Un artista squattrinato, provocatorio e anticonformista.
Un uomo fascinoso, bello e sciupafemmine, con tendenze autodistruttive e una malsana affezione per alcol, assenzio e hashish; un genio incompreso dalla vita tragica e la quotidianità turbolenta.
Questa è la versione stereotipata che da un secolo imprigiona Amedeo Modigliani (1884-1920), uno dei maggiori pittori italiani del Novecento.
La figlia Jeanne, storica e critica dell’arte, ha cercato disperatamente di liberare il padre dal cliché del “genio maledetto”, ma i cliché, si sa, sono pervicaci perché nascono da un fondo di verità.
In effetti, Amedeo Modigliani, chiamato Modì alla francese per assonanza con maudit, maledetto, è stato davvero un genio incompreso, provocatorio, squattrinato e dedito agli abusi. Ma non è stato solo questo.
Modì è stato soprattutto un artista complesso, colto, raffinato e innamorato della vita. Si definiva “un ebreo patrizio”: nato in una famiglia borghese di origine sefardita, per tutta la vita conservò sempre modi aristocratici e gentili.
Ma chi era veramente Amedeo Modì Modigliani? Scopriamolo insieme.
1. Di buona famiglia
Amedeo Modigliani nasce a Livorno, nel 1884, da una famiglia di ebrei italiani
La madre, Eugénie Garsin, proviene dalla colta borghesia marsigliese, mentre il padre, Flaminio Modigliani, gestisce un’attività imprenditoriale, ma è sull’orlo della bancarotta.
Il 12 luglio Eugénie ha le doglie, Flaminio ha appena dichiarato il fallimento e arrivano a casa gli ufficiali giudiziari; il parto imminente blocca però il sequestro e Amedeo nasce tra l’argenteria e i gioielli di famiglia.
Dedo, come viene soprannominato, cresce senza il padre (che se ne va di casa per non tornare mai più), circondato dall’amore e dalle attenzioni della mamma, della zia e del nonno materno Isaac, che ne intuiscono il talento artistico e ne stimolano la curiosità culturale.
Il suo problema è la salute: tra il 1895 e il 1900 contrae una grave pleurite, la febbre tifoide, una polmonite, una seconda pleurite e infine la tubercolosi. Il suo destino è segnato.
La madre lo porta in convalescenza in giro per l’Italia, da Capri e Napoli a Venezia, lo asseconda nel talento artistico e lo spinge a studiare pittura prima a Firenze, con Giovanni Fattori, poi all’Accademia di Venezia.
Nel 1905 Dedo ha 21 anni ed è pronto ad abbandonare il nido. La mamma, nonostante le ristrettezze economiche, è riuscita a raggranellargli una piccola somma per lasciare l’Italia alla volta di Parigi.
2. Parigi, città degli artisti
Nella capitale francese, Dedo, o meglio Modì – come viene subito chiamato – va ad abitare in una comune per artisti squattrinati nel quartiere di Montmartre.
Il contatto con Picasso e i cubisti, con l’arte di Gauguin e Cézanne, con le tensioni che animano post-impressionisti, fauves e surrealisti gli fornisce gli stimoli necessari a raggiungere la piena maturità artistica.
Nel 1908 stringe amicizia con uno scultore di origine rumena, Constantin Brâncusi, che l’anno successivo gli trova un nuovo atelier alla Cité Falguière, a Montparnasse.
Modì versa in uno stato di cronica miseria ma è in pieno fervore creativo. Brâncusi lo spinge alla scoperta dell’arte africana e primitiva, contraddistinte entrambe da forme asciutte e stilizzate.
Modì si dedica alla scultura con la stessa tensione all’essenzialità e alla purificazione delle forme. Tra il 1909 e il 1914 completa circa 25 opere in pietra, per lo più rappresentazioni di teste femminili e figure di donna.
La polvere della pietra, però, aggrava la salute già compromessa dei suoi polmoni e l’artista è costretto a tornare al suo primo amore: la pittura.
Negli anni della Grande Guerra – Modì è riformato per ragioni di salute – si dedica ai ritratti e ai nudi femminili, dominati anch’essi da forme pulite, minimali e stilizzate che superano d’un balzo il piatto realismo dello stile accademico per cogliere l’essenza psicologica dei soggetti ritratti.
Lo stile è unico: la sua pittura non appartiene ad alcuna corrente. Nel dicembre 1917, il mercante d’arte Léopold Zborowski gli organizza la prima mostra personale presso la galleria parigina Berthe Weill.
