Da un buon esemplare di balena si ricavava l’equivalente della carne di 30 buoi e del grasso di 300 maiali, che una volta fuso dava 9.000 litri d’olio.
La lingua erano altri 1.500 chili di carne tenera.
E poi c’erano 250 kg di fanoni, “ denti” filtranti di cheratina, resistenti e flessibili, ricercati per gli impieghi più vari: dalle intelaiature di canoe agli ammortizzatori per le carrozze.
Non si buttavano nemmeno le ossa: da costole e mandibole si ricavavano architravi e dalle vertebre sgabelli. Persino Martin Lutero ne aveva uno così.
Insomma, prima dell’avvento della petrolchimica le balene erano una risorsa preziosa. Che scatenò fin dalla preistoria una caccia senza regole. Fu il Cinquecento il secolo del boom: già allora le balene rischiarono l’estinzione.
La più facile da cacciare era la balena franca, per gli inglesi right whale, “ balena giusta” : nel senso di “ giusta da cacciare” perché lenta e perché, una volta uccisa, galleggia.
Tutt’altro discorso per il capodoglio: invece dei fanoni ha una mascella di 5 metri con denti di 20 cm e un carattere da predatore (i francesi lo chiamavano grand diable).
La balenottera azzurra, ambito bestione di 30 metri, fu invece raggiunta solo nell’Ottocento, grazie alle navi a vapore, visto che tocca i 16 nodi di velocità.
Ecco alcuni miti. Pur cacciandole, l’uomo da sempre subisce il fascino di queste creature. Ogni civiltà ha i suoi miti sulle balene e alcune culture le associano alla rinascita. Erano invece terrificanti per la Bibbia, dove Giona è inghiottito dalla balena e dove il Leviatano è un mostro marino simbolo del Male.
Su un episodio reale è in fine basata la storia di balene più celebre, Moby Dick di Herman Melville (1851): nel novembre 1820 la baleniera americana Essex fu affondata nel Pacifico del Sud da un gigantesco capodoglio. Lo scrittore americano (che sulle baleniere lavorò) raccolse i racconti dei sopravvissuti e creò il suo capolavoro.
Sulle rotte dei grandi cetacei:
- 6000 a.C. – Prime testimonianze di caccia alla balena in graffiti neolitici.
- IX-XV secolo – Baleneria basca sulle coste del Golfo di Biscaglia.
- XVI-XVIII secolo – Supremazia olandese, inglese e francese nell’Atlantico.
- XIX secolo – Espansione della baleneria statunitense nel Pacifico.
- XX secolo – Supremazia norvegese, giapponese e russa; caccia antartica.
- 1946 – Nasce (‘International Whaling Commission che regola la caccia baleniera.
Ecco alcune curiosità molto interessanti sulla caccia alle balene: un inseguimento lungo 8 mila anni
1. Un inseguimento lungo 8 mila anni e dal kayak alla nave officina
- Un inseguimento lungo 8 mila anni
I primi graffiti (foto) che raffigurano balene risalgono al 6000 a.C.
I cacciatori preistorici prima si limitarono a scarnificare esemplari spiaggiati, poi escogitarono tecniche di caccia tramandate fino all'inizio del '900: si usavano arpioni avvelenati o reti in pelle di foca, oppure le si bersagliava con lance e frecce fino a dissanguarle.
I primi a organizzare un sistema di caccia furono però i baschi nel Medioevo, che eressero torri d'osservazione lungo il Golfo di Biscaglia: appena la vedetta scorgeva una balena mettevano in mare le lance a remi, inseguivano la preda, l'arpionavano e la trainavano a riva per macellarla.
Nel '500 già si dovevano cercare le balene al largo, con le navi, e nel '600 e 700 ogni potenza europea aveva una flotta baleniera. La tecnica era ancora quella basca, ma le lance venivano calate dalla nave.
Nell'800 gli americani inventarono la baleniera autosufficiente che stava in mare per mesi, poiché la macellazione avveniva a bordo.
