Cani e la natura dell’amore: perché li troviamo irresistibili?

D’accordo: la bellezza, l’intelligenza e la simpatia, e ancora la fedeltà proverbiale, il coraggio, l’insostituibilità in mille compiti, ma basta tutto questo a spiegare il legame così forte e unico che si crea tra noi e i cani? No, c’è altro…

Alla maggioranza degli esseri umani i cani piacciono. E non da oggi, da migliaia e migliaia di anni.

Testi­monianze del nostro affetto, o meglio, amore vero e proprio, verso di loro sono emerse in molti luoghi: tombe accura­tamente scavate per accogliere questi nostri amici nel loro ultimo viaggio, per esempio, sono state scoperte in Sibe­ria e risalgono alla Preistoria.

Al loro interno, oggetti decorativi e rituali che celebrano il cane defunto esattamen­te nello stesso modo in cui venivano celebrati i membri più illustri di quel­le antiche tribù di cacciatori.

Oppure gli epitaffi che tanti proprietari hanno fatto incidere sulle lapidi dei loro cani in epoca romana, parole d’amore e di rimpianto per la scomparsa di qualcuno che faceva parte a pieno titolo della vita di queste persone.

Oggi ci sono persino libri e percorsi psicologici per aiutarci a elaborare il lutto per la morte del nostro cane, perché la sofferenza è davvero profonda e lacerante, proprio come quando perdiamo una persona amata. Questo dolore è la prova dell’entità del sentimento che proviamo.

Ma perché li amiamo così tanto? Ecco alcune rispo­ste che la scienza ha trovato per noi.

 

1. Il dovere della cura. Sollecitano il nostro istinto genitoriale

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Per molli detrattori del rapporto tra noi e i cani, una delle armi migliori, in sede di discussione, è la seguente:
“Tratta il cane come un bambi­no, ma è un cane, mica un bimbo!"...

Per quanto possa essere spiacevole ammetterlo per alcuni di noi, l'affermazione contiene un fondo di veri­tà.

Spesso ci comportiamo con il nostro cane in un modo simile a quello che adottiamo verso i nostri figli quando sono piccoli.

Pensiamo per un momento al tono di voce che molti di noi utilizza­no per rivolgersi al cane: non é forse molto simile a quello che usiamo per parlare con un bimbo di pochi anni di età?

La nostra voce, compresa quella di omaccioni dal tono baritonale, improvvisamen­te si fa acuta, le parole assumono un suono dolce, a volte decisamente melenso, e non di rado anche le nostre espressioni facciali mutano, virando ver­so il clownesco. Perché mai? Cosa innesca questo cambiamento?

Semplice, è l'istinto genitorialc che emerge con forza anche, appunto, in quegli esseri umani che in altre circostanze sembrano rappresentare la quintessenza della severità più stereotipata. La stessa cosa avviene in molti di noi quando ci troviamo a interagire con i piccoli bipe­di, nostri o altrui.

 

Il meccanismo é il medesimo e nasce da una predisposizione innata alla cura dei cuccioli che ci appartiene in quanto mammiferi. Sostanzialmente, la nostra vocina dolce e rassi­curante ha lo scopo di trasmettere al cane, o al bimbo, senso di sicurezza e certezza della nostra volontà di essere protettivi e comprensivi verso di lui.

Facendoci parlare in "bambinese”, come viene definito ironicamente quel tipo di impo­stazione vocale, il nostro cervello vuole essere certo che il destinatario del messaggio si fidi di noi, anzi di più, si affidi a noi senza remore.

Ma perché? Perché per una creatura fragile e debo­le come è l’essere umano in tenera età, sapere di poter contare sulla protezione e il supporto degli adulti é garanzia di sopravvivenza, che annulla lo stress derivante dall'essere ancora inadegua­to, fisicamente se non mentalmente, al mondo degli adulti.

Ma il cane non è un bambino, quindi cosa centra in questo discorso?

Centra eccome: ai nostri occhi, e anche dal punto di vista evolu­tivo, il cane è quasi sempre una creatura infantile, un eterno cucciolo che non diventerà mai adulto e autosuffìciente, e noi assumiamo automatica­mente il ruolo di suoi tutori.

 

2. Questione di cervello. I sorprendenti risultati di un esame

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La fotografia (sotto) ritrae un cane sottoposto a riso­nanza magnetica.

Questo tipo di esame consente non solo di individuare problemi di salute altrimenti invisibili ma anche di valutare alcune funzionalità del cervello particolarmente interessanti.

C'è chi ha sfruttato con grande intel­ligenza questo strumento diagnostico anche per indagare sul cervello dei nostri amici, allo sco­po di capire che tipo di reazioni si inneschino a livello neurologico quando il cane si trova in determinate circostanze.

