I comportamenti aggressivi dei cani verso gli esseri umani sono divenuti, sorprendentemente per alcuni versi, uno degli argomenti più dibattuti della nostra epoca, tanto in termini scientifici che mediatici.
Come se ci fossimo accorti, tutto a un tratto, che l’amico a quattro zampe annovera nel suo repertorio anche l’azione aggressiva, svegliandoci così da un “sogno” ove una specie tanto domestica non avrebbe in alcun modo potuto esprimere una tale risposta comportamentale.
Il che, pensando alle capacità aggressive della nostra di specie, fa un po’ sorridere… amaramente.
Gli episodi di minaccia e attacco nei nostri confronti si sono all’improvviso moltiplicati, complici i mass media e la Rete, che riportano eventi cruenti spesso enfatizzandoli ma astenendosi quasi sempre dall’indagare sulle plausibili cause.
Da questa terrificante “novità” sono emersi dibattiti, proposte e persino disposizioni legislative con l’obiettivo di arginare un fenomeno spesso giudicato “di estrema pericolosità”.
Si è persino cercato di classificare le razze maggiormente predisposte a nuocere all’essere umano, proponendone l’estinzione o, alla meno peggio, la ghettizzazione mediante l’ausilio di sistemi e tecniche di controllo assai discutibili.
Forse, giunti a questo punto, un po’ di chiarezza servirà a evitare pericolosi malintesi: capire di cosa si tratta è molto importante….
1. È un comportamento... Non è anomalo e ha uno scopo. Ha aspetti volontari e involontari
Il termine “comportamento” indica qualsiasi azione, involontaria o volontaria, innata o appresa; in aggiunta, ciascuna risposta comportamentale è sempre la conseguenza degli elementi presenti nell’ambiente che l’avranno attivata.
Non vi potrà, quindi, essere comportamento senza "stimoli" idonei a far emergere una determinata reazione, e tali stimoli potranno trovarsi dentro di noi oppure nei contesti in cui ci verremo a trovare.
Pur avendo carattere innato, l’aggressività è quindi sottoposta, come ogni altro comportamento, alle leggi dell’apprendimento, aumentando le probabilità di una sua riproposizione in tutti i casi in cui il suo essersi manifestata abbia condotto a risultati positivi.
Inoltre, pur trattandosi di un’azione volontaria, ossia derivante dalla consapevolezza di chi la compie, l’aggressività porta in sé una parte di involontarietà, riscontrabile nelle emozioni che vi si troveranno alla base.
In particolare, dinanzi a uno stato emotivo di collera, la risposta potrà essere di tipo aggressivo, quasi si trattasse di una logica conseguenza di ciò che, senza volerlo, si sarà provato internamente.
Prima di tutto, diciamo che l’aggressività è annoverabile tra i comportamenti volontari e innati, presenti in qualsiasi specie vivente.
Non soltanto non vi è essere vivente al mondo privo della predisposizione aggressiva, ma la stessa aggressività non può essere identificata come una particolare patologia.
L’aggressività è quell’azione agonistica volta ad eliminare ogni possibile individuo, appartenente alla propria o ad altra specie, identificato come potenziale o effettiva minaccia.
Addirittura, in riferimento alla personalità, l’aggressività diviene “dote caratteriale”, alla stessa stregua della docilità, della socialità, del temperamento e della tempra. Gli studi sul mondo animale hanno confermato questi principi generali, dedicando ampi capitoli alle manifestazioni aggressive.
Allo stesso modo, le specie domestiche come il cane hanno al proprio interno il “drive”, la pulsione dell’aggressività, una carta da giocare nelle situazioni in cui l’individuo riterrà necessario farvi ricorso, a suo insindacabile giudizio, tra l’altro.
2. Cacciare non c’entra... Però l’azione è simile
Il comportamento aggressivo viene suddiviso in due distinte tipologie, perché può essere rivolto a soggetti della medesima specie oppure di una specie diversa.
