Il batterio Bacillus anthracis provoca la malattia in modi diversi a seconda della via attraverso la quale entra nel corpo.
Quando l’infezione arriva comunque a diffondersi nel flusso sanguigno, può rapidamente divenire fatale.
Presente in natura in tutto il mondo, B. anthracis ha vari caratteri che ne fanno potenzialmente un’arma biologica assai efficace.
Tra cui il fatto che produce spore resistenti che possono essere trattate chimicamente e macinate in particelle abbastanza piccole da penetrare in profondità nei polmoni, dove possono scatenare la forma più letale di antrace.
Il patogeno che causa l’antrace può esistere in due forme diverse: i bacilli, a forma di bastoncino, in grado di moltiplicarsi e rilasciare tossine che danneggiano i tessuti; le spore, assai resistenti, che si trovano in uno stato di animazione sospesa.
Le spore si producono quando le condizioni sono troppo secche per la sopravvivenza dei bacilli. Quando però trovano le condizioni giuste come in un corpo, umido e ricco di nutrienti – le spore possono germinare, producendo numerosi bacilli infettivi.
In condizioni naturali, l’antrace è stato più che altro un problema per pastori e addetti alla scelta e alla tintura della lana. Ma subito dopo la scoperta del batterio che causa la malattia, avvenuta nel XIX secolo, gli strateghi militari capirono che questo patogeno poteva servire per nuove armi incredibilmente letali.
Verso la fine dell’Ottocento lo scienziato tedesco Robert Koch (spesso considerato il padre della batteriologia per il suo lavoro sui patogeni) fu il primo a dimostrare che uno specifico germe (B. anthracis) provoca una specifica malattia (l’antrace), con esperimenti nel laboratorio allestito nel suo appartamento.
Qualche anno dopo il francese Louis Pasteur (il padre della teoria dei germi) sviluppò un vaccino efficace contro l’antrace.
Il 2 aprile 1979 una polvere misteriosa uscì da una canna fumaria che si ergeva per 25 metri sopra un campo militare sovietico a circa 1400 chilometri a est di Mosca e si sparse inosservata nell’aria.
Nel giro di qualche settimana almeno 80 abitanti della circostante città di Sverdlovsk, oggi Ekaterinburg, si ammalarono di quella che inizialmente pareva un’influenza. In pochi giorni però svilupparono estese emorragie interne e altri problemi. Ne morirono almeno 68.
Recenti analisi su un incidente di molti anni fa mostrano quanto possono essere letali le armi biologiche. Scopriamo insieme il perché.
1. L'incidente sovietico
Il 2 aprile 1979 una polvere misteriosa uscì da una canna fumaria che si ergeva per 25 metri sopra un campo militare sovietico a circa 1400 chilometri a est di Mosca e si sparse inosservata nell’aria.
Nel giro di qualche settimana almeno 80 abitanti della circostante città di Sverdlovsk, oggi Ekaterinburg, si ammalarono di quella che inizialmente pareva un’influenza.
In pochi giorni però svilupparono estese emorragie interne e altri problemi. Ne morirono almeno 68.
Nella base militare, chiamata Campo 69, qualcuno sapeva già allora che cosa era accaduto: la mancanza di filtri per l’aria aveva permesso il rilascio di una quantità ignota di spore batteriche da un impianto militare segreto di ricerca e produzione operativo all’interno del sito.
Le spore venivano da un ceppo di batterio, Bacillus anthracis, che provoca una malattia chiamata antrace e si trova in natura in molte regioni del mondo.
Ma queste particolari spore erano state confezionate in particelle proprio delle dimensioni giuste per essere facilmente inalate nei polmoni di animali e persone, dove possono fare più danni e causare più morti.
Una volta nel corpo, le spore germinano, tornando all’originaria forma a bastoncello. Poi iniziano a moltiplicarsi, diffondendosi nel flusso sanguigno e attaccando vari tessuti. In effetti l’antrace assunto per inalazione uccide generalmente nel giro di qualche giorno, a meno che i pazienti non siano tempestivamente trattati con l’antibiotico giusto.
L’apparato militare sovietico, però, non rivelò a nessuno la natura dell’episodio; neppure alle autorità sanitarie locali, che avrebbero potuto salvare più vite se avessero saputo che cosa avevano di fronte.
