Dopo gli anni oscuri del primo Medioevo, il Vecchio Continente ritrovò la legge, l’unità e la dignità dei tempi di Roma.
E dovette tutto ciò a un uomo soltanto, un sovrano rozzo e analfabeta, con l’ambizione di diventare Cesare: Carlo Magno.
La Vita et gesta Caroli Magni, nota anche come Vita Karoli, è la biografia di Carlo Magno, scritta dal nobile francone Eginardo, allievo di Alcuino di York.
Composta con intento celebrativo, ci restituisce un ritratto umano piuttosto attendibile del re e imperatore, che vi viene così descritto: «Ebbe un corpo largo e robusto, statura alta, ma tuttavia non sproporzionata, la sommità del capo rotonda, gli occhi assai grandi e vivaci, il naso un po’ più lungo del normale, una bella chioma bianca, un volto piacevole e gioviale, che gli conferiva un aspetto molto autorevole e dignitoso sia quando stava in piedi sia quando era seduto.
Sebbene il suo collo potesse sembrare grasso e troppo corto, e il suo ventre alquanto prominente, tuttavia le misure proporzionalmente corrispondenti delle altre membra non facevano notare quei difetti. Aveva ferma andatura e tutto l’atteggiamento del corpo virile, la voce era chiara, ma la meno adatta al suo aspetto fisico».
Nonostante il suo rango, Carlo Magno era un uomo sobrio, che indulgeva al lusso soltanto nelle occasioni ufficiali. «Indossava» scrive lo storico Eginardo «il costume nazionale dei Franchi: a contatto del corpo portava una camicia di lino e mutande di lino; di sopra, una tunica orlata di seta e calzoni; poi avvolgeva le gambe con fascette e i piedi con calzari; d’invero proteggeva le spalle e il petto con un farsetto di pelle di lontra o di topo; indossava un mantello azzurro e cingeva sempre una daga, che aveva l’elsa e la bandoliera d’oro e d’argento.
Talora si serviva anche di una spada ornata di gemme, ma soltanto in occasione delle feste principali e dei ricevimenti di ambasciatori stranieri. Nei giorni di festa andava coperto di una veste ricamata d’oro, portava calzari adorni di gemme, fermava il mantello con una fibbia d’oro e si ornava anche di un diadema d’oro e di pietre preziose; negli altri giorni, invece, il suo abbigliamento differiva poco da quello comune e popolare».
Imiltrude, Desiderata, Ildegarda, Fastrada, Liutgarda: sono i nomi delle cinque mogli di Carlo Magno, ma non conosciamo quelli delle sue concubine.
L’imperatore era incapace di stare senza donne, ed è noto che, durante le gravidanze delle consorti, fra un matrimonio e l’altro e anche dopo la morte di Liutgarda, ebbe molte compagne di letto. Da alcune ebbe dei figli, almeno una ventina. Alcuni morirono prima di lui, e la loro scomparsa lo addolorò sinceramente.
Le cronache dell’epoca riferiscono che fu teneramente legato alle sue figlie femmine (secondo alcuni pettegolezzi perfino troppo) e che pretese che rimanessero nubili per non farle allontanare, arrivando a tollerarne gli amorazzi pur di non lasciarle andare.
Ma chi era veramente Carlo Magno, l’illuminato imperatore d’Europa? Scopriamolo insieme!
1. Carlo e Carlomanno
L’oscurità che avvolge il luogo e il tempo in cui nacque Carlo, figlio di Pipino re dei Franchi, svanisce di fronte alla luce che illumina la vita e le imprese di Carlo Magno, l’uomo che fondò il Sacro Romano Impero.
La sua data di nascita è tradizionalmente fissata al 2 aprile 742, se si deve credere al suo biografo ufficiale Eginardo, ma studi recenti suggeriscono di spostare più correttamente l’evento al 748.
Nulla, invece, si sa del luogo in cui venne al mondo il figlio primogenito di Pipino e di Bertrada di Laon, che la poesia cortese carolingia ci ha tramandato con il nome di “Berta dal gran piè” (si diceva infatti che avesse un piede più grande dell’altro).
Allo stesso modo, non si sa praticamente nulla dei primissimi anni di vita del futuro imperatore, ma la cosa non deve stupire: al momento della sua nascita, infatti, Pipino e Bertrada non erano ancora sposati.
