altopiano dell’Ukok e, sullo sfondo, il Tavan Bogd Uul, appartenente alla catena degli Altaj. Queste terre inospitali furono descritte da Erodoto nelle sue Storie. Nel libro IV l’autore parla dei fiumi che attraversano la regione, di cui descrive così i pascoli: «Fra tutte le erbe di nostra conoscenza, il foraggio che cresce nella Scizia è quello che più bile fa produrre al bestiame; lo si può vedere chiaramente quando si sventrano gli animali».
3. Testimonianze archeologiche
Alla fine l’archeologia è riuscita a dimostrare che le amazzoni non furono una pura invenzione di fantasia e che alcune concezioni relative al mito delle amazzoni sono false.
Per esempio l’idea secondo la quale si asportassero il seno destro per poter tirare meglio con l’arco.
Questa leggenda iniziò a circolare già nel 490 a.C., quando lo storico Ellanico di Lesbo si convinse che l’etimologia del termine fosse il greco mazos, che significa “seno”, preceduto da una“a”con valore privativo.
Ma in realtà questa teoria era messa in dubbio già dai suoi contemporanei, e non fu mai accettata né dai pittori né dagli artigiani dell’antichità. Nelle opere greche e romane infatti le guerriere hanno sempre entrambi i seni, che di fatto non rappresentano alcun inconveniente per il tiro con l’arco.
Un’altra credenza persistente già diffusa tra gli antichi è che le amazzoni fossero una tribù di cacciatrici di uomini, donne autoritarie che schiavizzavano e mutilavano i maschi e uccidevano o ripudiavano i bambini.
Forse quest’idea nacque proprio dal fatto che i greci opprimevano le loro compagne: pertanto ritenevano logico che se queste avessero raggiunto una parità di forza e indipendenza avrebbero necessariamente cercato di assoggettarli.
Eppure Omero si riferiva alle amazzoni con un termine che significa “uguali agli uomini”, e molti poeti greci le definivano“amanti degli uomini”. Alcuni esperti moderni suggeriscono che si trattasse di donne che avevano rinunciato alla maternità per dedicarsi all’attività bellica.
Ma quest’ipotesi è confutata dall’esistenza di documenti di epoca greca dove si elencano varie generazioni di amazzoni, tutte con un lignaggio matrilineare.
Inoltre vari storici di quel periodo menzionano il fatto che le guerriere allattavano i figli con latte di giumenta, il che già di per sé smentisce una presunta mancanza di prole, contraddetta anche dal ritrovamento di scheletri infantili nelle tombe di donne sepolte con le loro armi.
Nella foto sotto, un guerriero greco afferra un’amazzone per i capelli in battaglia. La donna ha ancora lo scudo, ma l’ascia giace ai suoi piedi. Museo archeologico nazionale, Atene.
4. Figure autentiche
Recentemente fu scoperto che le guerriere delle vaste steppe dell’Asia centrale influenzarono anche altre culture antiche entrate in contatto con i nomadi sciti.
Racconti e testimonianze storiche di donne simili alle amazzoni apparvero in Egitto, Persia, Caucaso, India e Cina.
Il mito della giovane eroina cinese Hua Mulan affonda le sue radici nelle popolazioni nomadi eurasiatiche.
Nell’antica Grecia storici come Erodoto, Strabone e altri non solo non mettevano in dubbio l’esistenza di guerriere, ma le identificavano proprio con le nomadi scite.
Curiosamente anche il filosofo Platone scrisse di queste feroci combattenti sospese tra mito e realtà; le abitanti della Scizia compaiono nella sua opera intitolata Leggi, un dialogo incentrato su come educare i cittadini per prepararli alla pace e alla guerra.
Nello stato ideale proposto da Platone, i bambini e le bambine dovevano apprendere il tiro con l’arco, l’equitazione e l’uso del giavellotto e della fionda a partire dai sei anni di età.
È interessante notare che non si tratta delle classiche discipline cui venivano addestrati gli opliti, i guerrieri greci tradizionali. In realtà queste attività rispecchiano accuratamente l’educazione degli arcieri nomadi sciti. Ai tempi di Platone, nel quarto secolo a.C., la Scizia era già nota per la presenza di guerriere che combattevano a cavallo al fianco degli uomini.