Malgrado gli strenui tentativi del KGB di mantenere il segreto, nell’autunno 1979 la notizia dell’incidente filtrò nel resto del mondo, per lo stupore, fra gli altri, degli analisti dei servizi segreti occidentali, che fin lì non avevano colto alcun indizio del fatto che l’Unione Sovietica stesse fabbricando materiale per armi biologiche, in violazione di un trattato del 1972 che ne bandiva sviluppo, produzione, stoccaggio e uso.
Tra i quasi 100 i paesi firmatari del trattato – la Convenzione sulle armi biologiche – c’erano anche Unione Sovietica e Stati Uniti. Tuttavia gli Stati Uniti evitarono di presentare un formale reclamo contro l’Unione Sovietica, come previsto dai termini dell’accordo.
Poiché negli anni settanta la rivoluzione dell’ingegneria genetica era già iniziata in molti altri paesi, gli analisti dei servizi occidentali ipotizzarono che a Sverdlovsk i ricercatori potevano aver modificato B. anthracis per aumentarne la letalità.
Ci sono voluti 37 anni per smentire questa errata supposizione. Gli unici potenziamenti erano stati l’aggiunta di prodotti chimici e qualche altro accorgimento per facilitare la dispersione delle spore.
L’Unione Sovietica, dal canto suo, finì per ammettere che a Sverdlovsk e dintorni alcune persone erano morte di antrace, negando però che fosse accaduto qualcosa di insolito.
La vera causa della tragedia, dissero i sovietici, era stato l’antrace gastrointestinale, dovuto a macellazione e consumo di animali infettati da spore di origine naturale: una versione smentita in seguito, quando gli esperti internazionali avevano potuto esaminare i campioni autoptici conservati dai patologi locali.
Infine, nel 1992 il presidente russo Boris Yeltsin ammise che l’Unione Sovietica aveva in effetti messo in piedi e tenuto in funzione un ampio programma di ricerca e produzione di armi biologiche.
Affermò anche di aver ordinato l’immediata chiusura del programma, tuttavia alcuni documenti in seguito declassificati mostrano chiaramente che l’apparato militare russo si limitò a nascondere alla dirigenza civile quello che restava dell’impresa.
A ogni modo, la linea ufficiale è nuovamente cambiata dopo la nomina a presidente di Vladimir Putin, nel 1999. Né l’Unione Sovietica né il successivo governo russo hanno mai intrapreso programmi per armi biologiche offensive, ha sostenuto la nuova leadership.
Ogni ricerca effettuata o ancora in corso aveva scopi puramente difensivi – ovvero per proteggersi dagli attacchi, non per lanciarne – un’attività permessa dal trattato sulle armi biologiche.
Oggi, con la Russia di nuovo in ascesa, che torna ad affermare il suo potere sulla scena globale, le lezioni del lontano incidente di Sverdlovsk sono sempre più importanti per capire meglio.
Le ulteriori indagini condotte nei decenni da allora trascorsi mostrano che non è poi difficile per una nazione (o un’organizzazione terroristica) dotata di una certa capacità bioindustriale mettere in piedi o nascondere un programma di armamenti biologici.
Eppure gli Stati Uniti, che avevano smantellato il proprio programma di questo tipo già nel 1971, continuano a segnare il passo quando si tratta di assicurare che gli altri facciano lo stesso.
2. Spore mortali
In condizioni naturali, l’antrace è stato più che altro un problema per pastori e addetti alla scelta e alla tintura della lana.
Ma subito dopo la scoperta del batterio che causa la malattia, avvenuta nel XIX secolo, gli strateghi militari capirono che questo patogeno poteva servire per nuove armi incredibilmente letali.
Verso la fine dell’Ottocento lo scienziato tedesco Robert Koch (spesso considerato il padre della batteriologia per il suo lavoro sui patogeni) fu il primo a dimostrare che uno specifico germe (B. anthracis) provoca una specifica malattia (l’antrace), con esperimenti nel laboratorio allestito nel suo appartamento.
Qualche anno dopo il francese Louis Pasteur (il padre della teoria dei germi) sviluppò un vaccino efficace contro l’antrace.