Avrebbero legalizzato la loro unione solo dopo la nascita del secondogenito Carlomanno, e questa irregolarità poteva costituire una seria minaccia al diritto di successione al trono rivendicato da Carlo.
Si ha notizia anche di una sorella, Gisla (o Gisella), avviata alla vita monacale sin da bambina e poi badessa del potente monastero francese di Chelles, nella regione dell’Île de-France.
Carlo crebbe sano ed esuberante, con una vivace passione per la caccia e per le donne; nel 767 sposò una giovane aristocratica, Imiltrude, con la formula della friedelehe, un matrimonio non indissolubile in uso presso i Franchi; da lei ebbe un maschio, Pipino il Gobbo.
La sua vita cambiò nel 768: alla morte del padre, il regno venne diviso fra lui e il fratello, con il quale i rapporti erano, si dice, molto tesi.
La situazione peggiorò proprio in virtù della ripartizione, giacché a Carlo era toccata la parte orientale del regno, che gli avrebbe consentito di espandersi verso il cuore del continente, mentre a Carlomanno era stata riservata la parte occidentale, chiusa a ovest dall’Atlantico, a sud dagli Arabi di Spagna e a sud-est dai Longobardi d’Italia.
Le nuove responsabilità imposero ai due fratelli dei significativi cambiamenti anche nella vita privata, quando l’accorta regina Bertrada pianificò il matrimonio dei figli con le figlie di Desiderio, re dei Longobardi.
Per attuare il piano della madre, nel 770 Carlo dovette ripudiare Imiltrude per sposare Desiderata, che nell’Ottocento Alessandro Manzoni avrebbe immortalato con il nome di Ermengarda.
Intanto i contrasti tra Carlo e Carlomanno si acuivano, ma si risolsero inaspettatamente con la morte improvvisa di Carlomanno, nel dicembre del 771, dopo alcuni mesi di malattia.
La moglie Gerberga, rimasta sola con due figli ancora piccoli, avrebbe potuto rivendicare il trono ma preferì fuggire in Italia; o forse, pensano alcuni, fu indotta a farlo per paura.
Di loro non si seppe più niente: si dice che lei fosse entrata in convento, ma certo dei figli di Carlomanno non rimase alcuna traccia. Carlo aveva finalmente campo libero per farsi acclamare unico re dei Franchi.
Nella foto sotto, Carlo con il modello della Cappella Palatina, in un dipinto di Caspar Johann Nepomuk Scheuren.
2. L’ambiguo rapporto con i Longobardi
Il territorio che ora doveva amministrare era vasto e destinato ad ampliarsi sempre di più: le odierne nazioni di Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e Austria nonché gran parte della Germania, cui nel corso degli anni si sarebbero aggiunte quasi tutta l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Croazia, e poi la fascia pirenaica della Spagna e tutta l’Italia settentrionale.
Con grande lungimiranza, Carlo si preoccupò di viaggiare da un angolo all’altro delle terre su cui governava, per controllare di persona le condizioni dei suoi sudditi e il buon funzionamento dell’amministrazione.
Era solito spostarsi da un castello all’altro con un imponente seguito di cavalieri e funzionari di corte, riservandosi le soste più lunghe ad Aquisgrana, che con il tempo e con il peggiorare dei reumatismi diventò la sua residenza stabile per via delle sorgenti di acqua termale tanto benefiche per il suo fisico.
La sua lunga carriera bellica ebbe inizio nel 772, con il primo dei numerosi scontri che fino all’804 l’avrebbero opposto ai Sassoni, una fiera popolazione germanica che rifiutava di sottomettersi al re franco, ma presto si trovò impegnato anche sul fronte meridionale.
Poco prima, infatti, aveva interrotto bruscamente i rapporti con i Longobardi ripudiando Desiderata sulla base, pare, di una presunta sterilità della donna (che invece, secondo alcune fonti, tempo dopo sarebbe morta di parto; Manzoni, nella tragedia Adelchi, la fa invece morire di dolore per l’abbandono).
