L’invecchiamento è un processo naturale che interessa tutti gli esseri viventi, inclusi i nostri amati animali domestici.
Con il passare degli anni, cani e gatti subiscono cambiamenti non solo fisici, ma anche cerebrali, che possono influire sul loro comportamento, sulla memoria e sulle capacità cognitive.
Comprendere questi cambiamenti può aiutarci a migliorare la qualità della loro vita e a fornire il supporto necessario durante la loro vecchiaia.
Ecco, qui di seguito, curiosità e consigli utili per riconoscere e gestire la degenerazione cognitiva di Fido e Micio.
I SINTOMI
• Disorientamento
• Perdita di interesse nel contatto fisico
• Tendenza all’isolamento e all’aggressività
• Alterazioni del ciclo sonno-veglia
• Alterati livelli di attività (iperattività o letargia)
• Ansia
• Apatia
1. DEGENERAZIONE COGNITIVA E MORBO DI ALZHEIMER
La degenerazione cognitiva (nota anche come Cds) nei cani e nei gatti mostra analogie significative con l'Alzheimer umano, inclusa la presenza di placche di beta amiloide e altri cambiamenti strutturali nel cervello come l'atrofia cerebrale e l'allargamento dei ventricoli.
Nei cani sono state osservate perdite neuronali e atrofia corticale in regioni come la corteccia e l'ippocampo, simili alle alterazioni osservate nei pazienti umani affetti da Alzheimer.
Per questi motivi, la Cds nei cani è utilizzata anche come modello per studiare l'Alzheimer umano, grazie alle somiglianze neuropatologiche e ai sintomi comportamentali condivisi tra le due condizioni.
Questo rende i cani un soggetto di studio importante per lo sviluppo di nuove procedure diagnostiche e trattamenti sia per la medicina veterinaria che per quella umana.
Tuttavia, la malattia negli animali è sottostimata, poiché da una parte i proprietari ritengono normale e accettabile la comparsa di anomalie comportamentali in pet anziani, dall’altra i veterinari riscontrano non poche difficoltà nella diagnosi, a causa dell’assenza di chiare linee guida.
In generale, si suggerisce ai proprietari di sottoporre Fido e Micio a controlli in caso di comparsa di comportamenti anomali, così da riuscire a intervenire con un trattamento il prima possibile.
2. COME SI SVOLGE UNA VISITA NEUROLOGICA?
La domanda che molti proprietari si pongono è senz’altro come si svolge una visita neurologica, la quale racchiude una serie di osservazioni e manualità finalizzate a verificare l’effettiva presenza di un problema neurologico e a localizzarlo.
Il primo passo è valutare lo stato mentale del paziente, comprendere se riesce a relazionarsi con l’ambiente circostante, a cogliere gli stimoli esterni e a rispondere in maniera adeguata.
Per esempio, si cerca di capire se il soggetto reagisce quando viene chiamato, se vede eventuali ostacoli nella stanza e riesce a evitarli, se è incuriosito dall’ambulatorio e tenta di annusare gli oggetti che lo circondano.
Fatto ciò, occorre verificare la funzionalità motoria, attraverso la valutazione della postura, dell’andatura e delle reazioni posturali; infatti, spesso soggetti che si recano in visita per problemi apparentemente ortopedici, come delle zoppie, in realtà soffrono di disturbi neurologici.
Si procede con l’esame dei riflessi spinali e dei nervi cranici, per poi passare alla valutazione del trofismo muscolare e della sensibilità. Talvolta la visita clinica non è sufficiente per la formulazione della diagnosi e potrebbero essere richiesti ulteriori esami di approfondimento, come l’analisi del liquido cefalorachidiano, la tomografia assiale, la risonanza magnetica e l’elettromiografia.
I sintomi associati a problemi neurologici sono molto diversi tra loro e spesso non è semplice ricondurli al sistema nervoso.
Data la variabilità dei sintomi e la molteplicità di sistemi e apparati coinvolti, il suggerimento è di tenere monitorato il proprio pet e, qualora si noti qualcosa di strano, di rivolgersi al proprio veterinario di fiducia; questi, grazie al vostro resoconto e alle informazioni aggiuntive che gli fornirete (tutti dati che confluiscono nell’anamnesi), condurrà una visita clinica approfondita e cercherà di risalire all’origine del problema o, almeno, a individuare l’organo o l’apparato che ne è responsabile.
Sarà il vostro veterinario a suggerirvi di proseguire l’iter diagnostico, se necessario, con una visita neurologica approfondita, che deve essere svolta da un medico specializzato in neurologia.
