I pulcini sono capaci di mettere in fila i numeri dai più piccoli ai più grandi e le api sanno contare fino a 3.
Gli scimpanzé modellano piccoli utensili e li usano per alimentarsi.
Gli esperti ne sono convinti: ogni specie ha il suo bagaglio di cognizioni fatto d’istinto e intelligenza.
Dalla Goodall in poi, le concezioni sulle capacità cognitive degli animali sono profondamente cambiate.
Oggi non li si considera più degli automi, capaci solo di rispondere a stimoli ambientali attraverso comportamenti stereotipati, quanto il risultato di un processo evolutivo e adattativo che ha miscelato istinto e intelligenza, dando a ciascuna specie quella “valigia” di abilità con la quale si destreggia con le sfide della natura.
La questione che l’intelligenza fosse legata alle dimensioni del cervello rispetto al corpo è stata dibattuta a lungo. Ora però ciò che si ritiene determinante è la morfologia delle cellule nervose in relazione alle dimensioni del cervello.
Gli scienziati oggi sono portati a ritenere che l’intelligenza sia la somma di tanti tipi diversi di capacità cognitive e che ogni specie abbia sviluppato il proprio bagaglio intellettivo sulla base della propria storia evolutiva.
Ma quanto sono intelligenti gli animali? Sanno, forse, fare i conti? Scopriamolo insieme.
1. È più intelligente il cane o il gatto? E i corvi?
Sebbene gli appassionati di una o dell’altra fazione siano convinti della superiorità intellettiva del proprio beniamino, gli scienziati oggi sembrano essere d’accordo sull’impossibilità di confrontare sullo stesso piano l’intelligenza dei cani e quella dei felini.
Le loro capacità intellettive, infatti, si sono sviluppate nell’evoluzione per far fronte a problemi e a necessità differenti.
Così il cane, che è un animale che vive in branco e si affida alla collaborazione con i familiari per sopravvivere, ha sviluppato soprattutto un’intelligenza di tipo soprattutto sociale. Di fronte a un problema cerca l’appoggio e la collaborazione dei compagni.
Viceversa il gatto, che è un cacciatore solitario, ha sviluppato un’intelligenza più di tipo “enigmistico”, ovvero più incline al problem solving: studia il problema e poi lo risolve.
I corvi risolvono i problemi meglio dei bambini. Studiando le capacità di risolvere i problemi dei corvi, i ricercatori dell’Università di Santa Barbara, in California, hanno scoperto che questi uccelli sanno mettere in atto un processo di relazione causa-effetto elaborando un pensiero causale.
Kitty, una cornacchia della Nuova Caledonia, ha superato bambini di 5 anni in test di problem solving, capendo per esempio di dover buttare sassi all’interno di un tubo per far salire il livello d’acqua e così acciuffare un boccone di carne portato a galla.
La maggior parte dei bambini tra 4-5 anni sottoposti a un analogo problema non è riuscito a risolverlo.
2. Le api sanno contare fino a 3 e i delfini dicono “non so”
In un esperimento condotto nel 2008, i ricercatori Dracke e Srinivasan dell’Università del Queensland, in Australia, hanno dimostrato che le api sanno contare.
Messo un po’ di sciroppo zuccherino sul terzo fiore del loro campo sperimentale, gli scienziati hanno osservato che le api andavano sempre a posarsi su di esso, indipendentemente dal fatto che la sua distanza venisse modificata.
Inoltre, molti studiosi hanno confermato che ricerche condotti su bambini molto piccoli e su altri animali dimostrano che pure gli esseri privi di un linguaggio verbale hanno straordinarie capacità di eseguire sofisticate operazioni su grandezze anche di natura diversa, come lo spazio, il tempo e la numerosità.
Tuttavia, proprio in quest’ultimo campo, gli animali mostrano dei limiti: oltre il tre non riescono a fare calcoli aritmetici di precisione, pur sapendo distinguere tra quantità numerose e quantità ridotte.
La capacità di dubitare è stata osservata nei delfini, animali molto intelligenti. I ricercatori della Buffalo University (Usa) hanno osservato che i simpatici cetacei sono capaci di compiere un processo di “meta- cognizione”, che implica l’autocoscienza su ciò che si sa e ciò che non si sa.
In pratica potevano rispondere ai test anche con la risposta “non so”, avendo più probabilità di proseguire l’esperimento e di ricevere un premio per le risposte corrette.
I ricercatori hanno osservato che usano la risposta “non so” esattamente come la usano gli uomini.
3. I pulcini contano da sinistra a destra
Esattamente come gli esseri umani, anche i pulcini contano da sinistra a destra.
A dimostrarlo è stato uno studio recente, condotto da un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e Trento e pubblicato sulla rivista Science.
Una scoperta che rivela che dietro a certi meccanismi mentali ci sono predisposizioni che sono di natura biologica.
La dimostrazione che i pulcini associano numeri piccoli a sinistra e numeri grandi a destra evoca il famoso fenomeno della linea numerica mentale umana, dove i numeri sono rappresentati in ordine crescente da sinistra a destra.
Un risultato che aggiunge un nuovo tassello sulle capacità cognitive degli esseri viventi e che ci porta nuovamente a chiederci quanto siano intelligenti gli animali. Questione che ormai da diversi decenni gli scienziati cercano di risolvere e che ogni volta offre risposte sorprendenti.
