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Branda Castiglioni: il magnifico delle Prealpi

Branda Castiglioni, conosciuto anche come Branda da Castiglione, se fosse vissuto ai nostri giorni, avrebbe partecipato al conclave che ha eletto papa Bergoglio, perché era cardinale di Santa Romana Chiesa.

Ma nacque nel 1350, quando Dante e Giotto erano morti da pochi decenni e di fumate bianche o nere non si parlava ancora.

Eppure, anche senza la Cappella Sistina e il fumo bicolore, i papi si facevano lo stesso. Anche troppi: il record fu nel 1409, con tre pontefici contemporanei (Benedetto XIII, Gregorio XII e Alessandro V), ognuno dei quali giurava di essere il vero vicario di Cristo.

Ecco la vita di Branda Castiglioni, il cardinale che nel Quattrocento portò nel Varesotto il meglio dell’arte rinascimentale, fondando una corte sul modello fiorentino.

Tra i grandi maestri, Masolino da Panicale, collaboratore di Masaccio, che si ammira ancora a Castiglione Olona.

1. Umanista con il pedigree

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Lui, il nostro cardinale d’epoca, si chiamava Branda Castiglioni, dove il cognome rivelava un pedigree di tutto riguardo ((nella foto a sinistra, lo stemma della famiglia), espressione di una nobile dinastia lombarda, mentre l’improbabile nome (di origine longobarda) era un omaggio a un bizzarro uso di famiglia, che a generazioni alterne lo imponeva ai suoi rampolli.

Nacque a Milano. Visse per lo più tra Pavia, Roma, l’Ungheria e il Varesotto, allora detto Seprio. Fu cardinale, dicevamo; ma anche diplomatico, uomo dotto, gran mecenate di artisti e alfiere del ben vivere.

Fu l’avamposto dell’umanesimo in Lombardia, una sorta di Lorenzo il Magnifico del Nord» sintetizza Federica Armiraglio, conservatrice del Museo della Collegiata di Castiglione Olona (Varese), nelle cui sale si possono ammirare gli affreschi che Branda Castiglioni ordinò a tre pittori d’avanguardia, portati dal Centro Italia: il senese Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, il fiorentino Paolo Badaloni detto lo Schiavo e – più importante di tutti – Tommaso di Stefano Fini, alias Masolino da Panicale, maestro e/o socio del celebre Masaccio.

Detto per inciso: “collegiata” è un termine che indica una chiesa di una certa importanza, più di una parrocchia e me- no di una cattedrale. E il museo di Castiglione si chiama così perché include una chiesa di questo tipo e il relativo battistero, affrescati entrambi.

Tra i dipinti di lassù, uno merita attenzione più di tutti: il Banchetto di Erode, parte di un ciclo sulla vita di san Giovanni, opera di Masolino. Illustra il brano del Vangelo di Marco che narra del convito dove la danzatrice Salomé ottenne la condanna a morte del Battista.

Ma in realtà quell’affresco “classico” è una rivoluzione culturale. Infatti, col Banchetto di Erode, per la prima volta a nord del Po l’arte fece propri i canoni prerinascimentali.

Si noti: i convitati hanno facce realistiche, riconoscibili; lo sfondo è un paesaggio vero invece che un surreale cielo dorato; e soprattutto gli edifici sono disegnati con una prospettiva scientifica perfetta, come quella usata a Firenze da Paolo Uccello per i cavalli sghembi della Battaglia di San Romano, paradigma estremo di tecnica prospettica rinascimentale.

Nella foto sotto, un affresco del Masaccio a Santa Maria del Carmine (Firenze): nel tondo, Branda.

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2. La pergamena sepolta

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A stupire, in tutto ciò, sono le date. Infatti la prospettiva fu “inventata” da Filippo Brunelleschi nel 1416, Paolo Uccello dipinse la Battaglia nel 1438 e Masolino lavorò a Castiglione nel 1435.