È possibile che le prestazioni specialistiche abbiano un costo non indifferente, ma è bene ricordare che la senilità è una fase in cui compaiono nuove necessità e problematiche ed è bene conoscerle per affrontarle nel modo migliore e garantire a Fido e Micio il benessere psicofisico.
3. LE PRINCIPALI PATOLOGIE NEUROLOGICHE DEL CANE ANZIANO
Una delle patologie più conosciute è l'encefalite del cane anziano (Ode), un'infiammazione del cervello che colpisce prevalentemente i cani più vecchi, sebbene possa manifestarsi anche in soggetti di età inferiore ai sette anni.
La storia di questa malattia è complessa e affascinante: inizialmente si pensava fosse causata dal virus del cimurro a causa delle somiglianze nelle lesioni osservate, ma numerosi test hanno confutato questa ipotesi.
Clinicamente, l’Ode si presenta con sintomi di demenza a decorso cronico e progressivo, con una panencefalite caratterizzata da lesioni demielinizzanti nella materia bianca e altre alterazioni microbiologiche.
Un’altra malattia tipica dei cani anziani è la mielopatia degenerativa, una condizione neurodegenerativa che inizia colpendo gli arti posteriori, causando paralisi, e che poi può estendersi a tutti gli arti.
Questa patologia mostra una predisposizione di razza, colpendo soprattutto i Pastori Tedeschi. Di solito si manifesta intorno ai nove anni di età, con sintomi iniziali di scarsa coordinazione e debolezza degli arti posteriori; spesso i proprietari notano che il cane trascina le unghie o le dita dei piedi durante la camminata.
La progressione della malattia è rapida, portando i cani a perdere la capacità di camminare autonomamente entro circa 11 mesi dall’insorgenza dei primi sintomi.
4. I PRINCIPALI CAMBIAMENTI CHE MANIFESTA IL GATTO ANZIANO
Anche i gatti, durante il processo di invecchiamento, possono sviluppare diverse patologie neurologiche. Tra queste ho selezionato la spondilosi deformante.
Tale condizione, osservabile anche nei cani, è caratterizzata dalla formazione di osteofiti, proliferazioni ossee che si sviluppano sulle vertebre e possono coinvolgere diverse parti della colonna vertebrale.
Nei gatti, gli osteofiti si trovano più frequentemente nella regione toracica della colonna vertebrale, ma possono anche essere presenti nelle zone lombare e sacrale.
In alcuni casi queste proliferazioni ossee possono formare veri e propri "ponti" tra vertebre adiacenti. La spondilosi deformante è spesso associata all’invecchiamento e può essere un disturbo secondario a malattie degenerative dei dischi intervertebrali.
Fortunatamente, molti gatti affetti da questa condizione sono asintomatici, sebbene alcuni possano mostrare una ridotta flessibilità o rigidità della colonna vertebrale.
In situazioni più gravi gli osteofiti possono comprimere le radici nervose, causando dolore intenso. Altri problemi correlati all’invecchiamento e alla degenerazione cognitiva nei gatti includono disturbi comportamentali.
Alcuni mici anziani potrebbero iniziare a sporcare la casa e a non utilizzare la lettiera, un problema che potrebbe essere causato dal declino cognitivo, ma anche da patologie renali, ipertiroidismo, osteoartrite o insicurezza.
In questi casi si consiglia ai proprietari di posizionare la lettiera di modo che sia facilmente accessibile, possibilmente optando per una cassetta bassa.
È anche utile collocare lettiera, acqua, cibo e cuccia nella stessa stanza per facilitare l’orientamento del gatto anziano.
Un altro problema comune nei gatti anziani è l’aumento dei vocalizzi notturni, che può essere attribuito a cause simili come ipertiroidismo, disfunzione cognitiva, ipertensione e insicurezza.
5. INVECCHIAMENTO CEREBRALE UMANO: RALLENTA GRAZIE A FIDO E MICIO
La relazione tra uomo e animali domestici è artefice di innumerevoli effetti benefici sulla salute: i nostri amici a quattro zampe ci aiutano a contrastare ansia e depressione e ci spingono a muoverci di più.
Ciò che fino a poco tempo fa era ignorato è che anche l’attività cognitiva trae giovamento dalla vicinanza con i pet: in particolare, gli anziani sono stimolati sia per quanto riguarda la reattività mentale sia per la memoria.
Un’indagine condotta dall’Università del Michigan ha dimostrato che vivere con un animale domestico potrebbe proteggere le persone in età senile dal naturale declino delle abilità cognitive, con effetti decisamente più evidenti se la relazione con il proprio pet dura da almeno cinque anni.