Il risultato è sorpren­dente e illuminante al tempo stesso. Nel corso di questo esame, il noto neuroscienziato statuni­tense Gregory Herns (da non perdere il suo libro Come i cani ci amano) ha sottoposto una ventina di cani a una seduta di risonanza magnetica fun­zionale, dimostrando che i nostri amici provano emozioni del tutto simili alle nostre.

I ricercato­ri volevano individuare quali parti del cervello si attivano in seguito a stimoli precisi e diversi, cercando di capire cosa provano i nostri amici a quattro zampe.

 

Hanno cosi scoperto che anche nei cani il nucleo caudato del cervello, ovvero uno dei nuclei del corpo striato responsabile dell'elabora­zione di alcune funzioni cerebrali come la vista e il movimento, subisce un’attivazione se stimola­to dal pensiero di esperienze piacevoli.

Un gesto della mano precedentemente associato alla pre­sentazione di cibo, la ricomparsa del proprietario che era stato fatto uscire dalla stanza oppure la presenza di odori umani sono alcune delle cir­costanze che hanno attivato le zone del cervello citate durante l’esperimento, condotto con i cani perfettamente svegli e non sedati.

Anche il nucleo caudato del nostro cervello mostra le medesime reazioni di fronte a situazioni piacevoli. In sintesi, condividiamo con il cane persino una parte delle reazioni neurologiche!

Questo significa che esiste una sintonia naturale, basilare, tra il nostro modo di provare emozioni e quello dei cani. Come è possibile? Be’, il cervello umano è un organo estremamente complesso e sofisticato, è vero, ma le sue origini primitive sono le stesse di tutti gli altri mammiferi.

Inoltre, il cane si è evoluto insie­me a noi per 30-40mila anni. E la co-evoluzione conduce a risultati piuttosto simili, in termini di sviluppo delle reazioni neurologiche legate alle emozioni. Dunque, amiamo il cane anche perché siamo emotivamente molto simili!

 

3. Un partner insostituibile. Dal gioco all'abilità di salvarvi la vita

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Impossibile non stupirsi di ciò che il cane rie­sce a fare insieme a noi o per noi.

Partiamo da una cosa apparentemente futile come il gioco: non esiste un compagno di giochi più entusiasta, coinvolto e coinvolgente del cane.

Giocare non sembra una cosa seria, eppure noi bipedi dedi­chiamo molto tempo al gioco, anche da adulti. Solo che magari lo chiamiamo sport.

E una vol­ta "nobilitato" dal termine "sport" diventa facile capire quanto invece conti il gioco per la nostra specie.

Per il cane vale lo stesso: è un giocatore-professionista, nel senso che dedica un impegno molto serio a tutto ciò che noi chiamiamo gioco e, proprio per questo, diventa un partner ecce­zionale, sempre disponibile e sempre entusiasta anche di fronte a una semplice pallina da insegui­re e riportare.

 

Questa caratteristica del cane ci ha permesso addirittura di inventare diversi sport da praticare insieme a lui, come l’Agility, forse il più noto, oppure il Disc dog, l'Obedience, le specialità di ricerca olfattiva di tipo ludico eccetera.

Grazie ad attività come queste, scopriamo che l'intesa con il cane può arrivare a livelli incredibilmente sofisticati e ne ricaviamo una grande soddisfazio­ne a livello emotivo, sia noi sia il nostro amico.

Il che rende il rapporto sempre più profondo e coinvolgente, in un crescendo che non sembra avere limiti salvo quelli fisiologici e dell'età. Poi ci sono le cose ancora più serie.

Salvarci la vita rien­tra tra le abilità del cane già per natura: difendere i membri del branco da un'aggressione è un com­portamento istintivo dei Canidi e i nostri amici lo fanno da sempre, salvando molti di noi da perico­li seri causati dai nostri stessi simili.

Se poi ai cani insegniamo a utilizzare le loro doti, olfatto in pri­mis, per cercarci quando siamo dispersi o sepolti da crolli e valanghe, sono entusiasti di salvarci anche in questo modo.

Da tempo, poi, abbiamo capito che alcune razze di cani sfornano nuotatori eccezionali e, allora, ecco apparire sulle spiagge i cani da salvataggio, che anche questa estate han­no impedito l’annegamento di molte persone in tutto il mondo, Italia inclusa.

Infine abbiamo i cani che fiutano droga, esplosivo, armi, sostanze velenose, tumori e persino il Covid, di nuovo sal­vando tante vite. Un amico che ci fa divertire da matti nel gioco e che è disposto anche a rischiare la sua vita per salvarci dalla morte è davvero dif­ficile non amarlo!

 

4. C'entrano anche i geni. Siamo predisposti ad amare il cane

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Se è vero che l'amore verso i cani è ampia­mente diffuso nel genere umano, è anche vero che non è generalizzato: ci sono bipedi cui la presenza di un cane non crea particola­re interesse e altri che addirittura preferirebbero evitare di incontrare il nostro amico perché ne hanno timore o disgusto.

