Gli studi sul cane hanno confermato che esso discenda effettivamente dal lupo e che le tracce più antiche della convivenza con l’uomo risalgano a 12mila anni fa.
Molti studi però ritengono che tale convivenza sia molto più antica e addirittura riconducibile a un’epoca compresa tra i 19mila e 33mila anni fa.
La più antica testimonianza di convivenza tra uomo e gatto, invece, risale a circa 9.500 anni fa, praticamente agli inizi del Neolitico. Lo dimostra la tomba di Cipro, dove è stato rinvenuto un gatto sepolto accanto a una persona.
Il gatto, che era pre-addomesticato, aveva circa 8 mesi e si ritiene che sia stato ucciso per essere inumato con il proprietario, una persona di rango elevato.
La scienza lo dimostra: cani e gatti hanno sviluppato abilità sorprendenti. Sarà forse perché convivono con noi da oltre 12mila anni, ma sta di fatto che nessun altro animale è in grado di interagire con l’uomo quanto i nostri amici a quattro-zampe.
Sanno leggere l’espressione dei nostri volti, diffidano dei nostri nemici e ci sono riconoscenti per le cure che dedichiamo loro.
Lo dice la scienza secondo cui “i migliori amici dell’uomo” non sono solo sensibili e capaci di provare qualcosa di simile all’affetto: sanno anche comunicare con noi e si ricordano tutto.
Curiosità: Ti piacciono di più i cani o i gatti? Dipende dalla tua personalità
La rivalità tra gattofili e cinofili è proverbiale, ma per capire ciò che induce alcune persone a preferire uno piuttosto che l’altro animale, lo psicologo Sam Gosling dell’Università del Texas ha confrontato le personalità di 4.565 persone attraverso un test basato sui Big five personality traits, i cinque principali tratti della personalità umana (apertura, coscienziosità, estroversione, piacevolezza e suscettibilità).
Gosling ha così scoperto che i gattofili sono tendenzialmente più suscettibili dei cinofili, ma anche più creativi e anticonvenzionali.
Viceversa, chi predilige i cani ha un’indole tendenzialmente più socievole e mostra un senso di responsabilità più forte.
1. Ci leggono in faccia
Sebbene il loro modo di comunicare sia basato essenzialmente sulla postura e la gestualità, in particolare sulla posizione di coda e orecchie e sul movimento del corpo, essi sembrano avere iscritte nel proprio Dna facoltà che li rendono più simili a noi di quanto si pensi.
Ad esempio, uno studio pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science nel dicembre del 2015 da un team di ricercatrici dell’Università di Pisa ha rilevato che i cani sanno leggere le espressioni del viso.
Saper interpretare la mimica facciale di un proprio simile è infatti una forma basilare di empatia che permette agli individui che vivono in gruppi sociali di avvertire e condividere le emozioni.
Si pensava che tale prerogativa fosse un’esclusiva degli uomini e delle scimmie, ma lo studio ha dimostrato che anche i cani sanno rispondere in meno di un secondo alla mimica facciale di un loro simile, suggerendo che l’espressione del viso riveste un ruolo importante nel loro modo di comunicare.
«Resta da verificare se questa capacità sia presente anche nel lupo», commentano le autrici dello studio. «Se così non fosse, si potrebbe supporre che il cane l’abbia sviluppata durante il processo di domesticazione avvenuto con l’uomo».
Ma c’è di più. Grazie a una ricerca condotta dall’Università di Vienna e pubblicata di recente su Currunt Biology, i cani hanno dimostrato di saper leggere anche le espressioni del volto umano.
Dopo una fase iniziale di addestramento a riconoscere un viso felice da uno arrabbiato, ai cani sotto esame è bastato osservare anche solo la parte superiore o inferiore del volto di una persona per comprenderne lo stato d’animo.
La prova che questi fedelissimi amici sanno compiere valutazioni sociali ed emotive delle persone è arrivata anche dall’Università di Tokyo, dove è stato accertato che tendono a rifiutare il cibo da quanti si comportano male con il loro padrone.
Addirittura imparano a diffidare anche di coloro che li imbrogliano (nella fattispecie i ricercatori dell’Università di Kyoto che misuravano il grado di fiducia della specie, offrendo ai soggetti partecipanti al test scatole di cibo vuote invece che piene).
2. Vogliono essere rassicurati
Il gatto, animale per natura solitario, è apparentemente meno sensibile alle espressioni umane (e di sicuro meno collaborativo all’addestramento e alla partecipazione a test comportamentali).
Tuttavia, in diversi studi, è apparso evidente che ha sviluppato un’abilità tutta sua nel comprendere l’emotività dell’uomo con cui convive.
Di fronte a oggetti sconosciuti e minacciosi (ad esempio un ventilatore munito di stelle filanti) volge ripetutamente lo sguardo verso il padrone per coglierne eventuali stati d’animo, come se cercasse una sorta di rassicurazione, tanto che la sua paura cresce di pari passo con i segnali di agitazione trapelati dal padrone.
Insomma, pare proprio che micio non sia così distaccato come vuole farci credere.
Anzi, in una ricerca svolta da Claudia Edwards e collaboratori della facoltà di medicina veterinaria dell’Università del Messico e pubblicata sul Journal of Veterinary Behavior nel 2007 è emerso che il gatto, nonostante l’indole schiva e asociale, è capace in realtà di instaurare un vero e proprio legame affettivo con il padrone.
