Il cuore è un muscolo e come tutti i muscoli richiede di un’offerta di sangue ricca d’ossigeno. Ciò è fornita al cuore dalle arterie coronarie.
Un attacco di cuore è un’emergenza medica che accade quando la fornitura di sangue alla parte del cuore è tagliata improvvisamente, quando, cioè, c’è un bloccaggio delle arterie coronarie.
Ciò è causata spesso da un coagulo di sangue. Un tal bloccaggio, se non rapidamente risolto, può indurre le parti del muscolo di cuore a cominciare a morire.
Quando si sperimentano i primi sintomi di un attacco di cuore, conviene chiedere immediatamente assistenza, anche se non si è sicuri che si tratti veramente di un infarto.
Lo sostengono gli scienziati del Karolinska Institutet di Stoccolma (Svezia), precisando che un falso allarme è preferibile al rischio di morire.
La maggior parte dei decessi per attacco cardiaco si verifica, infatti, nelle ore successive all’insorgenza dei primi sintomi. Un intervento rapido, pertanto, è essenziale per ripristinare il flusso di sangue alle arterie ostruite e salvare la vita del paziente.
Nuove terapie all’avanguardia saranno in grado di porre fine per sempre alle malattie circolatorie e cardiovascolari? Scopriamolo insieme.
1. Gli attacchi cardiaci sono provocati da coaguli di sangue
Il 1976 fu l’anno di una scoperta medica fondamentale: il ricercatore Michael Davies capì che gli attacchi cardiaci sono provocati da coaguli di sangue che si formano nelle arterie sulla superficie del cuore.
Grazie a questo da allora sono state salvate molte vite.
Oggi si usano abitualmente farmaci che sciolgono i coaguli e il colesterolo, oltre a complicate procedure per allargare le arterie stesse, in modo che il cuore non entri in carenza di ossigeno e non smetta di funzionare.
Cinquant’anni fa nei Paesi occidentali le probabilità di morire per malattie cardiovascolari – termine generico con cui si indica l’accumularsi di placche di grasso nei vasi sanguigni sulla superficie del cuore – erano quattro volte quelle attuali.
Ciononostante, i problemi al cuore rimangono ancora una delle principali cause di morte.
Oggi, però, una serie di nuove tecnologie e una migliore comprensione dei fattori che rendono alcune persone più suscettibili di altre a questi disturbi stanno cambiando ancora una volta le regole del gioco: l’idea di porre fine per sempre al problema sta passando dall’essere una irrealistica possibilità a divenire realizzabile (per quanto non con facilità).
“Sono del parere che eliminare definitivamente i disturbi cardiaci sia un obiettivo a cui possiamo puntare”, dice Metin Avkiran, cardiologo molecolare del King’s College London e direttore medico associato della British Heart Foundation. “È un settore in cui ora abbiamo la possibilità di fare la differenza”.
L’obiettivo della scienza è chiaro: essere in grado di prevedere con precisione chi ha un cuore particolarmente vulnerabile e agire in anticipo per prevenire blocchi alle arterie o altri danni, ben prima che la vita del paziente sia in pericolo.
Per realizzarlo sono allo studio molte tecniche innovative, tra cui diagnosi preventive che impiegano i dati genetici, scan cardiaci eseguiti da intelligenze artificiali e sonde molecolari iniettabili che possono individuare zone a rischio nelle arterie.
Inoltre, entro pochi anni saranno disponibili anticorpi artificiali che combattono le proteine e le infiammazioni che generano gli attacchi cardiaci. Ed è allo studio anche un vaccino per prevenire gli attacchi stessi.
2. Rischi calcolati
Cardiologi e medici di base sono già in grado di prevedere le probabilità individuali di sviluppare malattie cardiovascolari con calcoli che tengono conto di vari fattori di rischio: età, anamnesi familiare, livelli di colesterolo, pressione sanguigna, storia medica personale (tra i fattori rilevanti ci sono il fumo e il diabete).
Ma è un metodo approssimativo: i più recenti studi genetici stanno spostando il livello di accuratezza, da elementi vaghi come l’anamnesi familiare ad analisi basate su precisi tratti della genetica individuale.
Al momento sul DNA sono stati individuati 67 siti (chiamati “varianti”) collegati al rischio di attacco cardiaco. Molti di essi sono ereditari: più un individuo ne possiede, più il suo rischio è alto.
Nell’ottobre del 2018 scienziati dell’Università di Cambridge e dell’Università di Leicester hanno riferito che il loro nuovo “Test di Rischio Genomico” ha dato risultati significativamente più precisi di qualunque altro test precedente nella previsione dei disturbi cardiaci.
Il test si basa sull’analisi elettronica di dati forniti dal progetto UK Biobank, provenienti da mezzo milione di persone: confrontando fra loro 1,7 milioni di varianti genetiche e anamnesi personali, l’intelligenza artificiale ha elaborato un algoritmo capace di prevedere con grande precisione i rischi cardiaci in base al profilo genetico del paziente.