Poco dopo l’inaugurazione, su segnalazione di alcuni benpensanti, interviene la polizia: nei nudi di Modì, sono dipinti i peli pubici! Il capo della polizia sente “puzza” di immoralità e oltraggio al pudore e fa chiudere la mostra.
3. Una travolgente storia d’amore
È probabilmente tra l’autunno 1916 e la primavera 1917 che Modì conosce una modella e pittrice di 19 anni: Jeanne Hébuterne.
È bellissima: ha la carnagione del viso diafana, d’un candore perlaceo, due grandi occhi azzurro cielo, una bocca perfetta e lunghissimi capelli scuri.
Nell’ambiente artistico la chiamano noix de coco, noce di cocco, per il suo aspetto esotico e seducente.
Modì ha 33 anni ed è libero – è appena uscito da una tormentata storia con Beatrice Hastings, una scrittrice inglese con cui ha diviso il letto e l’amore per l’alcol – e con Jeanne è amore a prima vista.
La famiglia di lei – madre casalinga e padre contabile – si oppone ferocemente alla relazione con un italiano donnaiolo, alcolizzato, senza un soldo né una professione degna di questo nome e per giunta ebreo.
Ma Jeanne, innamorata e sicura di sé, non sente ragioni. I suoi genitori, spaventati dal possibile scandalo, la sbattono fuori di casa e senza tanti complimenti chiudono con lei tutti i ponti.
Jeanne e Modì iniziano a convivere, ma poiché la salute del pittore peggiora a causa della tubercolosi, si trasferiscono in Costa Azzurra. A Nizza, nel novembre del 1918, Jeanne dà alla luce una bambina che Modì battezza col suo stesso nome: Jeanne.
Il 31 maggio 1919 la famiglia rientra a Parigi e va ad abitare in un appartamento in rue de la Grande Chaumière, nel 6° arrondissement. Jeanne è di nuovo incinta e Modì, pazzo d’amore e di felicità, inizia a ritrarla in una serie di tele passate alla storia come capolavori.
Poche persone, però, apprezzano l’arte dell’italiano e nella casa della coppia, frequentata dai maggiori artisti dell’epoca tra cui Picasso, girano pochi soldi. Troppo pochi.
4. Con l’inverno si avvicina la fine
Non c’è denaro per il riscaldamento e l’appartamento è un concentrato di spifferi gelati e umidità.
Un inferno per un tisico che non ha neppure i soldi per i farmaci anti-tosse. Dopo il capodanno del 1920, le condizioni di Modì hanno un repentino deterioramento.
Sviene per strada ed è portato a casa febbricitante, in stato di semincoscienza. Jeanne, sola, senza un soldo e disperata, rimane accanto al letto dell’amato per un’intera settimana, cercando di alleviargli le sofferenze come può.
Stremata dalla gravidanza – è all’ottavo mese – preoccupata per la bambina e devastata dalla malattia del proprio uomo, alla fine prende una decisione: il 22 gennaio lo fa ricoverare all’Hôpital de la Charité.
Modì è scosso dal delirio, bruciato da una febbre altissima e muore due giorni dopo di meningite tubercolare. Per Jeanne è la fine: uno strazio insopportabile le lacera il cuore. Con Modì perde tutto.
Né la figlia piccola né il bimbo che porta in grembo riescono a offrirle un appiglio cui aggrapparsi per rimanere in vita: nulla ha più senso. Ventiquattro ore dopo la morte dell’amato, si suicida: in piena notte, in silenzio, senza un grido, si butta dalla finestra della casa dei genitori, al quinto piano.
Lui viene sepolto in pompa magna, lei quasi di nascosto, sotto una coltre di vergogna. Ci vogliono ben 8 anni perché la salma di lei sia traslata accanto a quella di lui, nel cimitero parigino del Père Lachaise.
Modì è morto giovane e i suoi capolavori sono relativamente pochi. Il loro valore è costantemente cresciuto nel corso dei decenni sino a raggiungere cifre record nel XXI secolo.
Il 14 giugno 2010, una sua scultura, la Tête de Caryatide, è stata battuta all’asta nella sede parigina di Christie’s a 43,18 milioni di euro, mentre il 2 novembre dello stesso anni la sede newyorchese di Sotheby’s ha venduto il dipinto La Belle Romaine per 69 milioni di dollari.
