Quando le bambole spaventano a morte… significa che si soffre di automatonofobia.
È un disturbo che impedisce di entrare nei negozi (perché ci sono i manichini, che generano un vero e proprio terrore), e anche nelle chiese e nei musei, a causa delle statue. La colpa potrebbe essere dei film horror visti da piccoli.
Le bambole, spesso associate all’innocenza e alla gioia dell’infanzia, possono causare una reazione molto diversa in coloro che soffrono di automatonofobia.
Questa fobia specifica è caratterizzata da una paura irrazionale e intensa nei confronti delle bambole, che può provocare disagio, ansia e persino terrore.
Oggi, esploreremo l’automatonofobia e le ragioni dietro questa particolare avversione per le bambole.
1. Storie dell’orrore
Chi mai potrebbe avere paura di una bambola o di una statua? Solo chi soffre di automatonofobia, una paura specifica e irrazionale verso tutti gli oggetti che rappresentano l’essere umano: bambole, burattini, manichini, statue, figure di cera e oggetti simili.
Ciò che incute più terrore di tutto sono i robot, gli automi e gli animatronici, “finte persone” che simulano l’essere umano in movimento.
Questi oggetti possono causare negli automatonofobici crisi d’ansia, angoscia profonda e squilibri fisici come tachicardia, palpitazioni, irrigidimento muscolare, vertigini, nausea e sensazione di soffocamento.
Ecco perché tentano di evitarli, unitamente ai luoghi e alle situazioni in cui sono presenti.
L’automatonofobia compromette la vita quotidiana: fare acquisti in negozi o grandi magazzini è impossibile o fonte di grande sofferenza per la presenza di manichini; non ci si reca in chiese e musei poiché ricchi di statue; il terrore per le bambole preclude il contatto con il mondo dell’infanzia. E così via.
Secondo la teoria più accreditata, il disturbo sarebbe legato alle tracce lasciate nella psiche da film o storie dell’orrore a cui si è assistito da bambini. Nelle pellicole horror, del resto, non è raro imbattersi in bambole perverse, statue malefiche che si animano e androidi malvagi di ogni genere.
Nella mente fragile del bambino, che non ha ancora sviluppato adeguate conoscenze cognitive, queste immagini lasciano un terrore che, successivamente nella vita, può riemergere alla ricomparsa di questi oggetti nella realtà.
Statisticamente, l’automatonofobia affligge più spesso bambini e adolescenti.
2. Tutto parte dalla prima infanzia
Alla base del disturbo c’è una mancata corrispondenza degli oggetti citati con l’imprinting (l’apprendimento precoce) delle sembianze umane nella primissima infanzia.
«Sin dalla nascita, le reti neurali del cervello (interconnessioni di cellule nervose deputate alla comprensione dell’ambiente) riescono a percepire dapprima la forma del volto umano (figura parziale), poi quella del corpo (figura intera)», spiegano gli psicologi.
«Tuttavia, il neonato non ha ancora il controllo del riconoscimento della figura umana, bensì solo un imprinting iniziale costruito sul volto della mamma e del papà.
Questa immagine viene via via assimilata con il passare dei mesi. Già a un anno, i dettagli del volto sono potenzialmente registrati dalla corteccia cerebrale (sede di percezione e consapevolezza) e il bambino si abitua a convivere con le diverse caratteristiche individuali dei visi (giovane/vecchio, uomo/donna, eccetera).
La mente sviluppa così un vissuto soggettivo e familiare del volto e percepisce le differenze tra normale e anormale, cioè fra un volto familiare rassicurante e un volto che non corrisponde all’imprinting iniziale (per esempio un viso cattivo o mostruoso, un cadavere, una bambola immobile o una statua che sembra fissarlo).
Il cervello, non riconoscendo l’immagine “anormale”, trasmette alla mente una percezione di incompatibilità e di pericolo perché non può controllare ciò che ancora non conosce. Questa mancanza di controllo fa scattare nel piccolo un senso di terrore».
È ciò che avviene quando un bambino piccolo vede un film dell’orrore: non potendo controllare quei personaggi, si spaventa. Tenderà poi a rimuovere il ricordo traumatico, del quale non gli rimarrà alcuna memoria cosciente.
Tuttavia, in età adulta, il presentarsi degli stimoli scatenanti nella vita reale potrà innescare una fobia. La scuola di pensiero cognitivista pone l’accento sulle distorsioni cognitive legate all’automatonofobia.
Attorno agli oggetti temuti si affolleranno pensieri irrazionali negativi, per esempio la sensazione che una statua o una bambola possano esercitare un controllo subdolo, animarsi e fare del male. Ne deriveranno distorsioni comportamentali e disperati tentativi di evitamento.