Già, ma come mai tanti di noi amano i cani e alcuni, invece, non prova­no la medesima emozione?

Lasciando da parte chi ne ha paura, perché le ragioni possono essere anche valide (per esempio, un'aggressione subi­ta in passato o il condizionamento imposto da genitori cinofobi), pare che centri anche la genetica.

Almeno secondo uno studio condotto di recente da un team di ricercatori svedesi e bri­tannici, che hanno indagato sull'influenza che l'ambiente di crescita e, appunto, i geni, possono avere nella scelta di avere o non avere cani.

Per farlo hanno esaminato migliaia di casi riguardanti gemelli omozigoti e il risultato é interessante.

 

Certamente, l'influenza dell'ambiente di cre­scita conta, perché spesso chi aveva un cane da bambino tende ad averne anche da adulto, ma la sorpresa é che, in base a questa ricerca, la geneti­ca pesa un po' di più delle abitudini dell'infanzia.

Nel caso delle donne prese in esame, infatti, la decisione di prendere un cane è dipesa al 57% dai geni più che dall'ambiente di crescita, percentuale che cala al 51% per gli uomini.

Dunque, lo studio tende a suggerire che esista una predisposizio­ne genetica a provare o meno emozioni positive istintive verso il cane.

E ha anche altre interessan­ti implicazioni, per esempio che i noti benefici sulla salute che si acquisiscono dalla convivenza con il cane (per esempio, una minore inciden­za dei problemi cardiaci e delle allergie) abbiano favorito in un certo qual modo coloro che li avevano, fin dal lontano passato, rispetto a colo­ro che non li avevano.

Una sorta di “selezione" inconsapevole dei nostri antenati. Ovviamente è solo un'ipotesi ma, riflettendoci, tutt'altro che campata in aria.

Del resto, avere accanto un cane forniva grandi vantaggi anche solo in termini puramente pratici ai nostri progenitori: si pensi al maggiore successo nelle caccia e nella difesa del territorio che di certo ha favorito la sopravviven­za degli antichi cinofili.

Però, è bello pensare che dentro di noi ci sia il gene dell'amore verso il cane e che si possa trasmettere ai nostri discendenti!

 





5. Antidoto alla solitudine. Sanno anche riempirci la vita

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Quando gli anni diventano tanti e le persone intorno a noi via via si allontanano o muo­iono, la solitudine si fa avanti a occupare il vuoto e la vita diventa piuttosto triste e monoto­na, per tanti di noi.

Ma non per chi ha un cane. Il valore del rapporto che si crea con questo amico è considerato un vero e proprio toccasana per la salute mentale e fisica di chi invecchia.

A livello mentale, perché avere qualcuno di cui occuparsi aiuta a mantenere viva l'attenzione, a sentirsi utili e ad avere cura di se stessi e del nostro benessere, per non lasciare il nostro amico da solo amma­landoci o morendo.

A livello fisico, perché un cane ci obbliga a uscire di casa per una passeg­giata, che è sempre utile per la nostra salute, e spesso ci porta a entrare in contatto con altri che hanno cani ed escono come noi: il ruolo del cane come catalizzatore sociale é noto e riconosciuto anche dagli psicologi.

Poi c'é l'aspetto, estrema­mente importante, legato al benessere emotivo che un cane sa regalare a chi vive con lui. Nessuno è capace di trasmettere affetto incondizionato quanto un cane che si senta amato e accetta­to.

 

E nessuno é ascoltatore migliore: il cane non ci interrompe e non si annoia se ripetiamo più volte la stessa cosa, anzi, sembra sempre molto interessato ai nostri discorsi, al punto che parla­re con lui diventa un'abitudine non solo comune ma anche assai importante per molti di noi, e non necessariamente anziani.

Quella compagnia silenziosa ma sempre presente, quegli occhi che sanno scrutare dentro di noi come nessun altro, quel contatto fisico con il mantello morbido e caldo, quell'adagiarsi al nostro fianco sul divano, quello sguardo entusiasta ogni volta che le nostre mani prendono il suo guinzaglio per uscire a passeggio, quella muta richiesta di un boccone del nostro piatto riempiono la vita di un'intimità preziosa, diversa eppure non meno profonda di quella che si crea tra due persone che si vogliono bene e vivono insieme. E la solitudine scompa­re.

Anche questo è il potere del cane, un potere salvifico per noi bipedi, soprattutto nei momen­ti più difficili della nostra vita, e la vecchiaia lo è senza dubbio. L’unica pecca di tutto questo è il rischio di andarsene prima del nostro amico, con il rischio che rimanga solo, in balia di chissà qua­le destino.

 








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