Caterina de’ Medici: l’italiana che governò la Francia

La vita di Caterina de’ Medici fu influenzata dalle strategie politiche che la famiglia dei Medici dispiegò nel Cinquecento, quando irruppe sulla scena dell’Europa grazie alle abili mosse di papa Leone X.

Signore del Rinascimento, Leone X concluse la triade dei papi votati alla politica, alla guerra, alla grandezza mondana, che aveva avuto in Alessandro VI Borgia e Giulio II Della Rovere i suoi precursori.

Scrisse lo storico contemporaneo Francesco Guicciardini: “Esaltati dalla potenza terrena, deposta a poco a poco la memoria della salute delle anime e dei precetti divini, e voltati tutti i loro pensieri alla grandezza mondana, né usando più l’autorità spirituale se non per istrumento e ministerio della temporale, cominciarono a parere più tosto principi secolari che pontefici”.

Entrata alla corte di Francia grazie allo zio, papa Clemente VII, Caterina visse in un’epoca di complotti e massacri religiosi. Chiamata “Regina nera” per la passione dell’occulto, tenne le redini della politica francese per 30 anni come reggente dei suoi figli.

Ma chi era veramente Caterina de’ Medici, l’italiana che governò la Francia? Scopriamolo insieme.

 

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1. Dalle trame del papa alla corte di Francia

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Fu Leone X a chiedere in matrimonio per il nipote Lorenzo II de’ Medici, duca di Urbino, la duchessa di Bretagna, Madeleine de la Tour d’Auvergne, imparentata con la famiglia reale di Francia.

Da questa unione, il 13 aprile 1519, nacque a Firenze Caterina. Seguendo l’usanza delle principali corti europee dell’epoca, un astrologo fu chiamato alla culla della neonata perché le predicesse il futuro.

La profezia fu inequivocabile: Caterina avrebbe trascorso la vita fra inquietudini pubbliche e private.

La morte della madre per parto, poco dopo la nascita della figlioletta, parve confermare la premonizione. Solo qualche settimana più tardi Caterina fu lasciata orfana anche dal padre Lorenzo II, duca di Urbino, stroncato dal male ignominioso, la sifilide, che allora cominciava il suo lugubre viaggio nelle paure del mondo occidentale.

A prendersi cura della neonata non restava che lo zio, il cardinale Giulio de’ Medici, elevato al soglio pontificio nel 1523 con il nome di Clemente VII. Fu per sua decisione che in tenerissima età Caterina varcò la soglia del convento delle Murate, le monache di clausura che a Firenze accoglievano le giovinette dell’aristocrazia cittadina.

Altre prove impegnative attendevano l’inconsapevole Caterina, coinvolta nelle trame di potere che le monarchie europee stavano tessendo in Italia.

Quando l’imperatore Carlo V scese nella Penisola e si alleò a Clemente VII, ansioso di restaurare il principato mediceo a Firenze e di abolire per sempre la repubblica, i repubblicani fiorentini si ricordarono di quella bambina chiusa in convento e pensarono di sfogare su di lei la loro rabbia.

Qualcuno propose di gettarla in pasto alla furia popolare; altri di esporla come scudo umano sulle mura della città per scongiurare il bombardamento da parte degli imperiali di Carlo V. Efferatezze predicate ma non praticate, anche perché il convento delle Murate, schierato con i Medici, godeva di vaste protezioni.

Ma a dieci anni la bambinetta fu trasferita nel convento di Santa Lucia, che passava invece per essere filo-repubblicano. Nella foto sotto, paesaggio di Firenze, dove Caterina passò alcuni anni della sua infanzia.

 

L’ingresso a Firenze delle truppe di Carlo V, nel 1530, liberò Caterina dalle angosce di una posizione difficile. Immediatamente portata a Roma, fu consegnata allo zio pontefice, che le preparò un destino all’altezza delle ambizioni della famiglia, ora ritornata saldamente in sella dopo le burrasche delle due repubbliche.