Nel primo caso, parleremo di aggressività “intraspecifica” mentre nella seconda ipotesi è “interspecifica”.
Quest’ultima, ovviamente, può avere per bersaglio anche l'essere umano.
Molto importante però capire che un comportamento aggressivo verso specie diverse non deve essere confuso con un comportamento solo in apparenza analogo, come quello di predazione.
Nella caccia, infatti, l’obiettivo è l’uccisione del bersaglio allo scopo di acquisire energia per la sopravvivenza, quindi l’azione predatoria non è portatrice dell’elemento aggressivo, anche se le “armi” utilizzate sono le stesse.
Nell’aggressività nei confronti dell’uomo, si deve porre una distinzione tra un tale comportamento esibito all’interno del “gruppo sociale” e una stessa risposta rivolta a soggetti esterni.
Per “gruppo sociale” si intendono i componenti della famiglia di adozione, ossia gli elementi del “branco” che vanno a comporre l’intero nucleo famigliare.
Nell’ipotesi esterna, invece, il comportamento aggressivo è indirizzato a persone non considerate dal nostro amico come “compagni di vita”, si tratti di individui conosciuti o estranei.
I soggetti conosciuti potranno variare dagli abituali frequentatori del nucleo famigliare a coloro che, per le diverse ragioni, vengono incontrati nel corso della quotidianità.
Al contrario, per estranei intendiamo quelle persone che il nostro cane non ha mai incontrato sino al momento fatidico e ritenute quindi, a seconda delle circostanze, “stimoli” portatori di potenziali problemi.
3. Le diverse fasi. Minaccia,attacco,interruzione e...
Come tutti i moduli comportamentali, anche l’aggressività “ interspecifica” è composta dalle tipiche fasi consistenti nella parte preparatoria, in quella esecutiva, in quella di interruzione e nella espressione finale di refrattarietà.
- La fase preparatoria, detta anche “appetitiva” comprende l'insieme di azioni, posturali e vocali, caratterizzanti la “minaccia”. Questa fase serve al cane per comunicare all’avversario la sua volontà di agire con il morso e, a seconda delle
circostanze, potrà farlo in modo evidente, parziale... o non comunicarlo affatto, il che è ovviamente la situazione peggiore, per il bersaglio.
- La fase esecutiva, invece, contempla tanto l’attacco quanto il morso stesso, ed è conseguenza della preparazione precedente; ma in alcuni casi questa fase non si verifica perché quella precedente, la minaccia, se presente, può aver già ottenuto lo scopo, cioè che lo stimolo-bersaglio se ne vada.
- Chiude il tutto l’interruzione del comportamento eseguito e la sua non riproposizione (fase refrattaria), se ha avuto efficacia.
Agire attraverso il comportamento aggressivo rientra tra le possibili strategie che il nostro amico può decidere di adottare a seconda delle circostanze.
La scelta dipende da diversi fattori. In primo luogo, la predisposizione “ filogenetica” del singolo soggetto, quella che deriva dalla selezione di razza, lo potrà rendere più incline alla lotta che alla fuga, oppure allo stare in tensione o, ancora, al voler mediare.
Accanto all’indole di “razza” vi e l’aspetto esperienziale, poiché ogni cane può aver valutato in precedenza che quella specifica modalità di espressione sia più efficace rispetto a un’altra in circostanze analoghe.
Così, se la volontà di fuggire dinanzi a una minaccia è stata impedita, potrà essere logica conseguenza decidere di attaccare, scoprendo magari che funziona: normalmente, infatti, l’esibizione di azioni di minaccia porta la controparte a fermarsi o, alla meglio, a volgere altrove.
Un altro elemento da considerare è riferito allo specifico periodo di sviluppo del cane. In particolare, il periodo coincidente con l’avvento della maturità sessuale, aumenta le probabilità di una manifestazione “agonistica”, complici gli interventi ormonali e le diverse percentuali di neurotrasmettitori coinvolti.