Per misurarlo, è stato utilizzato un Ainsworth’s Adapted Strange Situation test, un test che di norma è impiegato per valutare il tipo di attaccamento tra madre e figlio.
Ne è emerso che nella coppia gatto-padrone si stabilisce un vero rapporto affettivo e che esso si sviluppa nel momento in cui l’uomo inizia a prendersi cura dell’animale, a nutrirlo e a coccolarlo.
3. Sono sensibili alla nostra voce
Un altro ambito che ha destato molto interesse tra gli studiosi di comportamento animale, è l’abilità di cani e gatti nel capirci al volo.
Appurato che il cane è in grado di riconoscere la voce del padrone, anche se registrata, nel 2013 è stato dimostrato che pure il gatto non è da meno, ma che a differenza dell’amico scodinzolante (e forse questa è la ragione perché inizialmente non si riusciva a misurarlo) manifesta tale capacità alla sua maniera, ovvero spostando orecchie e testa e non muovendosi in direzione della voce del padrone come il cane.
È probabile che i gatti domestici siano piuttosto sensibili alla comunicazione verbale e ciò potrebbe dipendere anche dal fatto che il loro repertorio vocale è abbastanza articolato: da cuccioli infatti possono produrre 9 tipi diversi di vocalizzi arrivando fino a 16 da adulti.
La loro bravura nel modulare la voce è notevole: come ben sanno i gattofili, pare che “parlino”, riuscendo a farsi comprendere perfettamente quando reclamano la pappa al mattino o quando vogliono che gli si apra la finestra che dà sul giardino o che gli si faccia una carezza.
Più in generale, la scienza ha finora dimostrato che tanto il cane quanto il gatto sono capaci di riconoscere il significato di una cinquantina di parole, anche se il record spetta a Chaser, una Border Collie che ha stupito i suoi stessi addestratori del Wofford College di Spartanburg nel South Carolina (Usa) riuscendo a imparare il significato di ben 1.022 vocaboli.
4. Ricordano tutto
Sulla memoria di cani e gatti si è molto dibattuto, soprattutto su quella del cane, al centro di numerosi fatti di cronaca.
Chi non ricorda le commoventi storie di cani che hanno percorso distanze incredibili per ritrovare la strada di casa?
Ne è un ultimo esempio Casey, che ha coperto 100 chilometri in due mesi ed è riuscito così a rintracciare la sua famiglia.
In questi casi, a guidare il cane è la sua straordinaria memoria olfattiva, la stessa che ritroviamo negli esemplari antimine, e cioè nei cani addestrati a scovare le mine sepolte sotto terra, capaci di distinguere sino a 17 gamme odorose che, in diverse combinazioni possono essere rintracciate in ben 19mila diversi esplosivi.
Ma abilità olfattive a parte, di recente è stato scoperto che i cani possono memorizzare eventi che non hanno un’utilità immediata.
Studi effettuati da alcuni ricercatori dell’Università di Budapest e pubblicati su Current Biology hanno infatti accertato che essi sono dotati di “memoria episodica”, ovvero di una forma di memoria a lungo termine che permetterebbe loro di ricordare eventi o azioni complesse relativi a particolari episodi del passato, come fanno gli esseri umani e i primati.
Ciò apre nuovi orizzonti alla ricerca sulle facoltà mnemoniche di questi animali sociali e forse anche sulle loro sorprendenti abilità nel saper anticipare alcuni nostri comportamenti, come avviene quando ci portano le chiavi ancor prima che ci mettiamo a cercarle o il cappello quando indossiamo il cappotto prima di uscire.
5. Il più amato dagli italiani? Il Pastore Tedesco
- Le razze canine più diffuse in Italia
Secondo i recenti dati ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana), la razza più diffusa in Italia è costituita dal Pastore Tedesco, un cane amatissimo da almeno 50 anni; seguono i dolcissimi Setter Inglesi e due perfetti cani da famiglia, il Labrador e il Golden Retriever. Il quinto posto è del piccolo vivacissimo Jack Russell Terrier, seguito a ruota da Chihuahua, Boxer, Cane Corso, Segugio Italiano e Rottweiler.
- I cani più amati
Sono i bastardini, non c’è alcun dubbio. Non sono amati perché sono belli (alcuni lo sono, ma ci sono anche botoli inguardabili), non hanno un nobile pedigree, né sono capaci di prestazioni particolari (non sempre sono bravi a fare la guardia e raramente sanno cacciare per esempio).
Chi li ama, li ama per quello che sono, incondizionatamente, e non c’è amore più vero di questo.
- Il gatto più costoso
Nessuna razza batte il Savannah. Questa razza piuttosto recente è stata ottenuta incrociando il gatto domestico con il Servalo, un felino selvatico della savana africana.
Da quest’ultimo, il gatto Savannah ha ereditato le caratteristiche fisiche e l’agilità (è un magnifico saltatore con le gambe lunghe), mentre del gatto domestico ha preso il temperamento e l’indole affettuosa.
Un mix fantastico, anche nel prezzo: un esemplare di prima generazione, con un genitore Servalo, può costare anche 20mila euro.
- Il micio più strano
È senza dubbio lo Scottish Fold. Si tratta, come rivela il nome, di una razza scozzese la cui caratteristica principale non passa certo inosservata: questi gatti a pelo semilungo, timidi e affettuosi, hanno le orecchie ripiegate su se stesse, come molti cagnolini. E per giunta, miagolano pure in modo davvero particolare.