Quindi nel primo ’400 il minuscolo villaggio del Seprio era sostanzialmente appaiato all’evoluta Firenze dei Medici e in marcatissimo vantaggio sulle capitali lombarde dell’epoca, la Mantova dei Gonzaga e la Milano dei Visconti, dove il vento dell’umanesimo arrivò solo decenni dopo, rispettivamente nel 1460 e nel 1477, con Mantegna e Bramante.

Il Banchetto non era un virtuosismo artistico isolato, ma la cartina di tornasole di una sensibilità mutata, che nel ’400 toccò molte cose, il modo di abitare, di costruire, di usare il territorio, di scrivere, di vestire, di pregare, di cucinare. Insomma, il modo di concepire la vita.

“Chi vuol esser lieto, sia” esortava nel 1490 Lorenzo il Magnifico. Branda ne anticipò di mezzo secolo la linea: voleva fare di Castiglione Olona, culla d’origine della sua famiglia, una lieta “città ideale”, esempio di benessere, buon gusto e gioia di vivere.

Dare qualche cenno biografico sul regista di questa operazione era una cosa fino a 78 anni fa impossibile per carenza di fonti. Infatti di quel gigante della storia culturale del Nord Italia restava solo il nome o poco più.

Poi però, negli Anni ’30 del Novecento un arciprete, don Antonio Barili, decise di restaurare la Collegiata. Fece ripulire gli affreschi dove erano stati coperti da intonaco posticcio e a lavori conclusi dispose un’ispezione nel sarcofago di Castiglioni, vicino all’abside.

Cosa cercava don Barili in quella tomba? La certezza che la salma di Branda ci fosse davvero. Obiettivo raggiunto: il sarcofago conteneva una bara di legno coi resti di un uomo dai capelli rossastri e dai paramenti sacerdotali.

Nella relazione lasciata dall’arciprete si legge che tra le mani del defunto c’era una croce di “osso forgiato a mano” e che la salma era “rivestita da una pianeta amplissima di modello antico, formata da un tessuto di canapa color caffè, senza fodere e ornata in tutti i contorni da nastri di colore azzurro”.

Ma nella tomba non c’era solo questo. Sopra la cassa  trovò una pergamena in tre fogli, scritti a mano in un latino tardo, difficile da tradurre, con in calce una firma: Johannes de Olomons. Era una biografia del cardinale, sepolta con lui nel 1443.

Quanto all’autore del testo, era un insegnante di scuola di origine morava, che per 18 anni era stato il segretario di Branda. È grazie a quel Johannes, che usualmente viene chiamato Giovanni da Olmütz, se oggi del Castiglioni sappiamo qualcosa più del nome.

Nella foto sotto, la camera del cardinale a Palazzo Castiglioni.

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3. Carta d’identità

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Sappiamo per esempio che suo padre si chiamava Maffiolo e sua madre Lucrezia Porro. Che aveva tre fratelli minori (Giovanni, Francesco e Guido) più una sorella (Giovanna).

Che fece i primi studi a Milano e si trasferì poi a Pavia, dove si laureò in diritto canonico e civile. Sappiamo che nella stessa Pavia iniziò una brillante carriera accademica.

E che nel 1389 Gian Galeazzo Visconti, il duca di Milano che anni dopo iniziò la costruzione del Duomo, lo spedì a Roma per ottenere dal papa Bonifacio IX privilegi per l’ateneo pavese.

La missione romana cambiò la vita di Branda: Bonifacio, astuto pontefice napoletano, avendo colto al volo le doti di quel giurista-ambasciatore calato dal Nord, gli propose di mettersi al suo servizio.

Castiglioni accettò, si fece prete e iniziò una carriera ancor più brillante di quella avviata a Pavia: prima lavorò per la Sacra Rota, poi prese a girare l’Europa come ambasciatore della Santa Sede.

Fu in Germania, nel Veneto, a Piacenza (dove divenne vescovo), in Boemia e in Ungheria (dove diventò conte di Veszprém). Quell’attività così frenetica aveva solide ragioni. Infatti all’epoca la Chiesa traballava, minacciata su tre fronti.

