In Italia milioni di appassionati di calcio, distribuiti su tutta la superficie della penisola, hanno contribuito nel tempo a rendere questo sport il più amato e seguito in assoluto, fino a renderlo il vero e proprio “sport nazionale”.
Si parla di calcio in televisione, alla radio, esistono diversi quotidiani sportivi a tiratura nazionale dedicati quasi esclusivamente ad esso.
È ormai ipotesi accertata quella secondo cui il calcio abbia origini antichissime.
Nel corso delle loro ricerche, storici ed archeologi si sono spesso imbattuti, talvolta casualmente, in testi e documenti nei quali venivano citati se non descritti con dovizia di particolari strani passatempi di gruppo nei quali era utilizzata una palla, o qualcosa di molto affine.
Addirittura alcuni erano praticati in epoche remotissime e, fatto ancora più degno di nota, attribuibili a civiltà totalmente separate tra loro per origine e collocazione geografica: tracce di giochi molto simili tra loro sono state rilevate in luoghi ed epoche diverse!
Lo sapevate che la data di nascita del calcio in Italia non è una, ma … due? E la questione, dal punto di vista temporale, non è irrilevante. La differenza non è di un giorno o di una settimana, bensì di un anno e mezzo.
Dunque, una è il 6 settembre 1896, l’altra il 15 marzo 1898: mancando documenti ufficiali relativi alla prima, per la nascita del movimento calcistico federale la scelta cadde sulla seconda.
Ma vediamo 5 cose molto interessanti sulle origini del calcio moderno, come ad esempio chi ha inventato il football, cos’era il Kemari e l’Episkyros, quando arriva in Italia e tanto altro ancora. Buona lettura.
1. Chi ha inventato il Football?
Nella sua storia millenaria, la Gran Bretagna ha avuto un ruolo talvolta influente, se non addirittura decisivo, nello sviluppo di gran parte del resto del mondo.
Le intuizioni delle fervide menti d’oltre Manica hanno spesso scandito i rintocchi delle grandi e piccole rivoluzioni, precorrendo i tempi in campo industriale, sociale, culturale ed economico.
Al tempo stesso però, i britannici in generale e gli inglesi in particolare rimangono fortemente ancorati alla più rigorosa tradizione, praticamente in tutti i campi (dalla refrattarietà al sistema metrico-decimale, alla guida a destra, tanto per citare esempi d’uso quotidiano).
Anzi, tale nostalgia potrebbe essere definita come uno dei caratteri tipici di quel popolo.
Il tutto continua ad avvenire, soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, nonostante gli urti fortissimi di un’Europa sempre più “invadente” e unita, almeno sulla carta.
Anche in quest’ambito la posizione assunta dai vari governi britannici ha un solo filo conduttore: mantenere quella sorta di “isolazionismo” dal resto del continente, insieme virtù e limite dei sudditi di Sua Maestà.
Nel grande e variegato mosaico della storia inglese si innesta (a partire dalla seconda metà del 1800) anche un’ulteriore piccola tessera - magari superflua per alcuni - i cui connotati, tuttavia ammalieranno in breve svariati milioni di persone in gran parte del globo.
Questo fantastico e geniale tassello è un gioco chiamato Foot-Ball.
2. Chi e quando si giocava a palla? Estremo Oriente
È ormai ipotesi accertata quella secondo cui il calcio abbia origini antichissime.
Nel corso delle loro ricerche, storici ed archeologi si sono spesso imbattuti, talvolta casualmente, in testi e documenti nei quali venivano citati se non descritti con dovizia di particolari strani passatempi di gruppo nei quali era utilizzata una palla, o qualcosa di molto affine.
Addirittura alcuni erano praticati in epoche remotissime e, fatto ancora più degno di nota, attribuibili a civiltà totalmente separate tra loro per origine e collocazione geografica: tracce di giochi molto simili tra loro sono state rilevate in luoghi ed epoche diverse!
Ciò non certifica con assoluta certezza scientifica l’esistenza di uno o più passatempi ludici totalmente assimilabili al calcio moderno.
Tuttavia conferma, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’innata e primordiale predisposizione della natura umana a cimentarsi in esercizi di abilità con oggetti di forma sferica, trattati in alternanza tanto con le mani quanto con i piedi.
Anche grazie ai reperti giunti fino ai nostri giorni (tra gli altri un manuale militare dell’epoca della dinastia Han e un manoscritto del 50 a.C.) si può invece affermare con sicurezza che già anticamente le popolazioni stanziali dell’estremo Oriente praticassero svariate discipline piuttosto similari all’odierno football.
In Cina ad esempio erano molto diffusi il Tsu-Chu e il Cuju-Thu (ovvero, “palla di cuoio sospinta dal piede”); il pallone, ripieno di piume e capelli, doveva essere calciato - ed ecco la caratteristica interessante, ovvero l’utilizzo esclusivo dei piedi - all’interno di un rudimentale anello, poggiato su due canne di bambù.
Sempre in estremo Oriente, ma in epoca successiva, andava in scena il Kemari (nella foto), che più di altri, presenta caratteristiche tali da catturare immediatamente la curiosità di coloro che intendano cimentarsi nel complicato studio della genealogia del football.