Koch mostrò che i batteri assumono forme allungate, a bastoncello, quando si trovano in un ambiente adatto a una rapida proliferazione, come nell’interno di un animale, ricco di umidità e di nutrienti.
In ambienti più secchi, però, questi microbi creano spore resistenti e quasi indistruttibili, in grado di rimanere quiescenti per lungo tempo. Iniettate da Koch in topi sani, le spore tornavano poi a trasformarsi in bacilli, scatenando la malattia e uccidendo l’animale.
Diagnosi e trattamento precoce dell’antrace sono la chiave per la sopravvivenza. Il tasso di letalità delle infezioni non trattate dipende dalla via attraverso cui i germi si introducono inizialmente nel corpo.
Inalare anche solo una modesta quantità di spore nei polmoni è sempre fatale, senza le cure adatte. La mortalità da infezione cutanea non curata è intorno al 10 per cento, e per l’antrace gastrointestinale il tasso non è noto, ma si ritiene sia compreso tra il 25 e il 60 per cento.
I vantaggi per la guerra non convenzionale sono ovvi. Essiccate e immagazzinate al freddo, le spore che provocano l’antrace sopravvivono per anni, permettendo la produzione su scala industriale e l’immagazzinamento del materiale con grande anticipo rispetto all’uso contro i soldati nemici sul campo.
In più, un suolo su cui siano state sparse le spore resta contaminato per decenni, limitando seriamente le possibilità del nemico di allevare bovini, ovini o altri tipi di bestiame nei campi colpiti.
L’antrace inalato offre anche un altro vantaggio a chi intenda seminare terrore, oltre che morte, tra i civili: è facile che all’inizio non sia riconosciuto. I primi segni dell’infezione sono spesso lievi, con febbre, spossatezza e dolori muscolari che fanno pensare a influenza o polmonite.
Diversi giorni dopo i pazienti infettati sviluppano improvvisamente respiro affannoso e accumulo di fluidi nel torace, con labbra che diventano bluastre; a quel punto la morte è in genere inevitabile. L’autopsia rivela caratteristiche emorragie interne nei polmoni e nei tessuti intorno al cervello.
3. L’incidente
Nessuno straniero ha mai avuto accesso al Campo 19 e tantomeno all’Istituto scientifico di ricerche microbiologiche al suo interno, dove è avvenuto l’incidente.
Nei decenni scorsi, però, e in particolar modo dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 sono stati intervistati molti scienziati, medici e tecnici che lavoravano nella città di Sverdlovsk o avevano colleghi che erano stati dentro l’istituto.
Sulla base di queste informazioni, va ritenuto che il programma sovietico sugli armamenti biologici abbia avuto origine nel 1928. Al suo culmine, nei tardi anni ottanta, impiegava circa 60.000 persone. B. anthracis divenne rapidamente uno dei patogeni più importanti.
I ricercatori avevano mostrato che lo si poteva facilmente trasformare in arma (weaponized), vale a dire che lo si poteva produrre in una forma stabile che avrebbe permesso di disperderlo in modo esteso.
Il laboratorio militare che nel 1949 fu installato nel sito di una vecchia scuola di fanteria nei pressi di Sverdlovsk era allora lontano dai confini della città. Quindici anni dopo, però, l’abitato si era espanso attorno all’installazione segreta.
Malgrado la prossimità della popolazione civile, negli anni sessanta il Ministero della Difesa decise di migliorare le strutture affinché potessero produrre le tonnellate di spore di B. anthracis necessarie ad alimentare un robusto programma di armamenti biologici. (Oggi sappiamo che analoghi stabilimenti di produzione poi smantellati erano stati installati in Arkansas, negli Stati Uniti, verso la metà degli anni cinquanta).
A Sverdlovsk i sovietici dotarono un edificio di quattro piani di vasche di fermentazione per la crescita di B. anthracis ed essiccatoi per forzare i batteri a produrre le spore: migliorie standard per una struttura dedicata alla produzione di organismi viventi.
La vera innovazione stava nei pochi stadi successivi. Alle spore erano aggiunte alcune sostanze (continuiamo a non sapere quali) che ne impedivano l’agglomerazione in particelle troppo grosse per essere inalate negli spazi aerei dei polmoni.
La formulazione risultante era di nuovo essiccata e poi macinata per ridurla in polvere sottile, capace di penetrare nei polmoni in profondità. Infine, il prodotto finito era immagazzinato in serbatoi di acciaio inossidabile.