Nel '900 i norvegesi introdussero il cannone spara-arpioni, le baleniere si spinsero in ogni mare e la caccia divenne un'industria. - Dal kayak alla nave officina
Un'intelaiatura di legno ricoperta di pelli di foca: era la baidarka, la canoa (kayak in lingua inuit) con cui cacciavano le balene gli indigeni delle Aleutine, all'estremo Nord del Pacifico.
Gli inuit (i cui sciamani indossavano maschere-balena) usavano l'umiak, canoa a più posti sempre in pelle di foca, ma aperta e con l'intelaiatura di fanoni: unico materiale a disposizione nei ghiacci dell'Artico.
Di tavole in quercia erano invece fatte le scialuppe a remi dei balenieri baschi, modello della barca da caccia sulle baleniere a vela.
Queste all'inizio erano galeoni armati di cannoni per difendersi da pirati e baleniere rivali poi, nel XIX secolo, divennero velieri che si distinguevano per i calderoni per la lavorazione del grasso che troneggiavano sul ponte.
Negli Anni '30 del '900 si passò a navi-officina: un'enorme nave per la macellazione era rifornita 24 ore su 24 da scafi con arpioni esplosivi, sonar e sistemi elettronici per disorientare i branchi.
2. Dagli oceani alle boutique e pericolo in alto mare
- Dagli oceani alle boutique
I mondo moderno venne illuminato dagli abissi, nel senso che l'illuminazione fu per secoli a base d'olio di balena .
Si usava per realizzare candele e lo si bruciava in lampade e lampioni. In più lo si impiegava come lubrificante per ingranaggi.
I fanoni invece erano il segreto della bellezza femminile: flessibili e resistenti, le "stecche di balena" venivano inserite in bustini e corsetti per stringere la vita e sostenere il seno. E grazie alla loro elasticità, diventavano anche ammortizzatori di carrozze e archetti per ombrelli. Il capodoglio forniva una sostanza ancora più preziosa:lo spermaceti, olio purissimo ricavato dalla testa.
Le candele in spermaceti non puzzavano e illuminavano di più, tanto che furono usate nelle lanterne dei fari e come unità di misura della luminosità.
L'olio aveva anche altri impieghi: lubrificante, additivo nei carburanti, emolliente, componente di farmaci e cosmetici e fonte di glicerina, base della dinamite.
Altro tesoro del capodoglio era l'ambra grigia, prodotto dell'intestino ricercatissimo dai profumieri: un blocco di 3kg trovato su una spiaggia inglese nel gennaio 2013 è stato quotato 50 mila euro. - Pericolo in alto mare
La baleneria si sviluppò parallelamente alla marina militare mentre il mare diventava un campo di battaglia globale, per cui venne presto coinvolta negli scontri tra grandi potenze.
Le prime battaglie navali fra baleniere avvennero a inizio '600, principalmente tra inglesi e olandesi in lotta per il controllo delle basi nell'Artico.
Dopo le tregue seguiva qualche anno di pace, ma appena scoppiava una guerra o una rivoluzione le navi da caccia venivano coinvolte.
Gli attacchi più comuni erano
quelli dei pirati, che le depredavano del carico. Ma potevano essere aggredite da fregate da guerra nemiche e allora oltre ai barili di grasso, veniva sequestrato l'intero equipaggio per essere arruolato a forza nella flotta nemica.
Un altro pericolo erano gli indigeni di alcune isole del Pacifico, i più bellicosi circondavano le baleniere all'ancora con le loro canoe e le assaltavano: questa era la sorte peggiore perché non era difficile che ufficiali e marinai finissero in mano ai cannibali.
Nel '900 gli scontri si sovrapposero alle guerre e molte baleniere furono convertite in cacciasommergibili. Dal 1946 le tensioni internazionali sono regolate dall'lwc (International Whaling Commission).