Frattanto, anche le relazioni dei Longobardi con la Chiesa si erano inasprite, e quando Desiderio invase i territori pontifici Carlo, chiamato insistentemente da papa Adriano I, nel 773 dovette scendere in Italia e costringere l’ex suocero a cedere dopo aver lungamente assediato Pavia.
Nel 774 Carlo cinse anche la corona di re dei Longobardi, dopo aver suggellato con il pontefice un solenne giuramento che avrebbe saldato per sempre le sorti del regno franco a quelle del papato.
Nel 778 andò in guerra contro gli Arabi di Spagna: e se la sua prima spedizione fu un disastroso fallimento, con la retroguardia franca massacrata dai montanari baschi al passo di Roncisvalle mentre si trovava sulla via del ritorno (è l’episodio in cui, secondo la leggenda, morì anche il paladino Orlando), la seconda fu invece un successo e si concluse con la nascita della Marca di Spagna, una fascia cristiana tra l’Ebro e i Pirenei costituita con i territori strappati ai Mori.
Intanto non conosceva tregua l’aspro confronto con i Sassoni, che nell’ottobre del 782 subirono una cocente sconfitta culminata con l’episodio noto come massacro di Verden, nel quale Carlo ordinò che venissero passati a fil di spada migliaia di guerrieri (4.500, riportano le cronache dell’epoca) che avevano rifiutato di convertirsi al cristianesimo e di sottomettersi al re franco.
3. Quella notte di Natale dell’anno 800
Nel 783, le preoccupazioni di Carlo furono di altra natura: in quell’anno gli morì di parto, a soli 25 anni, la moglie Ildegarda.
Appena tredicenne era andata sposa al sovrano dopo l’allontanamento di Desiderata, e gli aveva dato quattro maschie cinque femmine. Carlo, tuttavia, non la pianse a lungo e nel 784 impalmò Fastrada, che gli diede due femmine.
Deciso a espandersi verso est, nel 788 Carlo si avvalse del sostegno del papa per conquistare con relativa facilità la Baviera e poi allargare i propri confini oltre il fiume Inn, nella terra degli Avari, che fu messa a ferro e fuoco senza pietà per nessuno, neanche per le donne e i bambini.
Di nuovo, affari interni costrinsero Carlo ad allontanarsi dai campi di battaglia: la regina Fastrada, a causa del suo carattere imperioso e non estraneo ad atti di semplice crudeltà, era odiatissima a corte; e sembra fosse questo il motivo della congiura dei nobili franchi che nel 792, con la complicità di Pipino il Gobbo, attentarono alla vita di Carlo e di tre dei suoi figli maschi in modo da togliere di mezzo tutta la famiglia.
Il piano comunque fallì e Carlo condannò alla pena capitale tutti i congiurati tranne Pipino, che però fu obbligato a prendere i voti e a rinchiudersi fino alla morte nell’abbazia benedettina di Prüm.
Due anni dopo anche Fastrada morì; benché addolorato, Carlo non sapeva resistere a lungo senza una donna al suo fianco, e così nel 795 sposò Liutgarda, una nobile sveva che non gli diede figli e che sarebbe morta anch’essa nel giro di pochi anni.
Di nuovo in marcia alla testa del suo esercito, Carlo allargava i suoi confini. Lentamente, l’estensione del regno carolingio finì per assomigliare a quella dell’antico Impero Romano d’Occidente: e mentre conquistava nuove terre, Carlo ne cristianizzava le popolazioni facendo ricorso a qualsiasi mezzo.
Compiaciuto di questa fedeltà che si andava protraendo negli anni, nell’800 papa Leone III decise di ricompensarlo in modo singolare e inaspettato.
Nella notte di Natale di quell’anno, mentre la basilica di San Pietro era gremita di folla per la messa solenne, il pontefice pose sul capo di Carlo (da poco vedovo di Liutgarda) la corona di imperatore, pronunciando poi la formula di rito: «a Carlo, piissimo, augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria».
Nasceva così il Sacro Romano Impero, che avrebbe segnato per sempre il destino dell’Europa e del mondo.
A sentire Eginardo, però, Carlo ne fu, più che sorpreso, addirittura contrariato, al punto di dichiarare che se avesse saputo delle intenzioni di Leone III non si sarebbe neanche presentato a messa.