Sempre in tale stadio, emergeranno la consapevolezza dello spazio territoriale, la volontà di collocarsi al vertice della “gerarchia” famigliare e l’intenzione di staccarsi progressivamente dallo stesso “ branco” umano.
Giunti alla maturità sociale, tra i due-tre anni di vita, il nostro amico avrà ottenuto la definitiva stabilizzazione psicofisica, consolidando le strategie comunicative adottate nei periodi precedenti.
Difficilmente, a questo punto, la scelta del suo modo di agire potrà essere variata, se non mediante interventi volti a modificare le reazioni in modo progressivo e graduale.
4. "Buono, cattivo” e una formula della pericolosità
Per forma mentis noi umani tendiamo ad attribuire anche un valore morale alle azioni degli animali, cani in primo luogo.
Il che è sostanzialmente sbagliato per due ragioni principali: i valori morali, o etici che dir si voglia, degli animai non umani sono spesso diversi dai nostri.
Il nostro punto di vista sull'etica altrui é influenzato da ciò che reputiamo 'giusto' o 'sbagliato', 'buono o cattivo", come se fossimo noi i depositari dei valori di riferimento universali, e ovviamente non lo siamo.
Quindi, valutare il comportamento di un cane in termini morali umani ha veramente poco senso; semmai, sforziamoci di capire quali siano i valori morali canini, se siamo in grado di farlo...
La crescente preoccupazione circa l’agire aggressivo del cane sviluppatasi negli ultimi anni ha condotto allo sviluppo di test e verifiche aventi lo scopo di valutare il tasso di aggressività di ogni singolo soggetto.
Per quanto affascinante possa essere questa ipotesi, è bene precisare che, ad oggi, non esistono valutazioni scientifiche di tipo predittivo. In altre parole, non vi sono modalità certe idonee a ritenere che quello specifico soggetto potrà esibire comportamenti aggressivi nel corso dell'intera vita.
Tuttavia, possono essere applicate particolari “formule” con l'obiettivo di stabilire la pericolosità del nostro amico, se ha già attivato comportamenti di tipo aggressivo. Una di esse, chiamata “formula della pericolosità”, ha lo scopo di valutare una serie di parametri ai quali va assegnato un punteggio.
In base alla crescita di quest'ultimo, il livello di pericolosità del soggetto esaminato passa dalla quasi assenza di rischio sino alla elevata possibilità di riproposizione. In questo modo, a seconda del risultato, potranno essere suggerite misure idonee a prevenire l’insorgenza di altri episodi di pari o maggiore gravità.
5. I fattori della formula. Taglia, bersaglio,tipo di danni...
Gli elementi principali esaminati dalla “formula della pericolosità” si riferiscono al peso del cane rispetto a quello del “bersaglio”, alle tipologie di soggetti destinatari dell’azione aggressiva, al grado di morso esibito, alla presenza o assenza di minaccia, alla caratteristica reattiva o proattiva, al tipo di attacco in termini di numero e categorie di morsi inferti.
Particolare attenzione viene rivolta alle caratteristiche dei destinatari, con sensibile riguardo ai bambini, agli anziani e ai portatori di handicap. Inoltre, uno specifico punteggio viene destinato all’intensità del morso valutata in base alle conseguenze: dal semplice ematoma fino alla lacerazione dei tessuti.
Anche l’assenza di minaccia preventiva viene calcolata come fattore negativo, perché impedisce di agire nella fase preparatoria per impedire l’aggressione da parte del cane.
In relazione alla possibilità di reiterazione del comportamento aggressivo, altri studi hanno dimostrato come le aggressioni reattive abbiano una maggiore probabilità di riproposizione rispetto a quelle proattive.
Tali studi hanno rilevato che un attacco derivante dalla violazione della distanza si riproporrà nuovamente, entro il termine massimo di un anno, in assenza di interventi di modifica del comportamento che, è importante saperlo, devono essere condotti solo sotto il controllo di un esperto molto preparato, perché la questione è ovviamente delicata, soprattutto se il livello di pericolosità del soggetto è stato classificato elevato.