Esistono battaglie che non godono di “buona stampa” quanto altre, pur essendo state perfino più decisive, determinanti per il corso della Storia. Perché?
I fattori dipendono spesso dall’orientamento e dalla ricchezza delle fonti a disposizione degli storici.
Per le vittorie di Cesare, per esempio, disponiamo dei resoconti di prima mano del dittatore in persona, che con la sua mirabile prosa ci ha raccontato le sue imprese nel De bello gallico e nel De bello civili fino a Farsalo.
Ciò che sappiamo delle sue gesta successive lo dobbiamo a resoconti assai meno brillanti e dettagliati di altri membri del suo entourage: in particolare, l’ultima campagna ispanica viene descritta in modo sommario e sgrammaticato nel Bellum hispaniense, il contributo più modesto del corpus cesariano.
È molto più famosa Maratona di Platea, eppure quest’ultima non fu meno importante per i Greci. Il nome Waterloo è diventato sinonimo di disfatta, ma fu sul campo di Lipsia, meno di due anni prima, che la stella di Napoleone tramontò davvero.
Dopo la sanguinosa battaglia sulla Beresina e la ritirata dalla Russia, gli eserciti di tutta Europa si coalizzarono contro Napoleone, infliggendogli la sconfitta decisiva che avrebbe condotto l’imperatore all’Elba.
Sul campo di Lipsia Bonaparte riportò un grave rovescio; questo sancì la sua definitiva disfatta in quella che sarebbe stata ricordata come la campagna per la liberazione della Germania.
È opinione di molti storici militari che fu proprio a Lipsia – piuttosto che a Waterloo nel 1815 – che tramontarono definitivamente le fortune dell’impero napoleonico.
È indubbio che questa fu una delle più grandi battaglie mai combattute nella Storia, almeno fino all’avvento delle “guerre totali” del XX secolo. Vi presero parte quasi mezzo milione di uomini, appartenenti agli eserciti di tutte le parti in conflitto; è per questo che Lipsia diventò “La battaglia delle nazioni”.
1. L'imperatore ritenta
Nell’inverno del 1812, nella steppa russa si disgregava uno dei più grandi eserciti della storia: la Grande Armée di Napoleone Bonaparte.
Per questo, all’indomani della Campagna di Russia, uno dei più grandi disastri militari di sempre, l’astro napoleonico si era avviato verso un lento ma inesorabile declino.
Respinte fino ai confini di Prussia e Polonia, le truppe francesi erano ormai l’ombra di quella poderosa macchina da guerra che solo un anno prima aveva invaso l’impero zarista.
Eppure, nonostante quel fatale rovescio, Napoleone non aveva perso tempo per ricostituire febbrilmente un’armata che gli permettesse di difendere i possedimenti francesi in Europa.
Quando nella primavera del 1813 le operazioni ripresero, stavolta sul suolo tedesco, videro contrapposte le forze francesi a quelle russo-prussiane. Bonaparte fu in grado di mettere in campo non meno di 745.000 uomini.
Tuttavia, in questo nuovo esercito imperiale la massa principale era costituita da giovani coscritti, i quali non erano certamente in grado di eguagliare le gesta dei veterani che avevano costituito il nerbo della Grande Armée.
Dal canto loro, le forze alleate che li fronteggiavano – forti di un totale di 860.000 effettivi, comprese le riserve – erano numericamente superiori, ma con tutta una serie di carenze a livello di comando, dovute soprattutto ai continui disaccordi che spesso intercorrevano tra i comandanti in capo.
Per i francesi la situazione era ancora peggiore. Oltre a tutto il resto, la sconfitta in Russia aveva gravemente menomato le truppe napoleoniche di una componente fondamentale: la cavalleria.
Ciò spiega perché in questa campagna Napoleone soffrì enormemente delle carenze informative dovute al venire meno della funzione esplorante dei reparti a cavallo e in ripetute occasioni, a seguito di azioni concluse con buon esito, non poté inseguire efficacemente gli avversari trasformando dei successi tattici in vittorie complete.