3. Moby Dick a stelle e strisce e la dura vita del paniere
- Moby Dick a stelle e strisce
I primi coloni inglesi in Nord America erano contadini e allevatori che non sapevano uccidere e macellare una balena come facevano da secoli i nativi.
Perché la baleneria americana prendesse piede ci volle una disputa religiosa: nel 1659 un gruppo di coloni quaccheri, in contrasto coi puritani, si stabilì sull'isola di Nantucket, davanti alla costa del Massachusetts.
Di lì passavano grandi branchi di balene e capodogli: i coloni impararono il mestiere da capitani olandesi e in breve Nantucket divenne il primo porto baleniere d'America e la città una delle più ricche.
Proprio il controllo del commercio dei prodotti di balena fu uno dei motivi della guerra d'indipendenza delle colonie americane contro l'Inghilterra.
Nell'800 la flotta baleniera degli Stati Uniti divenne la più grande del mondo ed esplorò ogni isola del Pacifico, facendo scalo anche in Giappone, allora proibito agli occidentali. Intanto capitali e materie prime ricavati dalla caccia alimentavano lo sviluppo industriale americano e facevano espandere i porti sul Pacifico, come San Francisco.
Gli Usa persero il predominio della caccia solo nel '900, surclassati dalle moderne flotte di Norvegia e Giappone. - La dura vita del paniere
L'unica cosa certa per un giovane prima di imbarcarsi su una baleniera era che il viaggio sarebbe durato anni. Eppure firmavano in tanti: un po' per necessità, un po' per vedere il mondo.
La navigazione era scandita da ore frenetiche durante la caccia e periodi di attesa prima di avvistare la preda. Gli ufficiali alloggiavano in cabine, a volte con moglie e figli; la ciurma era ammassata in cuccette anguste: fino a 12 uomini in 16 m2.
Condizioni igieniche e dieta erano pessime, le epidemie decimavano gli equipaggi. La disciplina a bordo era ferrea, le punizioni corporali spietate.
Gli uomini si sfogavano all'arrivo nei porti stranieri in risse e bordelli. Alcuni si ammutinarono, rimanendo su un atollo con una moglie polinesiana; altresì toglievano la vita.
Per non pensare ci si manteneva occupati: si rileggevano (o ci si faceva leggere) libri, giornali e missive, si suonava, cantava e danzava, si giocava a dadi e si scolpivano denti di capodoglio, si ricamava e si lavorava a maglia.
Abbiamo anche notizie di cacce al tesoro fra tutto l'equipaggio, capitano compreso. Non mancavano gli animali: gatti e cani contro i topi, pappagalli e scimmie da compagnia e testuggini come riserve di carne.
4. Carne di balena: chi la mangia (e come la cucina) e come il petrolio salvò le balene dall'estinzione
- Carne di balena: chi la mangia (e come la cucina)
Nel Medioevo gli europei la chiamavano lardo di Quaresima e la mangiavano nei digiuni, perché secondo la Chiesa non stimolava la lussuria.
Oggi la amano inuit, siberiani, norvegesi, islandesi e giapponesi. La si prepara fritta e alla griglia, ma anche essiccata, sotto sale o cruda.
Gli inuit considerano una leccornia interiora e pinne pettorali. Il Paese che consuma più carne di balena è il Giappone, per ragioni storiche e geografiche: isolati su un arcipelago sovrappopolato, i nipponici hanno sempre tratto le proteine animali dal mare.
Nell'VIII secolo gli imperatori buddisti vietarono la carne, ma il divieto escludeva la balena, che nel XVI secolo era un piatto da signori.
Divenne un cibo popolare nel '900 e in particolare nel Dopoguerra, quando la penuria alimentare fu colmata da grandi quantità di carne di cetacei. Se ne facevano salsicce e fino agli Anni '60 fu l'unica carne servita alle mense scolastiche.