In esso, infatti si trovano abbinate alcune prerogative davvero strabilianti e peculiari, degne di approfondimento. Ad esempio, era praticato da due squadre ben distinte e addirittura preventivamente suddivise, ciascuna composta con molta probabilità da 8 giocatori.
Ecco il primo elemento distintivo che balza all’occhio: la filosofia d’approccio non si basava più su una partecipazione collettiva (e pressoché indistinta), né sulle evoluzioni di un singolo, come accadeva altrove per altre discipline.
Soprattutto, l’agone si svolgeva all’interno di un campo di gara predefinito, solitamente individuato in una spiazzo erboso compreso tra due filari di alberi.
Inoltre, il suo rudimentale regolamento prevedeva l’acquisizione di un (non meglio definito) punteggio, quando un giocatore riusciva ad infilare la palla, spingendola con i piedi, tra i due alberi scelti come area di meta.
Qualcosa insomma di veramente molto simile alle interminabili, accanite e divertentissime partite di pallone che ognuno di noi in gioventù avrà sicuramente giocato con i propri amici!
3. Chi e quando si giocava a palla? Grecia e Roma
Il Kemari, tuttavia non detiene l’esclusiva tra i progenitori del football.
Quasi in contemporanea, infatti, anche nella zona del Mediterraneo - quindi all’altro capo del mondo, ed è improbabile immaginare per l’epoca spostamenti di tale portata o “contaminazioni” culturali - Greci e Romani e forse ancor prima gli Egiziani avevano codificato competizioni sportive che prevedevano l’utilizzo di una palla.
Nell’Atene del IV secolo a.C. si praticavano soprattutto l’Episkyros (che ebbe il curioso destino di non essere mai stato inserito tra le discipline olimpiche del tempo), in cui si utilizzava una vescica imbottita, ma anche l’Urania, la Feninda e l’Aporraxis.
Sempre dall’Ellade arriva la prima cronaca di una partita disputata in un paese Mediterraneo, ed è addirittura Omero a tramandarcela.
La versione dell’antica Roma fu invece l’harpastum (dal greco arpazo, “strappare con forza, afferrare”), particolarmente violento e praticato dai legionari durante i momenti di pausa e di svago, nelle campagne intorno agli accampamenti o alle caserme militari.
Era una sorta di arcaico “calcio-rugby” in cui l’estrema fisicità dell’azione quasi sempre soverchiava le rudimentali e labili regole di volta in volta adottate. Si utilizzava una piccola palla e due squadre si affrontavano in un campo rettangolare, delimitato da linee di contorno e da una centrale.
Lo scopo era appoggiare la palla sulla linea di fondo nel campo avversario. Erano consentiti i passaggi sia con le mani sia con i piedi, e ogni giocatore, per quel che ne sappiamo, ricopriva un ruolo preciso.
Inizialmente, l’oggetto del contendere veniva realizzato sagomando strofinacci e cenci di stoffa con l’ausilio di resina naturale, ma con l’affermarsi del gioco anche la manifattura della palla progredì rapidamente.
In questo caso è il poeta Marco Valerio Marziale a descrivere le diverse tipologie di “palloni” in uso: la pila, la paganica (più leggere) e la follis. Se l’harpastum continuò a diffondersi per circa otto secoli, il merito fu senz’altro di quei legionari che, come detto, lo esportarono in tutta Europa.
Il gioco ci viene descritto da Antifane, un poeta della commedia di mezzo le cui opere sono databili dopo l'anno 388 d.C., il quale dopo aver gridato:
“Accidenti al demonio! che tremendo torcicollo mi sono buscato!" descrive vivacemente la cronaca di una partita... Prese la palla ridendo e la scagliò ad uno dei suoi compagni. Riuscì ad evitare uno dei suoi avversari e ne mandò a gambe all'aria un altro. Rialzò in piedi uno dei suoi amici, mentre da tutte le parti echeggiavano altissime grida “è fuori gioco!”, “è troppo lunga!”, “è troppo bassa!”, “è troppo alta!”, “è troppo corta!” “Passala indietro nella mischia!”.
A Roma il gioco attecchì trionfalmente ed ebbe i suoi appassionati ed i suoi tifosi. Cambiò soltanto il nome.
I concorrenti erano numerosi e la mischia feroce, il campo era un campo qualsiasi di terra semplice e non di terra battuta, per cui si combatteva in una nuvola di polvere, così che i Romani, invece di continuare ad usare il nome greco di harpastum, preferirono chiamarlo in latino pulverulentus, un nome più pittoresco e che meglio rendeva l’idea dello svolgimento dell’accanita competizione: la "polverosa" o meglio il "polverone".
4. L'incontro fatale e la prima partita "ufficiale" di foot-ball (o quasi)
La lista degli aspiranti progenitori dello sport attualmente più amato, seguito e praticato al mondo è dunque lunga, variegata e, forse, finanche fantasiosa.
Tuttavia, nessuna di queste suggestive ipotesi legate ad antiche civiltà o a primitivi passatempi, per quanto intriganti, ha mai fornito elementi tali e incontrovertibili che ne sancissero la supremazia.