Infatti, dopo la ripresa in grande stile delle ostilità che ebbe luogo ad aprile 1813, l’imperatore riuscì a fronteggiare efficacemente un’offensiva degli alleati battendoli prima a Lutzen (2 maggio) e poi passando al contrattacco, conseguendo un altro successo a Bautzen (20-21 maggio).
Ma questi scontri non furono decisivi e la situazione francese continò a essere molto precaria, soprattutto dal punto di vista logistico e delle prospettive strategiche.
Anche gli alleati, tuttavia, subirono notevoli perdite; la combinazione di questi fattori portò alla firma di un armistizio che entrò in vigore il 4 giugno e proseguì fino al 13 agosto.
2. L'Austria scende in campo
Lungi dall’essere la premessa di un vero accordo di pace, la temporanea cessazione delle ostilità fu utilizzata dalle parti in lotta per riorganizzare le proprie forze e riempire i vuoti creati dalle perdite subite in primavera.
Le pressioni e gli intrighi diplomatici portati avanti durante questa pausa dei combattimenti ebbero come importante risultato la discesa in campo dell’Austria a fianco degli alleati, che fino a quel momento aveva tergiversato.
Quando le operazioni belliche ripresero, dalla seconda metà di agosto, Napoleone si trovò quindi a fronteggiare un altro avversario.
Questa fase della campagna iniziò con una nuova vittoria dell’imperatore francese: tra il 26 e 27 agosto, dopo una complicata serie di manovre e contromanovre, egli riuscì infatti a porsi in una posizione favorevole per contrastare un attacco che gli alleati stavano portando contro una parte del suo esercito a Dresda.
Messosi personalmente alla testa di una forza che includeva le truppe scelte della Guardia imperiale, con un vigoroso contrattacco Napoleone riuscì a mettere in fuga gli attaccanti.
Tuttavia, ancora una volta, questa vittoria non poté essere tramutata in successo strategico a causa della carenza di unità di cavalleria con le quali condurre l’inseguimento del nemico in ritirata.
In questo caso però, l’occasione andò perduta anche e soprattutto a seguito degli scacchi subiti da alcuni dei suoi subordinati: nel settore settentrionale, il 23 agosto il maresciallo Oudinot fu battuto dai prussiani a Grossberen, mentre in quello più meridionale, in Boemia, il 29-30 agosto il maresciallo Vandamme si ritrovò circondato nei pressi di Kulm, e fu fatto prigioniero con la quasi totalità delle sue truppe.
3. Lipsia, la battaglia delle Nazioni
Dopo queste alterne vicende apparve sempre più chiaro che la strategia complessiva dell’alleanza austro-russo-prussiana stava funzionando.
Essa consisteva nel non accettare lo scontro quando le forze francesi erano concentrate e sotto il diretto comando di Napoleone, in ragione del fatto che il prestigio e la fama di invincibilità del grande condottiero erano ancora notevoli, come i fatti avevano effettivamente dimostrato a Dresda.
Quando, invece, avevano la possibilità di colpire i subordinati dell’imperatore, gli alleati attaccavano cercando di sfruttare la loro superiorità numerica.
Tuttavia, dopo azioni e rovesciamenti di fronte, nel corso del mese di settembre gli eserciti coalizzati – grazie anche all’afflusso di notevoli rinforzi – riuscirono a costringere Napoleone sulla difensiva, costringendolo a manovrare per proteggere Lipsia.
In quell’area gli alleati riuscirono a concentrare le quattro armate, provenienti da nord, est e sud, che fino a quel momento avevano operato separate.
Ora che tutto era pronto, appariva chiaro che quello sarebbe stato lo scontro decisivo nel quale si sarebbero decise le sorti dell’intera campagna, e con essa quelle della Germania e dell’Europa.
Nel momento in cui elaborarono i rispettivi piani, Napoleone e i comandanti alleati stabilirono una linea d’azione analoga, in base alla quale entrambi gli eserciti avrebbero esercitato lo sforzo principale a sud della città.
L’imperatore, in particolare, decise di non indugiare in un atteggiamento difensivo, ma di prendere l’iniziativa e attaccare a sua volta i suoi avversari.
4. 16 ottobre: Wachau
Il 14 ottobre la battaglia ebbe inizio con un grosso scontro delle rispettive avanguardie di cavalleria presso l’abitato di Liebertwolkwitz, dall’esito interlocutorio.