Il primo era quello dei cosiddetti albati, un movimento di penitenti fanatici, che nell’anno 1400 marciarono su Roma vestiti di sai biancocrociati, predicando l’imminente fine del mondo e del papato.

Il secondo fronte, ben più pericoloso, era l’“eresia” ussita, che in Boemia incitava le classi povere contro il clero, ricco e corrotto. Il terzo fronte, potenzialmente micidiale, era il cosiddetto “scisma d’Occidente”.

Per neutralizzare gli albati bastò qualche rogo, ordinato da Bonifacio IX. Anche contro gli ussiti un altro papa (Martino V) usò il fuoco, che però da solo non fu sufficiente. Si ricorse quindi prima al diplomatico carisma di Castiglioni (1421) e poi all’intervento armato dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1422).

Risultato secondo la pergamena del sarcofago: “Moltissimi ussiti, istruiti allora nella vera e sana dottrina, si convertirono al- la fede cattolica”. Risultato secondo stime più realistiche: la “crociata” finì in un tragico massacro.

Nella foto sotto, la facciata esterna di Palazzo Branda, residenza del cardinale: fu costruito tra il XIV e il XV secolo.

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4. Fedele al papa

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Molto più complicato fu venire a capo dello scisma d’Occidente, che per un quarantennio (1378-1417) spaccò in due il mondo cattolico, con papi, cardinali e persino santi schierati su fronti opposti, uno con quartier generale a Roma, l’altro ad Avignone.

Mentre milioni di fedeli non sapevano più che papi pigliare, Branda non ebbe mai dubbi e si schierò decisamente coi pontefici romani contro i francesi, almeno finché non intravide la possibilità di sanare lo scisma invocando un noto adagio: fra i due litiganti il terzo se la gode.

Accadde nel 1409, quando a Pisa si tenne un concilio ecumenico che mise fuori gioco entrambi i papi in carica (il nepotista Gregorio XII a Roma e l’antisemita Benedetto XIII ad Avignone) nominandone un terzo (Alessandro V) per sostituirli.

Al momento il tentativo di riunificazione non riuscì, perché i due pontefici deposti restarono incollati al loro scranno. Ma la strada era quella giusta: anni dopo, al Concilio di Costanza (1414-17), ci fu un ribaltone generale e il vicario di Cristo tornò a essere uno solo, che si chiamò Martino V.

In quella ridda di pontefici uni e trini, la via pisana fu la strada giusta anche per Branda, che nel 1409, quando era ancora solo vescovo, si schierò a favore del “terzo polo” e due anni dopo incassò la ricompensa di quella scelta di campo: la porpora cardinalizia.

Ad attribuirgliela fu il successore di Martino V, il “pisano” Giovanni XXIII, che oggi la Chiesa considera un antipapa. In quella veste, l’infaticabile Branda partecipò ad altri concili, ora nel tentativo di ricomporre anche lo “scisma d’Oriente”, quello degli ortodossi.

Poi, all’età della pensione, il cardinal Castiglioni cambiò vita e tornò alle sue radici, cioè nella natìa Milano e nella culla di famiglia, Castiglione Olona. Giovanni da Olmütz racconta quel ritorno con una prosa da scongiuri:

“Alla fine, quando Dio già pensava di toglierlo da questo mondo, dopo una vita mirabile e piena di opere virtuose, come se Dio avesse voluto consolarlo dei suoi meriti in questa e nell’altra vita, lo ispirò a prendere il cammino per tornare a casa, pregando continuamente di avere la grazia di riposare in patria”.

Ma l’anziano Branda non aveva affatto intenzione di mettersi in pantofole aspettando la fine. Anzi, fu proprio nella terza età che diede il meglio di se stesso, almeno sotto il profilo laico.

Sprovincializzato, ricco, colto, amico di nobili e di alti prelati, del papa e dell’imperatore Sigismondo, poteva fare ciò che voleva. Così a 72 anni d’età decise di creare una “città ideale”, sogno fisso di signori e urbanisti del Rinascimento.