Platone proponeva dunque che maschi e femmine della sua repubblica ideale adottassero uno stile di vita scita, precisando che sarebbero stati degli insegnanti stranieri ad addestrare i giovani a cavalcare e a tirare con l’arco in grandi spazi all’aperto appositamente creati a questo scopo.
Secondo Platone, le bambine dovevano ricevere la stessa formazione dei bambini nell’atletica, nell’equitazione e nell’uso delle armi. Questo avrebbe garantito che in caso di emergenze le donne greche sarebbero state in grado di usare archi e frecce «come le amazzoni» e di battersi al fianco degli uomini in un eventuale conflitto contro dei nemici esterni.
L’approccio del filosofo ateniese, molto distante dalla tradizionale visione greca dei ruoli di genere, non era giustificato solo da vecchie leggende sulle mitologiche guerriere.
Platone sostiene: «Vi è un numero immenso di donne che vivono nel Ponto [...] alle quali non viene soltanto ordinato [...] di prendere confidenza con i cavalli, ma anche con l’uso degli archi e delle altre armi, allo stesso modo dei maschi».
E poco dopo aggiunge: «Il sesso femminile presso di noi deve prendere parte all’educazione e a tutto il resto come il sesso maschile». Uomini e donne avevano insomma un medesimo dovere di coltivare le abilità belliche per perseguire «un obiettivo comune».
Platone sosteneva che questo tipo di cooperazione reciproca e d’istruzione egualitaria fossero essenziali per il successo della società. Il filosofo riteneva «insensato» che gli stati si discostassero dalla sua proposta, perché così facendo avrebbero sviluppato solo metà del loro potenziale.
Seguendo le sue indicazioni, invece, avrebbero potuto «raddoppiare i loro risultati» a parità di costi e di sforzi. Il filosofo ateniese paragonava questo approccio inclusivo ed equo alle abilità dei famosi arcieri sciti, capaci di tendere la corda dell’arco con entrambe le mani.
Il fatto di essere ambidestri è cruciale quando si combatte con un arco o una lancia, afferma Platone, per poi aggiungere che tutti i bambini e le bambine dovrebbero imparare a usare entrambe le mani allo stesso modo.
Nella foto sotto, "La Battaglia delle Amazzoni" (o Amazzonomachia), un dipinto realizzato intorno al 1615 dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens.
5. Il fascino delle amazzoni
Secondo il filosofo l’esempio delle donne scite dimostra che è possibile e vantaggioso per uno stato concedere alle donne lo stesso livello di educazione e lo stesso stile di vita degli uomini, e che una società che si rifiutasse di farlo commetterebbe un errore.
Il mondo ellenico elaborava racconti immaginari a partire da eventi reali. In questo modo diede vita a quell’universo mitologico popolato da amazzoni che tanto continua ad affascinarci.
Anche gli uomini greci erano attratti da queste figure femminili apparentemente così diverse dalle loro madri, zie, sorelle, mogli e figlie. L’idea di un’effettiva parità tra uomo e donna probabilmente li turbava, ma era anche una prospettiva che amavano esplorare nei loro miti, nell’arte, nel teatro e nella filosofia.
Non va dimenticato che proprio nell’antica Atene nacquero gli ideali democratici ed egualitari, e che varie opere teatrali molto popolari di quel periodo avevano per protagoniste donne forti e indipendenti.
L’infinità di leggende fiorite attorno alle amazzoni offrì all’epoca classica la possibilità d’immaginare l’uguaglianza tra uomini e donne. Perché l’attrazione di queste figure continua a essere così forte?
Al centro della maggior parte delle storie che ruotano attorno a queste protagoniste sembra esserci l’eterna lotta per l’armonia e l’equilibrio tra uomini e donne.
Per i greci come per altre culture, i miti in cui comparivano queste guerriere di cui oggi esistono testimonianze storiche erano un immenso serbatoio di racconti avvincenti su personaggi maschili e femminili uguali tra loro.
Tali storie continuano a suggerire che è possibile impostare relazioni di genere paritarie. Se è accaduto nel passato, non dovrebbe essere impossibile oggi.
Nella foto sotto, un dipinto che decora il cosiddetto “sarcofago delle amazzoni”. La scena mostra due guerriere nomadi che sconfiggono un greco. Arte etrusca. IV secolo a.C. Museo archeologico, Firenze.