Inevitabilmente le tappe di essiccamento e macinazione provocavano la diffusione di spore letali in tutto l’edificio. I lavoratori indossavano ingombranti scafandri protettivi, ma in più bisognava ripulire l’aria dello stabilimento prima di scaricarla all’esterno.
La soluzione fu piuttosto diretta: il flusso dell’aria contaminata proveniente da ciascuno degli essiccatoi, per esempio, era convogliato in una serie di filtri che trattenevano le particelle grossolane, come le normali polveri, e poi quelle più piccole, come le spore di antrace.
In qualche momento del 2 aprile 1979, mentre gli essiccatoi erano fermi, il personale del turno diurno rimosse due filtri per verificarne l’efficacia di funzionamento. La squadra sostenne in seguito di aver comunicato al centro direzionale che quel particolare essiccatoio non doveva essere usato fino a quando i filtri non sarebbero stati sostituiti.
Ma per qualche ragione il messaggio non arrivò al personale del turno notturno, che quando prese servizio avviò il consueto ciclo di produzione ed essiccamento. Data la mancanza di filtri della serie, un altro filtro si intasò ed esplose, provocando un improvviso aumento della pressione nel sistema che convogliava l’aria.
Un lavoratore notò immediatamente il cambiamento, e i 30 o 40 operatori del turno di notte corsero ad arrestare il sistema. Ma il processo produttivo era complesso e non fu possibile bloccarlo immediatamente; ci vollero tre ore per fermarlo, tre ore in cui un numero ignoto di spore fu emesso senza trovare ostacoli dal camino.
Una volta resosi conto dell’accaduto, il responsabile del turno di notte comunicò l’incidente al comandante del Campo 19, il generale V.V. Mikhaylov. Questi informò il quartier generale al Ministero della Difesa, e gli fu detto di tacere. In seguito il KGB confiscò tutte le cartelle cliniche e i rapporti autoptici delle vittime.
Sebbene nessuno sappia quante spore furono liberate dall’incidente al Campo 19, alcuni esperti hanno poi stimato che sia stato coinvolto da 0,5 a 1 chilogrammo di materiale contaminato (che poteva contenere da qualche milligrammo a circa un grammo di spore).
Ipotizzando che fossero completamente vitali e ampiamente disperse, le spore avrebbero potuto far ammalare diverse centinaia di migliaia degli ignari abitanti di Sverdlovsk, che allora ne contava 1,2 milioni. I venti prevalenti, fortunatamente, soffiavano dal centro cittadino verso sobborghi meno densamente popolati.
4. Il seguito
Poco alla volta abbiamo conosciuto meglio le caratteristiche biologiche del ceppo di B. anthracis responsabile della tragedia di Sverdlovsk.
Nel 1990, per esempio, Matthew Meselson, ricercatore presso la Harvard University, ha diretto un gruppo di esperti in due distinte indagini mediche ed epidemiologiche a Sverdlovsk.
I progressi delle biotecnologie hanno inoltre permesso ai ricercatori di analizzare più a fondo campioni autoptici messi a disposizione dei gruppi internazionali dai medici russi nel periodo, più aperto alla collaborazione durante gli anni novanta.
Uno dei patologi, Lev Grinberg, portò in seguito campioni autoptici delle vittime (ormai innocui: fissati in formalina e inclusi in paraffina) negli Stati Uniti, affinché fossero studiati meglio.
Un altro scienziato collaborò con Paul Jackson, all’epoca al Los Alamos National Laboratory, all’estrazione di DNA da questi campioni, che confermò che i pazienti erano morti di antrace. Successive ricerche di altri scienziati rivelarono una firma genetica specifica per il ceppo di Sverdlovsk, indicato anche come B. anthracis 836.
Con questa «impronta molecolare» in mano, ora gli scienziati possono tracciare questo ceppo in tutto il mondo. Cruciale è stata la determinazione nel 2001 che né il programma di armamenti biologici iracheno né gli attacchi con lettere all’antrace che hanno ucciso cinque persone negli Stati Uniti hanno usato il ceppo di Sverdlovsk.
Però erano ancora note solo piccole porzioni del genoma del ceppo coinvolto nell’inci- dente, e restavano molte questioni aperte.