Da navigato uomo politico qual era, Clemente VII capì immediatamente che quella nipotina di appena undici anni poteva tornargli utile per frenare la potenza imperiale in Italia e per alleggerire la pressione sullo Stato della Chiesa dell’alleato asburgico.

Occorreva mettere quell’aggraziato corpo adolescenziale sul braccio francese della bilancia con cui Clemente VII calibrava le sue alleanze. Il papa si orientò quindi verso la corte di Parigi.

Lì si spalancarono le porte di un matrimonio reale, orchestrato da papa Medici, benedetto dall’imperatore e dal re di Francia, accompagnato dal consenso di uomini di Curia e principi d’Italia, celebrato alla fine del 1533, quando Caterina aveva quattordici anni.

Venti galere accompagnarono Caterina da Porto Venere, in Liguria, a Marsiglia, dove il papa in persona la unì in matrimonio con il coetaneo Enrico, duca di Orléans, figlio secondogenito del re Francesco I. Poi un fastoso corteo li scortò fino a Parigi.

La distanza di rango tra i due sposi non era certo colmata dalla cospicua dote portata da Caterina. I castelli in Bretagna della madre, centomila scudi d’oro usciti dalle casse medicee e ancora bauli stracolmi di gioielli non annullavano agli occhi dei Francesi la distanza tra un rampollo della dinastia dei Valois e un’italiana, una Medici, per giunta di un ramo collaterale della famiglia fiorentina.

Da questo scarto di qualità scaturì il disprezzo sociale con cui Caterina avrebbe dovuto confrontarsi per tutta la sua lunga esistenza. All’ambasciatore mediceo a Parigi, Filippo Strozzi, toccò ribattere alle accuse di spilorceria che i tesorieri della corona francese, una volta misurata la dote, osarono lanciargli.

E con sottile astuzia finse sorpresa di fronte all’incompetenza di uomini di così elevata caratura internazionale, perché ignoravano i tre gioielli di valore inestimabile, concupiti dai sovrani di mezza Europa, che il papa si era impegnato ad aggiungere.

Stupiti, i tesorieri chiesero di cosa si trattasse. Di Napoli, Milano e Genova, rispose Filippo Strozzi. Una battuta, la sua, ma che in parte corrispondeva al vero perché le tre città, roccaforti del potere spagnolo in Italia, erano pronte a cambiare casacca e a schierarsi con la Francia.

Nella foto sotto, il matrimonio con Enrico II. Papa Clemente VII, zio di Caterina de’ Medici, celebra le nozze tra la nipote ed Enrico II di Francia. Dipinto di Jacopo Chimenti, 1600, Uffizi, Firenze.

 

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2. Una catena di sospetti

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Fu Francesco I a dare prova di magnanime lungimiranza verso la dinastia italiana.

Il re di Francia non lesinò benefici e pensioni per i cardinali della Curia romana, concessioni ripagate dal papa con la nomina di quattro cardinali francesi.

Commercio di cariche, questo, allora usuale nella conduzione di tutta la politica degli affari di Chiesa.

In tal modo Caterina si insediò nella corte francese, inconsapevole messaggera di quella autentica passione per l’Italia che Francesco I coltivava, spinto tanto da progetti di conquista quanto dalla passione culturale per la patria del Rinascimento. Dell’italianizzazione della corte francese Caterina fu l’ultima e preziosa rappresentante.

Nelle buie stanze del Louvre (all’epoca una delle residenze reali) o negli incantevoli castelli del re dove la giovane italiana seguiva il marito, fanatico della caccia, Caterina avvertì le inquietudini religiose esplose negli anni della Riforma protestante e che ormai lambivano gli ambienti di corte, tollerate se non promosse dal re medesimo.

Avvertì anche lo spirito di rivincita che turbava l’animo di Francesco I e lo richiamava alla guerra contro la Spagna. Sentì il mormorio delle fazioni che si muovevano nell’ombra di una corte, ricettacolo di tutte le ambizioni di potere che covavano nella nobiltà francese.