3. La teoria del cadavere
La “teoria del cadavere”, sostenuta da alcuni studiosi, associa la fobia per i volti fermi e immobili all’aspetto dei cadaveri, che presentano un viso umano ma fisso e senza vita.
Da quest’associazione nascerebbero l’ansia e l’angoscia che caratterizzano l’automatonofobia.
Secondo un’altra ipotesi, invece, manichini e statue – soprattutto quelle religiose – richiamerebbero l’idea di un controllo soprannaturale silenzioso e inafferrabile.
Avviene lo stesso con i quadri che rappresentano personaggi inquietanti con lo sguardo fisso rivolto all’osservatore; sembra che ci guardino alla stregua di una coscienza persecutoria. Sono fantasmi persecutori che si introducono nella coscienza e che, a livello inconsapevole, riflettono ciò di cui la persona si sente in colpa, talvolta suscitando l’idea di un’imminente punizione.
Infine, è allo studio l’ipotesi che il cervello percepisca già di per sé come inquietanti e minacciosi gli oggetti inanimati dall’aspetto umano. Chi soffre di automatonofobia dorme di notte con la luce accesa... L’automatonofobia può indurre incubi notturni.
Spiegano gli psicologi: «I pazienti proiettano nel buio i loro fantasmi. La luce accesa fa sentire loro che sono nel mondo reale, dove questi fantasmi non ci sono. Il buio rappresenta un mondo ignoto incontrollabile. Una luce che rischiara l’ambiente rassicurante della camera da letto dà una sensazione di controllo».
4. Come nascono i fantasmi
La predisposizione all’automatonofobia deriverebbe da una scarsa fiducia del piccolo verso la figura di accudimento (di solito la madre) per via di un atteggiamento poco rassicurante di quest’ultima nelle sue prime fasi di vita.
Spiegano gli esperti: «Ogni bambino nasce con potenziali fantasmi, seppure grossolani: paure ataviche che richiamano personaggi cattivi che possono divorarlo o portarlo via dai genitori.
Questi fantasmi scompaiono man mano che i genitori e l’ambiente familiare garantiscono serenità e sicurezza. Il primo imprinting in tal senso, molto precoce, lo creano il volto della mamma e le comunicazioni sensoriali che si instaurano fra lei e il neonato.
Il volto materno dev’essere rassicurante, poiché è su di esso che il bambino costruirà la sua fiducia. Volti materni inquietanti o burberi costituiranno un “tradimento” delle aspettative di dolcezza e amore insite nel piccolo e non gli permetteranno di superare la fase delle paure primordiali. Anziché integrarsi via via con le parti più adulte e consapevoli della persona, queste paure rimarranno nel profondo anche in età adulta».
Così, nei volti finti la persona tornerà a percepire il mancato volto rassicurante vissuto da piccolo. Paure non superate in tenera età si riattiveranno, generando disturbi come l’automatonofobia.
5. Come trattare il disturbo
La terapia cognitivo-comportamentale propone la desensibilizzazione sistematica (ossia l’esposizione progressiva agli stimoli temuti per abituare il paziente alla loro presenza) e un lavoro cognitivo volto a ristrutturare i pensieri irrazionali associati agli oggetti che scatenano la fobia.
Questo approccio può permettere di superare i sintomi del disturbo. Per esempio di fare acquisti in un grande magazzino in presenza di manichini.
Ma non ne individua le cause, cioè i fantasmi e le fantasie da cui nasce. Per risolvere il problema alla radice serve una terapia di orientamento psicanalitico.
Il problema patologico risiede infatti nella memoria implicita, una particolare memoria che il bambino acquisisce con una sensorialità primitiva e primordiale, e che in seguito, proprio perché non basata su uno stato di coscienza, non può essere rimossa né ricordata.
Può però essere proiettata sull’analista, che diventa la figura di riferimento del paziente: una figura rassicurante che ascoltando il paziente e creando con lui un rapporto di empatia accede alle parti profonde del suo Sé, ricollegandolo al passato. In tempi relativamente brevi si individua il trauma che ha originato il disturbo, risolvendolo.
Attenti a ciò che guardano i vostri bambini! Prima dei 5-6 anni, le conoscenze cognitive dei bambini non sono ancora pienamente sviluppate. I film horror possono quindi causare loro gravi problemi futuri.
In seguito, eventuali esposizioni a queste immagini vanno sempre supportate dalla presenza di un adulto, che stringa a sé il piccolo e lo rassicuri.
I film dell’orrore visti in età adulta riattivano un’insicurezza di base: quella di non aver avuto una figura di accudimento rassicurante.