La ricerca, che è parte del trend globale che intende usare il machine learning per analizzare immense quantità di dati al fine di migliorare la salute degli esseri umani, mira a rendere disponibile per tutti (inclusi i bambini) un test standard del genotipo che costi meno di 50 euro e fornisca una valida valutazione dei rischi individuali.
Una volta che questi ultimi sono noti, si possono mettere in campo procedure mediche e fornire consigli sullo stile di vita per ridurre il pericolo nelle persone più esposte.
Sono allo studio anche altri test: quest’anno il National Space Biomedical Research Institute del Texas, dopo aver collaborato con la NASA all’analisi degli effetti negativi dello Spazio sul corpo umano, ha lanciato una app per medici e pazienti battezzata Astro-CHARM, che combina i fattori di rischio tradizionali con un nuovo indicatore scoperto da poco – il calcio nelle arterie coronarie – per stabilire il rischio individuale di attacco cardiaco nei successivi dieci anni.
3. Alla ricerca di un marcatore
Tuttavia il Santo Graal dei ricercatori è sempre stata la speranza di individuare qualche genere di “marcatore” che indichi quando le placche di grasso depositate nelle arterie del cuore (dette “placche aterosclerotiche”) sono sul punto di staccarsi causando un coagulo, che può ostruire il passaggio del sangue e generare un attacco cardiaco.
Per questo motivo il professor Avkiran ritiene che gli sviluppi più promettenti siano quelli relativi alle tecniche di scanning che permetteranno di capire che cosa avviene esattamente all’interno delle arterie:
“Per ora la tecnica standard è l’angiografia coronarica, che è sostanzialmente un sofisticato esame ai raggi X capace di rilevare aterosclerosi ed eventuali blocchi nelle arterie. Ma non è un buon sistema per valutare il rischio futuro di attacco cardiaco: quel che ci serve è capire in anticipo quali lesioni aterosclerotiche possono rompersi e provocare un coagulo”.
Gli scienziati sanno anche che l’infiammazione delle arterie è un buon indicatore che una placca aterosclerotica è sul punto di rompersi, ma fino a poco tempo fa non era possibile misurare accuratamente questo fattore.
Ora però una ricerca dell’Università di Oxford ha individuato dei cambiamenti chimici provocati proprio dalle infiammazioni nel grasso che si trova nelle arterie, e sviluppato di conseguenza un modo per misurarli grazie a scan cardiaci.
Nel 2018 la rivista The Lancet ha pubblicato i risultati di uno studio durato dieci anni sull’impiego di questa nuova tecnica, con relative previsioni di morte per attacco cardiaco che hanno mostrato una notevole accuratezza.
Adesso una società nata come spin-off della ricerca sta sviluppando un servizio per effettuare in 24 ore le analisi del grasso su tomografie computerizzate provenienti da tutto il mondo.
Nella foto sotto, medici esaminano le arterie di un paziente alla ricerca di ostruzioni. Con i nuovi metodi per individuare e trattare i problemi cardiaci, tecniche chirurgiche come questa potrebbero diventare presto obsolete.
4. Metodi di prevenzione
Un’altra innovazione mirata a dare tempestivo avviso di un potenziale problema cardiaco consiste nell’immettere nel sangue sonde molecolari che si legano a determinate molecole nelle arterie e rendono visibili e misurabili alla risonanza magnetica specifici processi chimici all’interno delle arterie stesse.
Con questo sistema Rene Botnar, del King’s College London, ha scoperto che la concentrazione di una proteina, la tropoelastina, indica la presenza di placche fragili: il monitoraggio costante dei suoi valori potrebbe dunque costituire la base di futuri test in grado di prevedere gli attacchi cardiaci.
Una tecnica analoga è stata impiegata nell’Imperial College London, dove si è dimostrato su modelli animali che si può rendere visibile alla risonanza magnetica un altro marcatore di vulnerabilità delle placche: il cosiddetto colesterolo “cattivo” ossidato, o LDL.
In questo caso i ricercatori hanno creato un anticorpo artificiale che individua l’LDL e lo lega a un marcatore molecolare fluorescente. Attualmente la tecnica è in sperimentazione sugli esseri umani, e si pensa che la si potrebbe usare anche per trasportare farmaci direttamente nelle arterie.
“Esistono molti nuovi e affascinanti approcci alla diagnosi dei problemi cardiaci”, spiega Avkiran, “ma penso che sarà una combinazione di questi metodi, e non uno in particolare, a permetterci in futuro di valutare i rischi individuali su soggetti di età diverse”.
Bisogna poi specificare che identificare un rischio è una cosa, prevenire il problema è un’altra. In quest’ultima direzione, una prospettiva promettente è rappresentata dagli anticorpi artificiali, ovvero una versione creata in laboratorio delle proteine prodotte dal sistema immunitario per distruggere gli invasori dell’organismo.
Queste nuove sostanze sintetiche sembrano poter superare anche i successi delle statine, farmaci che riducono il colesterolo nel sangue – rallentando di conseguenza la crescita delle placche nelle arterie – e che negli ultimi anni hanno rappresentato una svolta cruciale nelle possibilità di sopravvivenza dei pazienti con problemi cardiaci.