Caterina era ancora troppo giovane per essere trascinata dall’uno o dall’altro partito; ma si trattò di una breve anticamera dopo la quale cominciarono ad aprirsi per lei le stanze tutt’altro che tranquille del potere.

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Un evento inatteso giunse a trasformare i destini di Caterina: la morte del delfino, suo cognato, nel 1536. L’inaspettata scomparsa del primogenito di Francesco I, avvenuta dopo una bevuta di acqua gelata, innescò una catena di sospetti che avrebbe accompagnato Caterina fino alla fine dei suoi giorni.

Pettegolezzi di corte l’accusarono di essere stata lei ad avvelenare quel Valois, vanamente destinato a governare. Sospetti, questi, dai quali fu messa al riparo grazie all’affetto pubblicamente ostentato dal suocero Francesco I.

Non fu certo la diffamazione il principale ostacolo che Caterina dovette affrontare in quegli anni. Fu, infatti, l’infertilità ad angustiarla, tanto più che il marito sentiva su di sé la pressione del fratello Carlo, ambizioso pretendente al trono, e un figlio lo avrebbe liberato dalla competizione interna alla famiglia. Caterina ricorse a medici, maghi e guaritori. Nulla da fare.

Nel 1537 Enrico ebbe una figlia naturale da una giovane piemontese di nome Filippa Duci, originaria di Moncalieri, e questo fu visto come segno dell’incapacità di Caterina di dare al marito una discendenza. La sua posizione si fece ancor più difficile quando a corte apparve un’avversaria di celebrata avvenenza, Diana di Poitiers (nella foto piccola in alto a sinistra).

La trentanovenne Diana di Poitiers divenne l’amante ufficiale del diciannovenne Enrico, nonostante il divario di età e di esperienza. Era intelligente, brillante, di alta nobiltà, amica di artisti e letterati, pienamente cosciente della propria influenza.

Caterina sopportò l’umiliazione e addirittura arrivò ad accettare Diana: mostrarsi arrendevole fu per lei il male minore rispetto alla minaccia di venire sostituita da un’eventuale nuova moglie. Il rapporto a tre funzionò, arricchito dalla prudenza e dalla doppiezza che l’intima sensualità dell’amante e il devoto affetto della moglie garantivano al figlio del re.

Diana di Poitiers spingeva spesso Enrico nel letto della moglie, mentre Caterina, donna riservata e accorta, sopportava le attenzioni del marito verso la rivale nella speranza di una futura maternità.

Che fossero state le cure del medico Jean Fernel, il quale la sottopose a massicci quanto bislacchi trattamenti farmacologici, o che fossero state segrete ragioni nascoste sotto le lenzuola del letto regale, sta di fatto che Caterina rimase incinta. L’evento provvidenziale si sarebbe ripetuto per altre nove volte nella sua vita.

La dinastia era salva e con essa anche la posizione di Caterina. Per circa un decennio le vicende private tennero lontana Caterina dagli affari di corte, ancora più dell’ostracismo nei suoi confronti del potente ministro Anne de Montmorency.

Nella foto sotto, Caterina de'Medici in abiti vedovili e i figli: re Carlo IX, Margherita, Enrico d'Angiò e Francesco Ercole d'Alençon, 1561 circa.

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3. Enrico II diventa re e gli anni della reggenza

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A trascinarla al centro della vita politica fu il passaggio dinastico.

Le guerre contro Spagna e Inghilterra stavano volgendo al termine quando Francesco I soccombette alle febbri malariche che lo tormentavano da tempo.

Era l’anno 1547. Il figlio Enrico salì al trono. Al suo fianco le due donne. Da un lato, la moglie Caterina, ormai madre dei suoi figli, e dall’altro Diana di Poitiers, quasi cinquantenne.