E Castiglione finì per prefigurare quel “palazzo in guisa di città” che i Montefeltro realizzarono poi a Urbino.

Nella foto sotto, Il Banchetto di Erode (1435), affresco di Masolino da Panicale nel battistero di Castiglione Olona: sullo sfondo del dipinto, le Prealpi varesine.

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5. Piccola Firenze e gli ultimi giorni

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Il sogno si realizzò per gradi. Prima, sopra i resti di un fortilizio in rovina su un’altura, Branda creò la famosa Collegiata. Poi la dotò del battistero, ricavato da un’antica torre diroccata.

Quindi, 10 anni dopo la consacrazione del complesso, chiamò i migliori pittori che conosceva e diede loro mano libera. Infine, cosa più unica che rara per i tempi, negli edifici annessi realizzò una biblioteca aperta al pubblico.

E poco più a valle, a mezza via tra l’altura e il centro del paese, piazzò nientemeno che una scuola per i giovani del luogo. All’istruzione popolare il cardinale teneva molto.

Oltre alla scuola suddetta, lo dicono altri due dati. Il primo: memore dei suoi anni universitari, Branda lanciò un ponte ideale dal Seprio verso Pavia, dove fondò un collegio studentesco che esiste tuttora col nome di Castiglioni-Brugnatelli.

Secondo dato: da cardinale, quando dovette scegliersi uno stemma, abbinò al tradizionale totem di famiglia (un leone) un uomo con un compasso, simbolo della cultura scientifica che nel Rinascimento lombardo avrebbe poi espresso Leonardo.

Clou della “città ideale” di Branda era Palazzo Castiglioni (poi Branda), l’antica residenza di famiglia che lui ristrutturò radicalmente, fino a farla diventare una piccola reggia, usata a tempi alterni come sede di banchetti e come circolo culturale.

Giovanni da Olmütz, che fu il primo insegnante della vicina scuola popolare, dà della vita in quel palazzo una descrizione ammirata: “Egli invitava a tavola prelati, dottori, maestri e signori di classe, coi quali a pranzo terminato teneva circolo e conversava sapientemente su qualche tema d’arte o di teologia”.

Nela foto sotto, la lunetta sulla facciata della Collegiata, con Branda inginocchiato.

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A quei pranzi-dibattito partecipavano fino a 80 invitati per volta. E poiché non di sola arte vive l’uomo, l’anziano Castiglioni non faceva mancar nulla del resto, né a sé né ad amici e vicini, in una generosa concezione sociale dell’abbondanza.

Scrive Johannes: “Tutti i vasi e utensili suoi, specialmente quelli per la mensa, erano d’argento o d’oro; la dispensa era degna di un re e il modo di pranzare splendido e signorile”. E poco oltre: “Dava elemosine ai poveri, forniva doti alle ragazze indigenti, largheggiava con i parenti”.

Carità cristiana per il prossimo? Non sembra: dietro la prodigalità del cardinal Castiglioni si intuisce piuttosto un’anticipazione del laicissimo verso di Lorenzo de’ Medici: “Chi vuol esser lieto, sia”. Dove il verbo “sia”, per essere attuato, necessita talvolta di una redistribuzione del reddito.

Branda, navigato uomo di mondo, lo sapeva. Non poteva sapere però che il brano mediceo, se letto per intero, avrebbe avuto toni meno ottimisti: “Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non v’è certezza”.

Un giorno le certezze del domani cessarono anche per il “Magnifico del Nord”. Era il 3 febbraio 1443: il cardinale tirò l’ultimo respiro a Castiglione, all’età di 93 anni meno un giorno.

E la sua eredità culturale, intrisa di umanesimo illuminato e progressista, si perse in fretta: nel 1520, solo 77 anni dopo la sua scomparsa, un suo discendente indiretto, Fioramonte Castiglioni, fu testimone d’accusa in un processo dell’Inquisizione che mandò al rogo sette donne, accusate di stregoneria. Branda era morto, il Medioevo no.

Nella foto sotto, monumento funebre al cardinale Branda nella Collegiata di Castiglione Olona.

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