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Apple: le 5 mosse di Tim Cook

Quando, nell’agosto del 2011, Tim Cook ha raccolto il testimone di amministratore delegato di Apple dalle mani di Steve Jobs, in molti hanno pensato che il compito da cui era atteso fosse davvero arduo, se non impossibile, da sostenere.

Ingegnere industriale con Mba, cresciuto in Alabama, figlio di un operaio navale e di una casalinga, Cook in realtà aveva già salvato l’azienda risanandone i conti a fine anni Novanta ed era dal 1998 tra i fedelissimi di Jobs, ma l’ombra lunga del fondatore lasciava intravedere ben poco della capacità di Cook di proseguire sulla strada dell’innovazione insieme concreta e visionaria che è il marchio della casa di Cupertino.

A distanza di quattro anni, i dubbi si sono rivelati ingiusti.

Sotto la sua gestione, Apple ha fatto registrare risultati di mercato impressionanti (le vendite di iPhone sono passate da 40 milioni a 170 milioni di unità).

Cook ha messo la sua firma su iPhone 5 e 6, Apple Watch, Apple Tv, iPad Pro, ma soprattutto ha impresso la propria cifra all’azienda.

Oggi Tim Cook è il volto di Apple tanto quando lo è stato Jobs fino a quando ha potuto. Un miracolo, compiuto con poche e apparentemente semplici 5 mosse.

Vediamole insieme.

1. Più prodotti, stessa filosofia

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Il fatturato 2015 di Apple si è chiuso vicino all’astronomica cifra di 234 miliardi di dollari, in crescita del 28% sull’anno precedente e con un utile netto di 11,1 miliardi solo nell’ultimo trimestre.

Una cifra imparagonabile quasi con chiunque altro, compresi alcuni colossi energetici o aziende automobilistiche.

Con oltre 180 miliardi di liquidità e il maggior valore in Borsa al mondo, Apple potrebbe fare shopping quasi senza limiti ovunque. Ma Tim Cook non lo farà.

Perché è vero che la gamma di prodotti e di servizi tende ogni anno ad allargarsi fino agli estremi confini tracciati dal fondatore («tutto quello che può stare insieme su una scrivania», suggeriva Jobs), ma la cultura aziendale è saldamente la stessa: non essere i primi ma i migliori.

Apple non ha inventato né i lettori mp3, né gli smartphone, i tablet o gli smartwatch, ma li ha resi oggetti unici, di culto, tanto belli quanto semplici e innovativi.

Concentrati di tecnologia e design che puntano a cambiare le abitudini quotidiane di chi li possiede, e dunque, a cambiare il mondo.

2. Il Tim work

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Rispetto alle abitudini di Jobs, Cook ha cambiato profondamente l’azienda al suo interno.

L’epica aziendale narra che cominci la giornata spedendo mail alle 4 del mattino e organizzi riunioni telefoniche tutte le domeniche sera per pianificare la settimana.

In compenso però l’amministratore delegato è uscito dal suo ufficio/ bunker, pranza in mensa, incontra i dipendenti nei corridoi, crea gruppi di lavoro trasversali nei quali all’ossessione per la segretezza si è sostituito l’imperativo della condivisione.

L’incrocio delle competenze è funzionale al nuovo corso della Mela che al focus sui prodotti affianca lo sviluppo di nuovi servizi, come il sistema di pagamento da mobile Apple Pay, lo streaming audio di Apple Music, l’intrattenimento dell’Apple Car o i canali della Apple Tv.

Come ha ammesso lo stesso Cook, infatti, «con oltre 12 milioni di sviluppatori che progettano a ritmo incredibile sempre nuove app, oggi l’innovazione non è più del tutto nelle mani di Apple».

3. Responsabilità sociale… e non solo social

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«L’azienda che fa meglio è quella che serve il bene pubblico», ha detto qualche settimana fa Cook di fronte alla platea di studenti e docenti dell’Università Bocconi (foto).

In effetti l’impronta più marcata della gestione Cook su Apple riguarda proprio la social responsibility.

Con lui al timone, la posizione della Mela su temi etici e di diritti civili si è fatta più ferma e l’impegno più evidente, come dimostrano per esempio i 45 milioni di euro donati solo negli ultimi anni all’ospedale di Cupertino o l’investimento di 1,7 miliardi di euro per rendere i data center di Irlanda e Danimarca completamente ecocompatibili.

Cook è stato anche tra i più fermi oppositori dell’idea di inserire accessi preferenziali per i governi nei software e negli hardware in modo da renderli più permeabili al lavoro dell’intelligence, e sempre in prima fila contro le discriminazioni di ogni genere al punto da esporsi in prima persona dichiarando in pubblico la propria omosessualità, perché «era la cosa giusta da fare».

4. La costruzione di un’icona personale

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Nonostante metta la sua faccia in quasi tutte le presentazioni e in tutte le battaglie sociali di Apple, Tim Cook non è ancora un’icona al livello di Jobs.

Ma un simbolo sì. In questo senso l’accoglienza riservatagli in Bocconi poche settimane fa danno la misura del suo successo personale anche oltre i confini nazionali.

Rispetto agli esordi, inoltre, è migliorato molto anche come oratore e in rete cominciano a moltiplicarsi le citazioni dei suoi discorsi nei quali dà il meglio di sé proprio quando parla di futuro e si rivolge ai giovani.

«Potete cambiare le cose grazie alle competenze che acquisirete qui», ha detto in conclusione della conferenza all’ateneo di via Sarfatti proprio rivolgendosi agli studenti.

«Spingete oltre le frontiere. Se lo farete riuscirete a creare un mondo migliore di quello che avete incontrato. Non siete solo cittadini italiani, siete cittadini del mondo e oggi potete fare sentire la vostra voce oltre ogni confine. Nessuna generazione ha avuto questa opportunità, dunque usatela, alzate la voce!».



5. La scelta del competitor e le sfide per il futuro

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Nel suo nuovo corso, Cook ha riscritto la classifica dei competitor di Apple inserendo al primo posto Google, come già per altro aveva intuito Jobs, al posto di Samsung.

In futuro infatti il terreno di scontro tra titani della tecnologia sarà il sistema operativo mobile e le sue infinite possibili connessioni.

Android contro iOs sarà il leitmotiv che scandirà la diffusione dell’Internet of things, l’affermazione definitiva dei wearable pc (Google Glass/Apple Watch) o dei sistemi di pagamento da mobile.

E, guardando qualche anno più in là, la grande scommessa dell’auto che si guida da sola.

Qui la società di Mountain View sembra avere un leggero vantaggio, essendo la Google Car già in circolazione a livello sperimentale e annunciata per il debutto nel 2018.

Ma in qualche luogo segreto della Silicon Valley, Apple sta preparando la sua risposta, attingendo all’esperienza già formata di Tesla e Bmw per arrivare sul mercato non per prima, si parla del 2019, ma con un prodotto che da subito si imporrà come termine di riferimento.

«Quella automobilistica è un’industria ormai da troppo tempo uguale a se stessa», ha sentenziato Cook in un’intervista al Wall Street Journal, «e pertanto prossima a una rivoluzione. Sarà la fine del motore a scoppio e l’avvento dei software per la guida autonoma». E se non è una visione alla Jobs, poco ci manca.






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