I bitcoin sono una moneta virtuale nata per consentire scambi in Rete da ogni parte del mondo.
Ma per qualcuno avrebbe dovuto essere morta e sepolta da tempo.
“È solo una bolla speculativa, e trovo difficile capire quale sia il suo valore intrinseco”, aveva sentenziato l’economista e guru Alan Greenspan nel 2013. Eppure questa valuta elettronica è stata adottata da un numero di persone sempre maggiore.
E da moneta “più pericolosa del Web” – come la definivano i giornali nel 2011, perché pensavano fosse usata soprattutto nei mercati illeciti per pagare droga o armi – è diventata una realtà accettata oltre che nell’e-commerce anche da 408 esercizi commerciali solo in Italia inclusa Bitqh (dati Quibitcoin.it). Un numero peraltro in forte crescita.
Ma che cos’è il bitcoin? Qual è il suo rapporto con le valute tradizionali? E quale sarà il suo futuro?
1. Quantità limitata
Per comprendere il senso di questa moneta, creata su Internet nel 2009 da un informatico anonimo firmatosi con il nome di Satoshi Nakamoto (nella foto accanto), bisogna capire cosa dà valore a una valuta tradizionale come l'euro o il dollaro.
Dato che il valore di una moneta non è più definito dal valore intrinseco (cioè il metallo prezioso che contiene), né dalla quantità di oro con cui può essere scambiata, come accadeva in passato, si può dire che è dato dalla quantità di beni e servizi che permette di acquistare.
In pratica, il suo valore è arbitrario, ed è determinato in ultima analisi dalla fiducia che vi ripone chi la usa: se tutti smettessero di utilizzare gli euro, insomma, questa moneta non varrebbe più nulla.
Nella pratica, a garantire che il valore nominale sia accettato da tutti come forma di pagamento, è lo Stato, attraverso la propria Banca centrale (e nel caso dell’euro anche la Banca centrale europea).
Ogni valuta poi ha un valore in rapporto alle altre e a definire il tasso di cambio è soprattutto la legge della domanda e dell’offerta, anch’esse determinate dalla fiducia che chi compra o vende ha nel Paese di emissione e nella sua economia.
Tutto questo vale anche per il bitcoin, che però ha una particolarità. Per capirne il senso non bisogna paragonarlo a una valuta ma all’oro. Infatti si tratta di un oggetto digitale di cui vi è scarsità, perché l’algoritmo con cui è stato creato prevede che non se ne possano produrre più di 21 milioni.
A differenza delle valute, che possono essere emesse a piacimento dagli Stati (i quali ne possono decidere anche la svalutazione).
2. Sulla fiducia
Ma come ha fatto il bitcoin a passare da un valore pari a zero, quando è nato, ai quasi 700 euro della valutazione di fine novembre scorso (2016)?
Il motivo è proprio nella reputazione che ha saputo guadagnarsi grazie a chi lo usa e nel fatto che c’è chi è disposto a cedere beni e servizi in cambio appunto di bitcoin.
Questa moneta è nata infatti come strumento per generare fiducia tra individui che non si conoscono, permettendo di compiere transazioni economiche senza scomodare un terzo garante.
Ciò è possibile grazie a un concetto chiamato blockchain. Si tratta di un database distribuito tra i computer di chi contribuisce alla rete bitcoin.
In ogni computer viene scritto tutto l’insieme di transazioni - suddiviso in blocchi - dei singoli soggetti, dall’ultima fino alla prima. Attraverso la verifica della genuinità delle numerosissime catene di blocchi si può validare uno scambio di moneta virtuale.
Ciò accade quando è garantito dalla maggioranza dei computer (50%+1) su cui l’enorme registro è presente, in modo tale che sia impossibile creare false transazioni.
In sostanza, anziché essere affidato a una banca, il registro su cui sono trascritti crediti e debiti è pubblico e leggibile da tutti i nodi della rete.
Le transazioni però sono anonime: si può sapere che una certa quantità di moneta è stata trasferita dal conto A a quello B, ma non chi c’è dietro i due conti.
In secondo luogo le transazioni sono protette da un sistema di crittografia che impedisce che queste siano contraffatte. Infine, per fare la verifica, a ogni transazione è necessario compiere complessi calcoli.
Questo lavoro permette di generare piccole quantità di nuova valuta: ogni dieci minuti, chi mette a disposizione il proprio computer riceve una percentuale per il carico computazionale che ha offerto, che è pagata in bitcoin generati dal network, ed è quindi incentivato a farlo.
Ma, allo stesso tempo, l’algoritmo prevede che nessuno possa creare bitcoin a piacimento, in modo da generare frodi o creare inflazione.
Il sistema di retribuzione è tollerato dalla comunità perché chi è specializzato in questa attività deve sopportare costi molto alti (nella foto in alto a sinistra la Maison du bitcoin, a Parigi: spazio dedicato alla moneta virtuale).
3. In crescita ma con alcuni casi limitati di rischio
Questo sistema ha fatto sì che il bitcoin venisse utilizzato sempre più, accrescendo il controvalore totale della valuta circolante a circa 11 miliardi di euro.
La forza del bitcoin è la sua diffusione e la capacità di resistere a ogni turbolenza e a ogni forma di scetticismo.
E a dimostrarlo c’è il fatto che dopo aver superato la speculazione del 2013, quando ha perso un terzo del suo valore in pochi giorni, i consumatori sono tornati a crederci.