Lo studio è stato condotto su un campione di 1369 anziani, i quali sono stati sottoposti a una valutazione delle capacità cognitive; a distanza di sei anni i soggetti che convivevano con un cane o un gatto hanno mostrato un ritmo di peggioramento significativamente più lento degli altri.
La spiegazione, secondo gli autori dello studio, sarebbe la riduzione dello stress, il quale può influenzare negativamente non solo le condizioni di salute generali, ma anche le abilità cognitive.
Vi è poi un altro importante dettaglio da non sottovalutare: in media, chi possiede animali domestici svolge una maggiore attività fisica che, oltre a migliorare la salute del corpo, ha un effetto molto positivo sulla salute cognitiva.
L’importanza di questa scoperta avrebbe anche una valenza economica: secondo il Servizio sanitario nazionale i benefici apportati da Fido e Micio farebbero risparmiare circa 2,7 miliardi di euro all’anno grazie a una riduzione delle complicanze del diabete, dell’incidenza di patologie cardiovascolari e di depressione.
Note
Degenerazione cognitiva DI FIDO E MICIO. Ecco di cosa si tratta, come riconoscerla e gestirla.
Anche cane e gatto invecchiano e, talvolta, manifestano sintomi bizzarri, comportamenti insoliti; alla base di questi cambiamenti potrebbe esserci una degenerazione cognitiva, nota come sindrome da disfunzione cognitiva (Cds).
È una condizione neurodegenerativa legata all'età che presenta molte somiglianze con la malattia di Alzheimer negli esseri umani.
Tale sindrome è caratterizzata da cambiamenti comportamentali, perdita di memoria e disorientamento, e può incidere notevolmente sulla qualità della vita di Fido e Micio e sulla loro relazione con i proprietari.
Non è una condizione semplice da individuare e trattare: spesso l’iter diagnostico è molto lungo e si procede per esclusione. Il proprietario riveste un ruolo determinante: non solo è l’unico a poter individuare cambiamenti comportamentali o anomali, ma il più delle volte prende parte attiva nell’iter clinico, compilando questionari (come raccomandato dalle linee guida Aaha) e confrontandosi con diversi specialisti.
Come riconoscere la Cds? I segni clinici variano molto da una specie all’altra; in generale, la degenerazione cognitiva è associata ad aumento dell’ansia, difficoltà a relazionarsi in ambienti familiari, alterazioni del ciclo sonno-veglia e anche disturbi legati a minzione e defecazione (perdita dell’abitudine a utilizzare la lettiera, incapacità di trattenere la pipì).
Nei cani sono comuni il sonno diurno e l'insonnia notturna, la diminuzione dell'interazione sociale, il disorientamento nell'ambiente domestico e l'aumento dell'ansia. Nei gatti i segni includono soprattutto aumento delle vocalizzazioni, oltre a disorientamento e cambiamenti nelle abitudini di minzione e defecazione.
Ribadiamo, la diagnosi di Cds è spesso per esclusione: richiede una valutazione approfondita che escluda altre malattie sistemiche o neurologiche. Può accadere di interpretare erroneamente un sintomo, come l’alterazione della postura o della deambulazione, e di ricercare un problema di natura osteoarticolare, quando in realtà si tratta di un disturbo neurologico.
Lo stesso può accadere in presenza di minzione inappropriata che può anche essere sintomo di una patologia metabolica. Le valutazioni diagnostiche necessarie, quindi, sono molteplici e includono esami fisici e neurologici completi, test biochimici, analisi delle urine e risonanza magnetica.
Una volta individuato il problema si può intervenire, ma ogni paziente è un universo a sé e spesso in casi complessi bisogna coinvolgere diversi specialisti prima di trovare l’approccio migliore. Le opzioni di trattamento, infatti, comprendono terapie comportamentali, farmacologiche ma anche nutrizionali.
Secondo un recente lavoro pubblicato su Today’s Veterinary Practice alcuni farmaci, come la selegilina, si possono utilizzare per aumentare le concentrazioni di dopamina nel cervello e ridurre lo stress ossidativo: questo tipo di approccio è efficace nel rallentare la progressione della Cds.
Inoltre, va modificata la dieta che deve essere arricchita con nutrienti antiossidanti per migliorare la funzione mitocondriale e ridurre la produzione di radicali liberi.
Gli esperti consigliano di modificare l’ambiente domestico a misura di pet anziano, per esempio, posizionando più lettiere in casa, portando più spesso a spasso i cani anziani o magari fornendo loro un’area dedicata a casa per espletare i bisogni tra un giro e l’altro. Il trattamento della disfunzione cognitiva è più efficace se iniziato precocemente: ecco perché i proprietari sono essenziali nell’iter clinico ed è fondamentale che lavorino insieme al veterinario per offrire le cure migliori.