Ultimamente il consumo è in calo, ma è ricercata dagli appassionati di cucina tradizionale. La parte più apprezzata è il muscolo della coda, scottato alla fiamma. - Come il petrolio salvò le balene dall'estinzione
Che le balene stessero diminuendo se ne erano accorti già a metà '800. Lo stesso Melville si chiedeva se un giorno non sarebbero scomparse.
Ci furono appelli a ridurre la caccia, ma la prospettiva dei guadagni era più forte. Le spedizioni calarono solo quando scese il prezzo dell'olio di balena, perché si erano resi disponibili sostituti più convenienti.
Prima si era provato con l'olio di maiale e il camphene, distillato di acquaragia e alcol. Ma la svolta arrivò con gas e petrolio. Quando l'illuminazione pubblica passò dalle lampade ai lampioni a gas, il prezzo dell'olio di balena crollò.
Nel 1859 fu scavato il primo pozzo petrolifero negli Stati Uniti e nel giro di qualche decennio divenne più conveniente ricavare energia e sostanze di sintesi dalla raffinazione del greggio, che non sfidando i pericoli del mare.
Intanto l'illuminazione diventava elettrica, grazie a centrali a carbone, gas e gasolio. Le candele rimasero per le cene romantiche, ma fatte di stearina ricavata dall'olio di palma. La baleneria continuò cosi a declinare fino al bando totale del 1986, da cui è esclusa solo la balenottera minore, cacciata da Giappone, Islanda e Norvegia.
5. In cerca di libertà e all'inferno con Melville
- In cerca di libertà
Sarà stato perché, essendo quaccheri, erano sensibili alla discriminazione o forse perché in fondo più che alla razza erano interessati ai guadagni, ma i balenieri americani della East Coast erano piuttosto aperti in materia di questioni razziali.
I nativi furono accettati a bordo fin da subito, anche se era loro preclusa la carriera di ufficiali ed erano vittime delle malattie portate dall'Europa.
I neri invece raggiunsero una certa parità: condividendo fatica e pericoli con i compagni bianchi, potevano diventare ufficiali e qualcuno persino comandante e armatore.
Non a caso il Massachusetts fu tra i primi Stati ad abolire la schiavitù nel 1783, mentre gli Stati Uniti nel loro complesso ci arrivarono solo nel 1865. Proprio a un afroamericano, il fabbro Lewis Tempie, si deve un'invenzione decisiva per la baleneria: l'arpione con snodo a T (che, una volta piantato, apre le alette laterali).
In generale l'ambiente dei balenieri era piuttosto cosmopolita, soprattutto quello americano: sulle navi si imbarcavano marinai e ramponieri di ogni nazionalità e sulle banchine dei porti le signore eleganti incrociavano maori seminudi tatuati testa ai piedi. - All'inferno con Melville
Herman Melville (1819-1891), l'autore di Moby Dick, si imbarcò sulla baleniera Acushnet nel gennaio del 1841, dieci anni prima della pubblicazione del suo capolavoro.
Salpò dal Massachusetts e navigò nel Pacifico per 18 mesi. Arrivato alle Isole Marchesi, però, come capitava spesso ai balenieri, disertò con un compagno. È anche grazie a questa esperienza diretta dell'autore americano che Moby Dick è considerato più che un romanzo.
Nel libro, infatti, il protagonista Ismaele non narra solo la vicenda del capitano Achab, smanioso di vendicarsi della balena bianca che gli ha fatto perdere una gamba e che alla fine farà affondare la baleniera, uccidendo il capitano e tutto il suo equipaggio, tranne Ismaele.
Ci sono anche accurate descrizioni di cetacei e tecniche di caccia e lavorazione delle prede. Il libro è una sorta di trattato sulla baleneria.
Si scopre così che le baleniere non erano solo un luogo simbolo dello "spirito di frontiera" americano, ma anche un inferno di vapori, olezzi (i resti delle prede venivano legati alle murate delle navi, dove a volte marcivano) e sangue, in cui si era costretti a vivere per mesi o persino per anni.