In terra celtica è ormai certo, invece, che si praticasse da tempo immemore l’hurling o hurling over country, censito a posteriori anche come remota trasposizione ludica delle battaglie medievali.
Nelle sfide riconducibili a questo gioco, il cui nome poteva variare da luogo a luogo, si cimentavano anche centinaia di persone contemporaneamente, con il solo scopo di suonarle agli avversari e quindi di depositare nell’altrui territorio l’oggetto del contendere (che poteva anche essere una palla).
L’ipotesi più accreditata è che l’hurling britannico praticato dalle popolazioni celtiche nel quattordicesimo secolo con varianti regolamentari locali in Inghilterra, Scozia, Irlanda, Galles, Cornovaglia e Bretagna sia probabilmente l’unico capostipite del football moderno.
In realtà, l’accettazione di questa condivisibile teoria, non esclude, però, un collegamento diretto con il resto della storia.
Non a caso, giochi assai simili all’hurling furono praticati per migliaia di anni in quelle zone di territorio europeo in cui i Romani mantennero più a lungo le roccaforti politiche e militari di frontiera del proprio Impero: Francia, Germania ed Europa danubiana.
Kemari, episkiros, harpastum, hurling...: tutto molto affascinante, pittoresco, storicamente rilevante, ma il football dov’è?
Ricostruendo faticosamente l’ingarbugliatissima matassa dei giochi medievali ecco spuntare una data fatidica: il 1681. In quell’anno in Inghilterra - è ormai quasi accertato - si disputò una partita di calcio molto particolare, nella quale la maestranza del duca di Albemarle affrontò quella del re Carlo II (nella foto).
Fin qui niente di nuovo. Ma il fatto rilevante è questo: si giocò solo dopo un accordo sulle regole da seguire. Tale patto era solo verbale, ma ben preciso.
Le due squadre vestivano i colori delle rispettive livree, quasi dei colori sociali ante-litteram. Vinse la compagine dell’Albemarle, cui il re fece pervenire quello che probabilmente fu il primo premio-partita nella storia del calcio. Solo coincidenze? Anche se così fosse, sono molte e troppo interessanti per essere sottaciute.
Si giocò - dunque - non solo una partita qualunque ma vennero poste, forse inconsapevolmente, da parte degli autori e dei promotori di quell’incontro alcune pietre miliari, quanto meno per l’aspetto formale e regolamentare del gioco. Era, questo, un segno di ingentilimento dei costumi che, di lì a poco, avrebbe dato buoni frutti.
5. Il calcio arriva finalmente in Italia
Curiosamente, la data di nascita del calcio in Italia non è una, ma sono... due! E la questione, dal punto di vista temporale, non è irrilevante.
La differenza non è di un giorno o di una settimana, bensì di un anno e mezzo.
Dunque, una è il 6 settembre 1896, l’altra il 15 marzo 1898: mancando documenti ufficiali relativi alla prima, per la nascita del movimento calcistico federale la scelta cadde sulla seconda.
A Torino, sotto la presidenza del conte professor Enrico D’Ovidio (segretario il signor Jordan), venne fondata la Federazione Italiana del Football (F.I.F.) alla quale aderirono il Genoa CFC, il Football Club Torino, l’Internazionale, la Società Ginnastica di Torino e l’Unione Pro Sport Alessandria.
Si giunse così al fatidico 8 maggio 1898, giorno in cui, tra la mattina e il pomeriggio, si consumò - sempre nel capoluogo piemontese - il primo campionato ufficiale, organizzato cioè dalla Federazione. Lo vinse il Genoa, non a caso la sola squadra che avesse già raggiunto un efficace livello tecnico e organizzativo.
È doveroso fare un piccolo passo indietro. Già tra il 6 e l’8 settembre 1896, la Federazione Ginnastica d’Italia, attiva dal 1869, aveva organizzato a Treviso un concorso ginnico, nel quale era stato messo in palio anche un titolo nazionale di football, anche se in forma semiufficiale, se non ufficiosa, visto che la Federcalcio non era ancora nata.
Le competizioni erano essenzialmente ginniche e la manifestazione trevigiana non richiamò certo squadre da tutta Italia, tuttavia alla fine venne assegnato il primo titolo calcistico italiano.
In finale si affrontarono la Società Ginnastica Treviso e la Società Udinese Scherma e Ginnastica (già vittoriosa sugli emiliani della Società Ginnastica di Ferrara), nelle cui fila ricordiamo il nome del centravanti e capitano, Antonio Dal Dan.
Non si conosce il punteggio esatto della finale, ma vinsero i friulani, che ebbero in premio una corona di quercia e un vessillo: gli eredi di quegli atleti con i baffi “a manubrio” meriterebbero un tardivo riconoscimento ufficiale di quel titolo, che nessuno volle mai considerare legittimo.
Fino al 1907, la Federazione Ginnastica continuò a organizzare il proprio torneo calcistico nazionale, che non riuscì più a farsi strada nella storia, dal momento che, su iniziativa della Federazione, aveva visto la luce il vero campionato italiano di calcio.