È già disponibile una nuova generazione di famaci contro il colesterolo chiamati inibitori PCSK9, composti di anticorpi artificiali che inattivano una specifica proteina nel fegato, riducendo di conseguenza la circolazione di LDL nel sangue.
La ricerca ha scoperto anche una nuova classe di farmaci basati sugli anticorpi che abbatte i rischi cardiaci diminuendo l’infiammazione delle arterie. Uno di essi, il Canakinumab, lo scorso anno è stato testato in quaranta paesi diversi, e i risultati indicano una riduzione del 24 per cento degli attacchi cardiaci nei soggetti predisposti.
Ora che esiste la certezza che agire sulle infiammazioni migliora significativamente le condizioni dei pazienti con problemi cardiovascolari, la via per un nuovo fronte di guerra a queste malattie è aperta.
Questi nuovi trattamenti si preannunciano costosi, ma nello stesso tempo previsioni più accurate significano che i farmaci in questione potranno essere diretti ai soggetti maggiormente bisognosi.
Una delle scoperte più interessanti sulle potenzialità degli anticorpi nella lotta ai disturbi cardiaci si deve al team di Ramzi Khamis, senior lecturer in cardiologia presso l’Imperial College London. Si tratta di una scoperta che prospetta tanto un nuovo sistema di prevenzione quanto una cura.
Lo studio in questione si è concentrato sugli anticorpi naturali: ciascuno di noi secerne normalmente anticorpi che scovano l’LDL nel sangue, lo trasportano al fegato che se ne libera. È un compito svolto in particolare da due anticorpi, chiamati IgG e IgM. A quanto pare alcune persone possiedono questi anticorpi in quantità superiore ad altre.
Il team di Ramzi Khamis, in collaborazione con scienziati dalla Svezia e dai Paesi Bassi, ha studiato un gruppo di 100mila pazienti che soffrivano di pressione alta e scoperto che quelli con una storia medica di attacchi cardiaci e placche molto instabili presentavano una concentrazione particolarmente bassa di questi anticorpi nel sangue, mentre quelli con una concentrazione alta avevano il 70 per cento di probabilità in meno di sviluppare disturbi cardiaci nell’arco di cinque anni.
“Abbiamo appurato che questi anticorpi forniscono un notevole grado di protezione”, dice Khamis. “Misurare il loro livello nel sangue ci permetterà di valutare meglio i rischi di disturbo cardiaco. Ma ora stiamo pensando anche alla possibilità di usarli in senso terapeutico”.
Una terapia anticorpale può aumentare le capacità del sistema immunitario di combattere l’LDL: si può persino ipotizzare un vaccino che riduca significativamente i rischi di attacco cardiaco.
“Potrebbero volerci ancora una decina d’anni”, precisa Khamis, “ma la possibilità è concreta. Per ora abbiamo dimostrato al di là di ogni dubbio che il ruolo del sistema immunitario nella prevenzione degli attacchi cardiaci è assai maggiore di quanto avessimo mai immaginato prima”.
5. Come abbassare i rischi di attacco cardiaco
- Non fumate, né sigarette normali né elettroniche
È noto che fumare aumenta i rischi cardiaci, ma ricerche recenti svolte dall’Università della California su un campione di 70mila persone indicano che anche la sigaretta elettronica è un’abitudine a rischio.
- Evitate il traffico
L’inquinamento industriale e quello prodotto dai mezzi di trasporto sono nocivi per la stessa ragione del fumo: microparticelle entrano nel sangue, il sistema immunitario si attiva per contrastarle e questo provoca una pericolosa infiammazione delle arterie.
Uno studio pubblicato di recente sull’European Heart Journal suggerisce che anche il rumore del traffico aumenti i rischi cardiaci.
- Tenete un regime alimentare equilibrato
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, per una dieta sana per il cuore non serve abolire brutalmente carne e latticini: è sufficiente mangiare buone quantità di frutta, verdura, pesce e legumi, come pure quantità moderate di carni non
lavorate e latticini. Anche la British Heart Foundation assicura che carne e latticini in misura non eccessiva non danno problemi.
- Evitate le carni lavorate
La comunità scientifica concorda che le carni lavorate (come prosciutto, salame e bacon) non fanno bene al cuore. Una vasta ricerca del 2010 ha concluso che una dieta quotidiana di carni lavorate aumenta del 42 per cento il rischio di disturbi cardiaci.
- Rilassatevi
Uno studio pubblicato su The Lancet mostra che sotto stress l’amigdala segnala al midollo osseo di secernere nel sangue un tipo di globuli che aumenta il livello di infiammazione delle arterie.
- Diminuite gli alcolici
Ricerche recenti indicano che i giovani adulti che bevono molto e molto spesso hanno fattori di rischio – pressione elevata, eccesso di colesterolo e zuccheri nel sangue – nettamente più alti di chi non beve e a un’età inferiore alla media.
Secondo uno studio dell’University College of London, le arterie degli adolescenti che bevono e fumano cominciano a irrigidirsi già a diciassette anni.
- Perdete peso
Il sovrappeso aumenta la pressione sanguigna, il colesterolo e la possibilità di contrarre il diabete, tutti fattori di rischio per il cuore.