Come quando negli Anni Settanta la primatologa Jane Goodall, famosa per gli studi sul comportamento degli scimpanzé, comunicò al mondo accademico che noi umani non eravamo i soli a far uso di utensili, ma che in Africa gli scimpanzé sapevano modellare piccoli bastoni per estrarre dalle loro tane le termiti, di cui si cibavano.
Una scoperta che aveva lasciato il mondo scientifico attonito e che aveva spinto Louis Leakey, tra i più eminenti paleontologi dell’epoca, ad affermare che ormai “era giunto il momento o di cambiare la definizione di utensile e di cambiare la definizione di uomo o che bisognava accettare gli scimpanzé tra gli umani”.
Infatti, la capacità di fabbricare uno strumento e di modellarlo per renderlo più funzionale a un preciso scopo presuppone le facoltà di immaginare e di ragionare in modo logico-deduttivo. In poche parole, serve una mente intelligente.
4. L’istinto è complementare
Dalla Goodall in poi, le concezioni sulle capacità cognitive degli animali sono profondamente cambiate.
Oggi non li si considera più degli automi, capaci solo di rispondere a stimoli ambientali attraverso comportamenti stereotipati, quanto il risultato di un processo evolutivo e adattativo che ha miscelato istinto e intelligenza, dando a ciascuna specie quella “valigia” di abilità con la quale si destreggia con le sfide della natura.
Come spiega l’etologo Danilo Mainardi nel suo libro L’intelligenza degli animali, istinto e intelligenza sono complementari, perché se cresce l’una, cala l’altro e viceversa:
«Le specie più ricche di intelligenza sono povere di istinti, quelle ricche di istinti hanno minore capacitàintellettive».
Così,negli ambienti stabili, gli istinti vanno per la maggiore, perché di fronte a problemi dello stesso tipo, sono sufficienti risposte immediate, istintive. In un ambiente mutevole, invece, serve capacità di apprendimento per la risoluzione dei problemi.
Mainardi sottolinea che l’intelligenza «implica la capacità di capire e trarre logiche conclusioni che servano a risolvere problemi pratici».
Ecco perché, salvo eccezione per alcune creature (per esempio il verme solitario, che è un parassita e non fa altro che starsene attaccato all’intestino del suo ospite), si può dire che non ci sia specie che non ne possieda almeno una briciola.
La questione che l’intelligenza fosse legata alle dimensioni del cervello rispetto al corpo è stata dibattuta a lungo. Ora però ciò che si ritiene determinante è la morfologia delle cellule nervose in relazione alle dimensioni del cervello.
Nel 2007, il neuroscienziato Jon Kass, confrontando la forma delle cellule cerebrali negli animali, ha osservato che nei primati queste cellule crescono al crescere del cervello e ciò porta a una maggiore densità di neuroni nella corteccia, che permetterebbe una maggiore velocità di trasmissione dell’impulso nervoso tra le cellule.
Vediamo 3 casi a confronto:
Balena: il cervello pesa 9 kg e conta 200 miliardi di neuroni
Ape: 1mg 950.000 neuroni
Uomo: 1,2-1,5 kg 100 miliardi di neuroni
5. Intelligenza individuale e collettiva
Gli scienziati oggi sono portati a ritenere che l’intelligenza sia la somma di tanti tipi diversi di capacità cognitive e che ogni specie abbia sviluppato il proprio bagaglio intellettivo sulla base della propria storia evolutiva.
Nel 2005 i neurobiologi Gerhard Roth e Ursula Dicke dell’Università di Brema, in Evolution of the brain and intelligence, definiscono l’intelligenza in termini di complessità comportamentale, affermando che:
«L’intelligenza può essere definita come la velocità e la capacità di successo degli animali nella risoluzione di problemi legati alla sopravvivenza nel loro ambiente naturale e sociale».
Come spiegò l'etologo Danilo Mainardi, a un koala che mangia solo foglie di eucalipto non serve l’intraprendenza, mentre a un topo che si ciba di tutto serve velocità d’apprendimento, curiosità, iniziativa. Non per questo il primo deve essere considerato meno abile del secondo.
Oltre all’istinto, che rappresenta la sapienza o memoria della specie, fatta di risposte prefabbricate pronte all’uso, ciascun animale possiede sia l’intelligenza individuale sviluppata sulle esperienze personali, sia l’intelligenza collettiva, basata sulla sapienza, le tradizioni e la cultura che apprende dalla madre o dagli altri membri del gruppo in cui vive.
Il bagaglio intellettivo di un animale è costituito anche da quella che gli scienziati definiscono “intelligenza collettiva”, frutto degli insegnamenti ricevuti dalla madre o dalla collettività.
Un esempio di questa “cultura” che si tramanda da una generazione all’altra è quella degli elefanti, animali che hanno mostrato eccezionali capacità cognitive e vivono fino a 70 anni in gruppi di 15-30 esemplari imparentati, femmine e giovani maschi.
La sopravvivenza dell’intero branco è demandata alla matriarca, la femmina più anziana, che insegna alle figlie e alle nipoti tutti gli stratagemmi e tutti i sentieri percorribili per trovare acqua e cibo, anche durante la siccità.