Andy Warhol: uno degli artisti più radicali e influenti del Novecento

La più grande opera di Andy Warhol, uno degli artisti più radicali e influenti del Novecento, è Andy Warhol (1928-1987).

Ha fatto di sé stesso un personaggio, enigmatico e distaccato, giocando astutamente con le interviste, che rilasciava a chiunque dando risposte diverse a seconda dell’interlocutore.

Pittore, grafico, pubblicitario, illustratore, regista e produttore cinematografico, fotografo, agente di divi, produttore musicale, indossatore e forse pure qualcos’altro, Warhol nei primissimi anni Sessanta ha rivoluzionato il linguaggio dell’arte, moltiplicando all’infinito le immagini e inventando una pittura tutta nuova che utilizzava le tecniche serigrafiche e una stesura piatta del colore.

Da un giorno all’altro abbatté ogni distinzione tra pittura, pubblicità e cultura popolare, tra pittura e immagini stampate e tra pittura e reportage sociale, introducendo le tecniche del marketing nel mondo dell’arte contemporanea.

Spremeva chiunque gli capitasse a tiro rubandogli le idee: viene da qui il soprannome di questo genio dell’arte pop che fiutò in anticipo le nuove tendenze della società e della cultura e le interpretò a modo suo, guadagnando denaro e fama.

1. La banalità della morte

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I protagonisti delle sue opere sono celebri icone popolari – Marilyn Monroe, Liz Taylor, Elvis Presley, Mao o Marlon Brando –, oggetti d’uso quotidiano – la Coca Cola o le lattine di zuppa Campbell’s – o i disastri – immagini di incidenti mortali, suicidi spettacolari, sedie elettriche e disordini razziali prese da Life e Newsweek – eventi tragici quotidiani nella società consumistica.

Li utilizzò per raccontare rivoluzionato la banalità della morte, un’ossessione che, con quella per la celebrità, lo accompagnò per tutta la vita: «È sorprendente quante persone appendano in camera da letto una tela che raffigura una sedia elettrica», sibilava caustico. «Soprattutto quando il colore dello sfondo s’intona con quello delle tendine».

Dovrebbero essere immagini disturbanti, suscitare repulsione nello spettatore, ma non lo sono grazie a quella moltiplicazione, uno dei suoi marchi di fabbrica.

Warhol anticipò i media dei nostri giorni che, pubblicando o mandando in onda continuamente fotografie e video violenti li trasformano in spettacolo, facendo perdere perfino alla morte ogni drammaticità.

E si fece beffe della morte anche il 3 giugno del 1968, quando non aveva ancora compiuto quarant’anni. Valerie Solanas, una femminista dello SCUM (traduzione: Feccia oppure, come acronimo, Società per fare a pezzi gli uomini, la scelta tra le due opzioni è a piacere), gli sparò a bruciapelo, accusandolo di essere un manipolatore e uno sfruttatore del talento altrui.

Warhol si salvò e non perse, neanche in quell’occasione, il gusto per la battuta feroce: «Gli ospedali sono incredibili, mentre stavo per morire ho dovuto firmare un assegno».

2. Era un business artist

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Warhol era nato professionalmente come artista commerciale e voleva finire come artista del business o, meglio, come businessman dell’arte.

 «Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante. Far soldi è un’arte, lavorare è un’arte e fare buoni affari è la migliore forma d’arte», scrisse.

Fedele a questa affermazione, usava talvolta il formato delle sue opere per farne lievitare il prezzo: «Penso spessissimo agli scrittori a spazio, quelli che vengono pagati in base a quanto scrivono. La quantità è la migliore misura di tutto, così mi sono messo in mente di diventare un artista a spazio».

Talvolta, a una tela nella quale era rappresentata una sedia elettrica, un incidente o Marilyn ne associava un’altra, completamente priva di immagini, ma dello stesso colore dello sfondo dell’altra.

Il denaro lo affascinava: «Non ho la sensazione di prendermi dei germi quando tocco il denaro. Il denaro ha una sorta di immunità. Quando tengo in mano i soldi sento che i dollari non hanno più germi di quanti non ne abbiano le mie mani. Quando passo la mano sul denaro mi sembra che diventi perfettamente pulito. Non so da dove venga, chi l’abbia toccato e con che cosa, ma tutto si cancella non appena lo tocco».

Warhol fiutava le novità con molto anticipo. Le tecniche della comunicazione e le strategie di marketing sono entrate nel mondo dell’arte insieme a lui e molte delle sue ossessioni profetiche sono diventate realtà.

Notissima è la sua affermazione “in futuro chiunque sarà famoso per quindici minuti”, una sorprendente intuizione di come i mezzi di comunicazione dei nostri tempi si sarebbero popolati, tra grandi fratelli, isole dei famosi e talk-show, di persone qualunque, la cui celebrità è quasi sempre effimera, prima che tornino nell’oblio.

Nel bookshop dell’Andy Warhol Museum di Pittsburgh l’oggetto più venduto è una calamita da frigo con una scritta: “I tuoi quindici minuti sono iniziati”.

3. Reality show anticipati

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Nel 1966 Andy Warhol girò un film, Chelsea Girl, diviso in dodici episodi nei quali le persone vivono davanti alla macchina da presa, discutono, fanno l’amore, dormono e si drogano in un albergo di Manhattan che aveva vissuto tempi migliori: visto oggi, è un’inquietante anticipazione dei reality-show.