Acquistare bitcoin d’altra parte è meno complicato di quello che sembra: basta utilizzare uno dei servizi come strongcoin.com o coinbase.com.
Il bitcoin naturalmente non è l’unica valuta digitale acquistabile: seguendo il concetto con cui è stato creato, altre - come l’ether - sono nate, ed è possibile che da valori prossimi allo zero o di soli pochi dollari esplodano ampliando questa nuova economia.
Alcune di queste criptovalute sono nate per generare effetti che valicano quelli puramente economici: per esempio il gridcoin e il goldingcoin premiano con la generazione di una certa quantità di moneta chi mette a disposizione la propria potenza computazionale per elaborare calcoli utili alla ricerca scientifica e medica (e utilizzano un altro sistema di validazione delle transazioni).
Ciò che in generale emerge da questa rivoluzione» è la possibilità di applicare il concetto di blockchain anche ad altri campi.
Non solo transazioni finanziarie, ma anche per esempio la certificazione di informazioni sensibili, come la proprietà e ogni trasferimento di un immobile, senza più la necessità di ricorrere al notaio, oppure la creazione di smart contract, contratti intelligenti tra persone in cui per esempio il pagamento per una prestazione viene gestito interamente da un algoritmo.
Se tutto è così promettente, quali sono i rischi? Ci sono alcuni casi limitati in cui queste valute sono state create per truffare, ma certo questo non è il caso di bitcoin e di tante altre.
E non manca il rischio, seppure remoto, che un hacker possa penetrare in sistemi non abbastanza robusti, come è invece il bitcoin, e commettere un furto, come accade anche nei conti delle banche tradizionali, o come è accaduto il giugno scorso (2016) con la sottrazione di 3,6 milioni di ether, pari a 47 milioni di euro, dal fondo di investimento decentralizzato The Dao.
Calcolati i principali benefici (anonimato, spendibilità transnazionale, stabilità) e rischi (furti, truffe), se un numero maggiore di consumatori acquisterà fiducia nei bitcoin e nelle altre criptovalute nascenti si può ipotizzare un futuro in cui potrebbe indebolirsi il ruolo chiave di banche e intermediari per tutte le transazioni finanziarie.
4. Domani accadrà e il caso Svezia
L’aspetto fondamentale è la decentralizzazione, perché è l’elemento che permette di superare il vecchio modello, come accaduto per esempio con il peer-to-peer, che ha rivoluzionato l’industria musicale.
Naturalmente è difficile ipotizzare cosa accadrà, anche perché le istituzioni finanziarie dopo avere rigettato le monete virtuali ora le hanno abbracciate e probabilmente stabiliranno nuove regole restrittive.
E possibile che il successo di queste criptovalute porti a una democratizzazione e a una maggiore trasparenza del sistema ma anche che emergano nuovi poteri, così come Facebook e Google sono emersi con la rivoluzione del Web.
Una previsione molto plausibile è che accadranno entrambe le cose, ma il futuro è aperto e dipende dalle nostre scelte.
La Svezia pensa già alla e-Corona! Come dimostra la sua storia, il bitcoin è esposto a bolle speculative: perciò il suo valore potrebbe schizzare alle stelle o arrivare a zero.
Diverso sarebbe se la stabilità di una valuta digitale fosse garantita da una banca centrale. È quello che potrebbe accadere in Svezia dove l’istituto di emissione sta esplorando la possibilità di creare una e-Corona, una versione elettronica del biglietto cartaceo.
Ma perché fare una mossa del genere? In un Paese in cui nel 2016 solo il 15% dei pagamenti è stato effettuato in contanti, è chiaro che si porrà sempre più il problema di come trasferire valore tra due persone.
Secondo Cecilia Skingsley, vicegovernatore della Riksbank, una valuta digitale potrebbe offrire un surplus di sicurezza sulle frodi mantenendo la stessa qualità del contante, anche se non è chiaro ancora se i borsellini digitali dovrebbero essere detenuti dalla banca (come accade con i conti correnti) o decentralizzati nel Web... come avviene con i bitcoin.
5. Dove si può usare il Bitcoin
Dove si può usare il Bitcoin?
La prima transazione in bitcoin della Storia avviene il 12 gennaio 2009, tra il suo inventore Satoshi Nakamoto e il crittografo Hal Finney.
Da allora ne ha fatta di strada: la criptovaluta oggi può essere usata in moltissimi esercizi commerciali nel mondo per effettuare pagamenti di persona in ristoranti, negozi di abbigliamento, per prestazioni professionali e così via.
Coinmap.org è un progetto di mappa che tenta di catalogarli tutti su una mappa mondiale. E per strada si possono trovare anche “bancomat” con cui convertire contante in bitcoin e viceversa.
Naturalmente è possibile anche effettuare acquisti online: ad accettare la valuta sono siti come Expedia.com, Microsoft.com, Showroomprive.com, Amazon.com, anche se spesso la transazione avviene tramite intermediari come Purse.io.
Il vantaggio è l’anonimato del pagamento, ed è questo il motivo per cui il bitcoin ancora oggi viene usato (in minima parte) nei siti di e-commerce del Deep Web, dove, anziché comprare libri o scarpe, si possono acquistare droga, armi, documenti falsi e carte di credito rubate.