Nella fase successiva gli alleati attaccarono il lato meridionale dello schieramento francese con una grande offensiva che a partire dalla mattina del 16 ottobre si sviluppò tra Wachau e Connewitz.
Con un dispositivo articolato su 4 colonne essi si avventarono sulle posizioni francesi, ma il loro scarso coordinamento e l’azione combinata dell’artiglieria e di violenti contrattacchi locali francesi li costrinsero subito a una serie di battute di arresto.
Subito dopo, Napoleone fece affluire delle riserve per lanciare un contrattacco ancora più ampio sul settore meridionale minacciato.
La lotta si fece subito accanita, ma il tentativo francese di disarticolare lo schieramento avversario con la cavalleria e unità scelte della Giovane guardia fu rintuzzato dalle contro-cariche degli squadroni prussiani e russi.
A seguito di questi violenti e incerti scontri, sul lato sud del campo di battaglia si giunse a una sanguinosa situazione di stallo. Ma intanto a nord, che almeno all’inizio non era stato considerato nevralgico da entrambi i contendenti, si stavano verificando importanti eventi.
Fu da questa direzione, infatti, che lo stesso 16 ottobre l’armata di Slesia, composta dalle forze prussiane agli ordini del maresciallo Blücher, attaccò violentemente i reparti francesi schierati a Lindenau e Mockern, mettendoli subito sotto una forte pressione.
Su questo fronte si accesero in breve combattimenti accanitissimi, e alla fine i prussiani riuscirono nel loro intento di scacciare i francesi e costringerli a ritirarsi.
5. In una morsa, il giorno fatale e il lungo esilio
- In una morsa
Il grosso dell’esercito di Napoleone si ritrovò così con una nuova insidiosa minaccia alle spalle.
Con il passare delle ore, lentamente, le sorti di questa grandiosa battaglia iniziarono a volgere a favore degli alleati: essi stringevano le posizioni francesi in una morsa, cominciando a far valere la loro superiorità numerica. Inoltre, potevano contare su nuovi e consistenti rinforzi che stavano affluendo sul posto.
Grazie a questo l’iniziativa passò definitivamente dalla loro parte.
Il 17 ottobre ci fu una pausa dei combattimenti, che gli austro-russo-prussiani sfruttarono per far riposare le truppe, consolidare le posizioni e distribuire rifornimenti, mentre Napoleone rimase invano in attesa di un assalto nemico nella speranza di cogliere in errore i suoi avversari e lanciare un contrattacco decisivo.
Ciò non accadde e al calar della notte, dopo un’attesa che secondo alcuni studiosi gli fu fatale, l’imperatore iniziò ad accorciare il suo fronte difensivo avviando i preparativi per una ritirata verso ovest, in direzione del Reno.
L’indomani, 18 ottobre, fu il giorno della decisione. Le truppe francesi, di fronte a un attacco concentrico lanciato da forze ormai soverchianti, pur continuando a difendersi vigorosamente, cominciarono a predisporsi per il ripiegamento.
L’intera giornata fu punteggiata da assalti alleati e contrattacchi francesi, ma oramai era evidente che Napoleone aveva esaurito tutte le opzioni a disposizione e fu costretto a impartire l’ordine di abbandonare Lipsia.
- Il dì fatale: 19 ottobre
La mattina del giorno dopo vide gli alleati lanciare l’assalto finale. I francesi iniziarono la manovra in ritirata, che fu inizialmente ben organizzata e diretta.
Tuttavia, mentre tutto l’esercito napoleonico stava già rifluendo attraverso il centro abitato e i vitali passaggi su due fiumi e una zona paludosa che si trovavano a ovest della città, un disgraziato caporale commise un errore fatale: il ponte sull’Elster venne fatto saltare prematuramente, intrappolando senza speranza quasi 30.000 uomini della retroguardia.
Napoleone riuscì comunque a far ripiegare buona parte del suo esercito, che gli alleati comunque non cercarono di tagliar fuori definitivamente.
Questa esitazione – dovuta probabilmente alla perdurante soggezione psicologica di cui i comandanti avversari continuavano a soffrire sul campo di battaglia nei suoi confronti – causò la prosecuzione della guerra per un altro anno.