Infine, nel 2015 la tecnologia è arrivata al punto di permettere a Keim e altri di ricostruire l’intera sequenza genetica di B. anthracis nei campioni autoptici di due vittime dell’antrace di Sverdlovsk.
I due campioni batterici sono risultati identici fra loro e con B. anthracis 836; l’analisi genetica, pubblicata nel 2016, ha mostrato che il ceppo fa parte del noto gruppo detto «trans-eurasiatico».
Gli autori, inoltre, non hanno trovato alcuna prova di uso dell’ingegneria genetica per aumentare la virulenza, conferire resistenze ad antibiotici o superare la protezione data dal vaccino. In altre parole, gli scienziati militari sovietici avevano trovato e sviluppato un batterio assai conveniente, tanto letale già in natura da poter essere usato come arma.
5. Tutto quello che abbiamo imparato su questa storia
Tutto quello che abbiamo imparato su questa storia di Sverdlovsk serve anche come richiamo: il modo migliore per ridurre al minimo le vittime degli attacchi con l’antrace è agire prima che le spore siano disperse.
Malgrado i miliardi di dollari spesi nella ricerca sulla difesa dagli agenti biologici, il governo degli Stati Uniti ha difficoltà nel coordinare una strategia complessiva unitaria con cui affrontare le minacce biologiche.
L’unico vaccino disponibile negli Stati Uniti capace, secondo i test condotti, di prevenire la malattia che segue l’esposizione a B. anthracis, richiede una serie di iniezioni somministrate nel giro di alcuni mesi, seguite poi da regolari iniezioni di richiamo.
Nessuno sa se esista ancora qualche quantitativo del B. anthracis prodotto dall’ex Unione Sovietica.
In base agli accordi stipulati tra Stati Uniti, Uzbekistan e Kazakhstan, in queste repubbliche ex sovietiche almeno 30 tonnellate di materiale contenente spore sono state resi inerti, e negli anni novanta alcuni impianti di produzione sono stati convertiti per uso civile sotto la sorveglianza di gruppi internazionali di scienziati.
Ma nessun gruppo di stranieri è mai stato ammesso a visitare, e men che mai a ispezionare, né i tre istituti del Ministero della Difesa né cinque istituti civili «contro le epidemie» che si trovano in Russia, e che hanno avuto un ruolo nella ricerca e nella produzione di agenti per armi biologiche.
A partire dal 2001 il Department of State degli Stati Uniti ha reso pubblici nove rapporti sul controllo delle armi, e in tutti si afferma che la Russia potrebbe sostenere attività che violano il trattato sulle armi biologiche del 1972.
I rapporti non danno dettagli a sostegno di queste affermazioni (è presumibile che le relative informazioni siano segrete).
Tuttavia ci sono tante ragioni conosciute di preoccupazione, tra cui fotografie pubbliche da satellite che mostrano che certi edifici del Campo 19 sono stati migliorati con nuovi impianti, i quali sembrano essere apparati di ventilazione, e che sono stati aggiunti nuovi edifici.
Inoltre, nel 2012 Putin ha pubblicato un intervento su un quotidiano russo in cui dice che in futuro probabilmente compariranno «sistemi d’arma basati su nuovi principi (tecnologie a raggi, geofisiche, a onde, genetiche, psicofisiche e altre).
Il ministro della Difesa russo ha in seguito proclamato che il suo ministero stava facendo progressi verso questi obiettivi.
Infine, in una mossa collegata, nel 2015 Putin ha lasciato scadere un partenariato quasi venticinquennale tra Stati Uniti e Russia per lo smantellamento attivo di parte delle testate dell’arsenale nucleare.
Malgrado questi preoccupanti segnali pubblici (e qualunque informazione di tipo top secret che potrebbero avere i governi occidentali), le ultime amministrazioni statunitensi, per quanto è dato capire, non si sono confrontate con il governo russo sulle possibili violazioni del trattato sulle armi biologiche.
E neppure sembra probabile che lo faccia l’amministrazione in carica. Con la sua inattività, però, può darsi che il governo degli Stati Uniti stia dando via libera ai russi per sviluppare armi biologiche avanzate da cui gli altri paesi sarebbero impreparati a difendersi.