Senza dimenticare quel che aveva previsto sulla celebrità che può essere regalata dai media: «Oggigiorno sei considerato anche se sei un imbroglione. Puoi scrivere libri, andare alla tv, concedere interviste. Sei una celebrità e nessuno ti disprezza. Sei sempre una star. La gente ha bisogno delle star più di ogni altra cosa».

Era arrivato a New York nel 1949 e nel 1957 era già uno degli artisti commerciali più pagati d’America. I suoi disegni se li litigavano Vogue, Glamour e altre riviste di moda.

Ma non gli bastava, voleva essere un artista e rivoluzionare il mondo dell’arte contemporanea.

Rifiutato da Leo Castelli – il grande mercante d’arte italiano che aveva fatto fortuna a New York e che gli preferì Roy Lichtenstein come artista pop – Warhol esordì nel novembre 1962 alla Stable Gallery di Los Angeles, esponendo otto grandi dipinti che raffiguravano Marilyn Monroe, morta improvvisamente tre mesi prima.

Ognuno con un colore diverso dello sfondo. Il Museum of Modern Art di New York acquistò subito una mirabolante Gold Marilyn e Leo Castelli tornò precipitosamente sui suoi passi.

Di Marilyn, come di tutte le altre star, sceglieva con occhio infallibile l’immagine più conosciuta dal pubblico e non la cambiava mai: nel suo caso una foto pubblicitaria per il film Niagara, del 1953.

4. Un vero pioniere

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Andy Warhol fu pioniere di quell’arte dell’appropriazione che, dopo di lui, è stata ripresa da tanti artisti approdati al successo negli ultimi trent’anni.

Gli amici lo chiamavano Drella, una fusione tra Dracula e Cinderella (Cenerentola), perché era in grado di succhiare a chiunque le idee migliori. A

llo stesso modo selezionava per le sue opere anche gli oggetti d’uso quotidiano delle case di tutti gli americani, come la Coca Cola: «Tu guardi la tv e vedi la Coca Cola, e sai che il Presidente beve Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola e puoi pensare che anche tu bevi Coca Cola. Una Coca Cola è una Coca Cola, e non esiste nessuna somma di denaro che possa garantirti che berrai una Coca Cola migliore di quella che sta bevendo il barbone all’angolo della strada. Tutte le Coca Cola sono uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Liz Taylor lo sa, lo sa il Presidente, lo sa il barbone e lo sai anche tu».

Warhol ha elevato semplici prodotti per il consumo di massa a potenti simboli in grado di rappresentare l’intero popolo americano, così come le celebrità sono diventate, nelle sue mani, delle icone popolari da adorare come un simbolo religioso, come il Cristo dell’ultima serie di opere dell’artista, The Last Supper (L’Ultima Cena) che riprende il capolavoro di Leonardo da Vinci.

Nel 1975 mise anche in scena, nella serie Ladies and gentlemen, le drag queen che rappresentavano quell’America che nel 1966 Oriana Fallaci aveva etichettato come “sporca, infelice e violenta”.

Fu nuovamente un precursore. Non rinunciò mai al suo personaggio pubblico anche se a volte, disse, “è bello tornare a casa e togliersi il costume da Andy”.

Il 22 febbraio del 1987 fu il giorno che venne a mancare Andy Warhol – pittore, grafico, illustratore e regista statunitente – in seguito a un intervento chirurgico per curare la cistifellea.

Dopo anni dalla sua morte, nel 2017 il chirurgo John Ryan ha spiegato che l’operazione alla quale fu sottoposto Warhol non era semplice e il rischio di decesso era molto alto.





5. Andy Warhol, artista da record

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Il 9 maggio scorso Shot Sage Blue Marilyn di Andy Warhol (cm 101,6x101,6) è diventata l’opera d’arte più costosa del Novecento, tra quelle vendute nelle aste internazionali.

Christie’s New York l’ha aggiudicata a 195 milioni di dollari (185 milioni di euro).

Realizzata nel 1964, era stata danneggiata dall’artista-performer Dorothy Podber, che le aveva sparato contro mentre era appesa, con altre quattro Marilyn, su una parete della Factory, l’ufficio newyorkese di Warhol.

Un’azione violenta che aveva fatto di questo lavoro e della versione con il fondo rosso, anch’essa danneggiata, due dipinti unici, ricercatissimi dai collezionisti. Si dice che l’acquirente possa essere stato il gallerista americano Larry Gagosian.

Il record precedente di Warhol era stato stabilito da Sotheby’s New York, che nel novembre 2013 aveva battuto a 105,4 milioni di dollari (79,1 milioni di euro) una tela monumentale della serie dei Disaster, Silver Car Crash (Double Disaster) del 1963 (cm 267,4x417,1).

Andy Warhol's $60 million Silver Car Crash silkscreen coming up for auction  in New York | Daily Mail Online

Un anno dopo Christie’s New York ha venduto a 81,9 milioni di dollari (65,5 milioni di euro) Triple Elvis, anch’esso del 1963 (cm 208,3x175,3).

Sono 31 le opere di Andy Warhol aggiudicate in asta a un prezzo superiore ai 30 milioni di dollari.








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