Non si trattava ovviamente di modestia o di umiltà; più pragmaticamente, Carlo considerava il gesto del pontefice quantomeno inopportuno, perché attirava su di lui l’ostilità dell’impero che già esisteva: l’Impero Romano d’Oriente, con capitale Bisanzio.
È vero che ormai esso reggeva una parte soltanto di quello che era stato l’Impero romano: le terre orientali, appunto, e quelle che si affacciavano sul Mediterraneo.
Al contrario, le terre d’Occidente conoscevano da secoli invasioni e passaggi di mano che le rendevano instabili politicamente e socialmente, mentre i pontefici continuavano a temere per le sorti dello Stato della Chiesa, in un’Italia divenuta, mai come prima di allora, terra di conquista.
Era in questo scenario intricato che si erano andati affermando i Franchi, uno dei numerosi popoli germanici occidentali che avevano fatto il loro ingresso nel tardo Impero romano come federati, riuscendo a stabilire un reame abbastanza solido e duraturo nella vasta regione che copre l’odierna Francia e parte dell’attuale Germania.
Retto per tre secoli (dal 450 al 750 circa) dalla dinastia merovingia, il regno franco era passato nelle mani di Pipino il Breve: maggiordomo di palazzo di Childerico, ultimo re merovingio, con un colpo di mano Pipino ne aveva preso il posto grazie all’appoggio dei pontefici Zaccaria e Stefano II, che l’avevano riconosciuto legittimo re dei Franchi approfittando di un vuoto di potere a Bisanzio.
4. Bisanzio si oppone
Ora, l’incoronazione di Carlo da parte di Leone III si era svolta senza rispettare il protocollo bizantino, secondo cui il pontefice doveva procedere dopo che il popolo avesse eletto l’imperatore acclamandolo, cosicché la consacrazione sancisse l’espressione della volontà popolare di tutti i cittadini.
Ma senza acclamazione il messaggio era un altro: Carlo era stato incoronato per volere del pontefice e dei cittadini romani, tagliando fuori dal gioco i sudditi franchi e imponendo questa volontà parziale all’impero di Bisanzio, proprio mentre sul trono d’Oriente sedeva la terribile Irene, una donna scaltra e spietata che aveva fatto accecare il suo stesso figlio per prenderne il posto, e che pretendeva per sé il titolo di basileus (imperatore) invece di basilissa (imperatrice).
I giochi ormai erano fatti. Carlo accettò ugualmente il titolo, ma i Bizantini ritennero illegittima l’incoronazione perché nel 476, quando il re visigoto Odoacre aveva deposto Romolo Augustolo, le insegne imperiali erano state inviate a Costantinopoli e lì avrebbero dovuto restare.
Il conflitto con i Bizantini imperversò a lungo sul litorale veneto fino all’812, quando il basileus Michele I riconobbe finalmente Carlo Magno come imperatore d’Occidente.
Ma il tempo di Carlo volgeva al termine. Nell’813 incoronò lui stesso ad Aquisgrana come suo successore il figlio Ludovico il Pio, avuto da Ildegarda.
Le cronache riferiscono che già nel corso della solenne cerimonia l’imperatore mostrasse insoliti segni di stanchezza, e che poco dopo il passaggio delle consegne imperiali cadesse malato.
Nel giro di qualche mese parve riprendersi, ma poi comparve una strana febbre insidiosa che nessun rimedio riusciva a estinguere e che anzi andava aggravandosi.
Era pleurite. Inspiegabilmente, Carlo rifiutò le cure dei medici; s’intestardì a combattere la malattia a modo suo, smettendo di mangiare e bere, e nel giro di pochi giorni peggiorò fino a morire.
Quando sentì che stava arrivando la fine chiese di ricevere l’estrema unzione. Il biografo Eginardo racconta che negli ultimi istanti di vita tentò, senza riuscirvi, di farsi il segno della croce e che chiuse gli occhi mormorando: “Mio Dio, alle tue mani affido il mio spirito”.
5. Un’eredità contrastata
Moriva così, il 28 gennaio 814, Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi e imperatore del Sacro Romano Impero, sovrano indiscusso di 15 milioni di sudditi, la metà dell’intera popolazione europea del tempo.