- Il lungo esilio
A dicembre gli alleati oltrepassarono il Reno, che allora era il confine dell’impero napoleonico.
Bonaparte dovette condurre una campagna invernale che, benché gloriosa, non impedì agli alleati la conquista di Parigi.
Ma ormai la Storia era scritta: il 12 aprile 1814 Napoleone firmò la rinuncia al regno di Francia per sé e per i suoi discendenti e il 4 maggio fu esiliato all’Elba.
Note
18 OTTOBRE 1813 LIPSIA
Il 18 ottobre, terzo giorno di battaglia, le forze sul fianco destro francese erano agli ordini di Gioacchino Murat, maresciallo dell’impero e re di Napoli, che aveva, tra i villaggi di Connewitz e Probstheida, il II Corpo del maresciallo Victor, il IX Corpo di Augereau, e l’VIII Corpo polacco del principe Poniatowsky.
In seconda linea c’erano la maggior parte delle unità della guardia imperiale e il grosso della cavalleria. Il centro era affidato al maresciallo MacDonald, che schierava il suo XI Corpo, rinforzato dal V Corpo di Lauriston e dal II Corpo di cavalleria di Sebastiani.
L’ala sinistra, nell’area di Paunsdorf, era comandata dal maresciallo Ney, con il VI Corpo di Marmont (rinforzato dalla 32a Divisione di Durutte), il III Corpo di Souham, e un’aliquota del III Corpo di cavalleria di Arrighi, più il contingente sassone (24a Divisione di fanteria e 26a Divisione di cavalleria leggera) che poi sarebbe passata dalla parte degli alleati.
Lipsia era presidiata dalla Divisione polacca Dambrowski dalla 5 Divisione di cavalleria leggera di Lorge, mentre a Lindenau c’erano la Giovane Guardia del maresciallo Mortier e più a ovest il IV Corpo di Bertrand. Dopo le perdite del 16 ottobre, Napoleone disponeva di un totale di 160.000 uomini con 630 cannoni.
L’esercito alleato era formato dai contingenti austriaci, prussiani, russi e svedesi, suddivisi nell’Armata di Boemia, agli ordini del feldmaresciallo Carlo Filippo principe di Schwarzenberg, l’Armata di Slesia, comandata dal feldmaresciallo Blucher, l’Armata del Nord, guidata da Jean-Baptiste Jules Bernadotte, principe ereditario di Svezia, e l’Armata russa di Polonia del generale Levin August Benningsen, per un totale di circa 295.000 uomini e 1.360 cannoni.
Le operazioni iniziarono alle 9 del mattino, con l’inizio dell’attacco concentrico degli eserciti alleati. L’Armata di Boemia iniziò la sua azione da sud-ovest (1). Subito dopo, la pressione su tutto il settore meridionale si fece più forte con l’entrata in azione del Corpo russo-prussiano di Barclay de Tolly e dell’Armata russa di Benningsen (2).
Nelle prime ore del pomeriggio la battaglia giunse alla svolta cruciale con l’inizio dell’offensiva alleata anche a nord (3), dove alla fine le azioni combinate dell’Armata di Slesia e dell’Armata del Nord costrinsero Napoleone alla ritirata generale.
- IL GENERALE RUSSO BARCLAY DE TOLLY
Baltico di lingua tedesca, discendeva da un clan scozzese: al servizio dello zar, comandava il contingente russo-prussiano dell’armata di Boemia. - IL GENERALE AUSTRIACO SCHWARZENBERG
In Russia aveva comandato le forze austriache che combatterono per Napoleone, ma nel 1813 Vienna passò nel fronte opposto. Lui era alla testa dell’armata di Boemia. - IL PRINCIPE POLACCO PONIATOWSKI
I polacchi furono i più fedeli e valorosi alleati di Napoleone. A Lipsia cadde alla testa dell’VIII Corpo polacco, che nelle ultime fasi della battaglia formò la retroguardia dell’armata francese. - IL RE DI NAPOLI GIOACCHINO MURAT
Il più importante comandante di cavalleria di Bonaparte, divenne una specie di simbolo di questa nobile arma. A Lipsia guidava il fianco destro.