Nel 2014, una “testa” di Modì è stata battuta da Sotheby’s, a New York, per quasi 71 milioni di dollari, mentre nel novembre 2015, il miliardario cinese Liu Yiquianla ha acquistato a New York la tela Nu couché per 170,405 milioni di dollari (pari a oltre 146 milioni di euro).
5. Storia di uno dei suoi ritratti più famosi e quei maledetti falsi
- Storia di uno dei suoi ritratti più famosi
Quello di Léon Indenbaum è uno dei più famosi ritratti eseguiti da Modì.
Léon era uno scultore ucraino che viveva a Parigi dal 1911; Modì lo conobbe alla fine della Grande Guerra.
Una sera del 1916 si incrociarono in un locale; Modì, che era un po’ alticcio, lo osservò a lungo e disse: «Mi piacerebbe farti un ritratto, ma non ho né tela né cavalletto. Potresti procurarmeli? Hai anche dei colori a olio nel tuo studio?».
Léon gli rispose che i colori li aveva; quanto alla tela, ne avrebbe recuperata una quella stessa notte.
La mattina successiva alle 9, Modì arrivò nello studio di Léon che nel frattempo aveva recuperato alcuni dipinti: erano stati offerti a un’asta benefica, ma erano rimasti invenduti e non reclamati.
Modigliani osservò le tele con attenzione: erano tutte ben dipinte, a eccezione di una, una vera crosta con un’orrida natura morta astratta. La prese, raschiò via la pittura e cominciò a dipingervi sopra.
Tornò in studio da Léon altre due mattine: il terzo giorno, dopo aver lavorato non più di una dozzina di ore, dichiarò completato il lavoro (Modì era famoso per la rapidità con cui ultimava i propri capolavori).
«Quanto ti posso dare, amico mio? Come vedi non nuoto nell’oro...», gli chiese Léon entusiasta. «Niente, è un regalo», rispose Modì con l’eleganza che gli era connaturata.
Léon, che sapeva quanto povero fosse Modì, rimase colpito. Qualche mese più tardi fu costretto a vendere il ritratto per 40 franchi.
Lo disse a Modì: «Non ti preoccupare, so bene cosa significa essere in miseria. Ti farò un altro ritratto alla prima occasione». Ma l’occasione non si presentò mai più.
- Quei maledetti falsi
- Livorno,1984
Vera Durbè, curatrice di un museo cittadino, convince il comune a dragare i Fossi Medicei in centro città. Pare che nel 1909 Modigliani vi abbia gettato alcune teste appena scolpite.
Il 24 luglio, all’ottavo giorno di scavo, finalmente emergono due teste e il 10 agosto viene ritrovata la terza; la notizia fa il giro d’Italia e d’Europa, gli studiosi d’arte si mobilitano, le teste vengono pulite ed esaminate e il responso è unanime: si tratta di autentici capolavori ineguagliabili!
A dire il vero, due sono le voci fuori dal coro: una è quella del critico Federico Zeri, l’altra è dell’esperto pisano Carlo Pepi.
È una bufala: dopo 40 giorni, si scopre che le teste non sono affatto di Modì: due sono state fatte da Angelo Froglia e una da tre ragazzotti livornesi, Pietro Luridiana, Michele Ghelarducci e Piefrancesco Ferrucci (nella foto piccola, in alto a sinistra), che speravano così di guadagnare qualcosa.
- Genova, 2017
Dagli anni 80 a oggi, i falsi di Modì si sono moltiplicati. Soprattutto in circostanze insospettabili.
È il caso, per esempio, di alcune opere esposte nella mostra internazionale Amedeo Modigliani a Palazzo Ducale, organizzata presso il Palazzo Ducale di Genova dal 16 marzo al 16 luglio 2017.
Poco prima della chiusura dell’esposizione, la Procura della Repubblica emise un decreto di sequestro di 21 dipinti sui 70 esposti oltre a tre avvisi di garanzia contro chi l’aveva organizzata.
Nel gennaio 2018 si è avuta la conferma ufficiale: secondo la perizia depositata in tribunale dal perito Isabella Quattrocchi, quei 21 quadri di Modigliani sequestrati sono falsi.
Tra due anni si festeggerà il centenario della morte di Modì e i critici sono in fermento: nessuno si azzarda a stilare il catalogo ragionato delle sue opere perché tutti temono d’imbattersi nell’ennesimo, imprevedibile falso.