Durante i suoi lunghi anni di regno aveva saputo unificare un territorio vastissimo, riuscendo a tenere insieme popolazioni di lingue e culture diverse, al di là della patina superficiale di un cristianesimo molto più spesso imposto che sentito; era stato al tempo stesso un conquistatore di terre e un missionario di anime, un guerriero esperto e un buon amministratore.
Eloquente, era quasi incapace di scrivere, ma sapeva leggere ed era consapevole dell’importanza dello studio, tanto da scegliere come maestro, per sé e per i figli, il dottissimo monaco anglosassone Alcuino di York: un grande insegnante che si pose a capo della Scuola Palatina di Aquisgrana, l’epicentro della rinascita carolingia, che avrebbe lasciato un’impronta duratura nel panorama culturale europeo dei secoli a venire.
Contrariamente alle usanze, non aveva lasciato disposizioni per la sepoltura. Fu inumato nella cattedrale di Santa Maria ad Aquisgrana, una chiesa enorme che lui stesso aveva eretto con marmi portati da Roma e da Ravenna e che sarebbe rimasta per oltre 400 anni l’edificio più alto a nord delle Alpi.
Le spoglie di Carlo furono sistemate in un sarcofago romano di marmo del II secolo a.C., che fu posto sotto il pavimento della Cappella Palatina, un magnifico ambiente ottagonale fatto costruire dallo stesso imperatore a imitazione della basilica di San Vitale a Ravenna.
Nell’anno Mille, per ordine di Ottone III, la salma fu riesumata e fu trovata in ottimo stato di conservazione. Nel 1215, i resti dell’imperatore furono deposti nella grande urna d’oro e pietre preziose fatta realizzare da Federico II di Svevia e sistemata nel coro gotico della cattedrale, dotato di grandi vetrate colorate.
Cinquant’anni prima, il sovrano era stato santificato dall’antipapa Pasquale III su richiesta del Barbarossa. La Chiesa cattolica non annullò mai la canonizzazione, ma neppure la confermò: e in questa ambiguità si affermò il culto di san Carlo Magno, che ancora oggi continua a essere praticato nella diocesi di Aquisgrana.
Nella foto sotto, la cattedrale imperiale di Aquisgrana. Eretta nel 786, era la più grande a nord delle Alpi. Nella foto piccola in alto a sinistra, il trono di Carlo Magno, nella cattedrale.
Note
TAPPE SALIENTI
768
Muore Pipino il Breve, e il regno dei Franchi viene diviso tra i figli Carlo e Carlomanno, consacrati entrambi re. A Carlo spetta la parte orientale del regno, a Carlomanno quella occidentale. I rapporti fra i due sono tesi.
771
Carlomanno muore improvvisamente e Carlo si annette il suo territorio, facendosi proclamare unico re. La vedova Gerberga, non riuscendo a far valere i diritti di successione, torna in Italia con i due figlioletti.
772
Carlo inizia la sua prima guerra contro i Sassoni, colpevoli di aver smesso di pagare i tributi imposti da Pipino il Breve. Carlo invade il territorio sassone, distrugge la quercia sacra Irminsul e avanza fino al fiume Weser.
773-774
Chiamato in soccorso da papa Adriano dopo l’invasione longobarda, Carlo scende in Italia e sconfigge gli invasori facendo prigioniero lo stesso Desiderio. Poi viene proclamato re dei Franchi e dei Longobardi.
778
Dopo l’imposizione del cristianesimo nella Dieta di Paderborn (777), molti Sassoni si ribellano e il condottiero Vitichindo guida una rivolta contro i Franchi, spietatamente repressa nel sangue da Carlo.
781
Carlo affida al dotto monaco Alcuino di York il compito di intraprendere la riforma culturale del regno. Alcuino fonda la Scuola Palatina, iniziando il fecondo periodo di sviluppo culturale noto come “rinascita carolingia”.
800
Nella notte di Natale, Carlo viene incoronato imperatore dal papa Leone III nella basilica di San Pietro a Roma: è l’atto di nascita del Sacro Romano Impero, che scatena un conflitto con l’impero di Bisanzio.
813
Ad Aquisgrana, in una solenne cerimonia, Carlo associa alla dignità imperiale il figlio Ludovico (avuto da Ildegarda nel 778), già re d’Aquitania. Subito dopo si ammala: non si riprenderà più.