Restava Diana la favorita nel cuore del nuovo re, che l’aveva insignita anche del titolo di duchessa di Valentinois, e che non perdeva occasione per ostentarle alta stima. Non dimenticava peraltro che Diana era strumento del partito ultra-cattolico dei Guisa, a cui la potenza politica della Chiesa imponeva di riservare massima considerazione.

Nel 1549, due anni dopo l’ascesa al trono di Enrico II, Caterina fu consacrata regina di Francia. Intanto i figli e i parenti della reale coppia divenivano i tramiti di una serie di alleanze internazionali che legarono i Valois alle teste coronate d’Europa.

Nel 1558 il delfino, il primogenito Francesco, sposò la regina di Scozia, Maria Stuart; una sorella del re, Margherita, andò in sposa a Emanuele Filiberto, duca di Savoia; la figlia minore di Enrico e Caterina, Claudia, al duca di Lorena; mentre la maggiore, Elisabetta, a Filippo II, re di Spagna.

All’improvviso la tragedia. Il 27 giugno 1559, durante un torneo che doveva celebrare le nozze di Elisabetta con Filippo II, Enrico II cadde colpito da un colpo di lancia che gli trafisse un occhio.

Nonostante le cure del più grande medico francese dell’epoca, Ambroise Paré, e del celebre anatomista Andrea Vesalio, Enrico morì il 10 luglio. Si narra che le sue ultime parole siano state: “Me misero, che muoio senza gloria e non da vincitore in battaglia, come conviene a un re!”.

Nella seconda metà del Cinquecento la Francia, sconvolta dalle tensioni religiose conseguenti alla Riforma protestante e alla Controriforma cattolica, finì col precipitare in una spirale di crisi che ne mise in forse la stessa unità politica.

Non solo le guerre di religione tra cattolici e ugonotti (i calvinisti francesi), ma anche gli attacchi della Spagna, le rivolte contadine, i vuoti nella successione determinarono un ciclo di instabilità che si protrasse fino all’incoronazione nel 1594 di Enrico IV di Borbone. Risucchiata nell’epicentro di quel terremoto politico e sociale, Caterina si trovò a fronteggiare logoranti prove, a partire dalla questione religiosa.

Se Francesco I si era mostrato relativamente tollerante verso la minoranza protestante che si era costituita nel suo regno, il successore non si era risparmiato in persecuzioni. La morte di Enrico II, nel 1559, aprì il periodo delle guerre di religione.

Il figlio Francesco, un adolescente di appena quindici anni, debole e malaticcio, nell’impossibilità di governare lasciò le redini del potere agli zii di sua moglie, Maria Stuart: il duca Francesco di Guisa e il cardinale di Lorena, ambedue decisi a continuare la politica di repressione del Protestantesimo.

Intanto i fanatici delle due fedi religiose avevano già imboccato la via della violenza, con complotti, congiure, prese d’armi. Alla morte di Francesco, stroncato a sedici anni da emorragia cerebrale, successe il fratello Carlo IX di appena dieci anni. Fu a quel punto che i Guisa persero il potere, assunto dalla regina madre, Caterina.

Nella foto sotto, l’ultimo ritiro della favorita Diana di Poitiers. Il Castello di Anet, fatto costruire da Enrico II per la sua amante Diana di Poitiers. Alla morte del sovrano nel 1559, Caterina de’ Medici costrinse Diana a ritirarvisi.

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4. Nella tempesta religiosa

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Proclamata reggente, Caterina diede inizio a una nuova politica, sostenuta dal cancelliere Michel de l’Hôpital, in favore della conciliazione fra cattolici e ugonotti.

Di fronte agli Stati Generali (l’assemblea politica cui partecipavano i delegati dei tre ordini, clero, nobiltà e Terzo Stato, cioè borghesia, contadini e operai) riuniti a Pontoise nel 1561, si pronunziò a favore della libertà religiosa.

Il 17 gennaio 1562, l’editto di Saint-Germain accordò ai riformati la libertà di coscienza, la libertà di culto al di fuori delle mura delle città e all’interno di queste la possibilità di celebrare i loro riti in privato.

Queste misure suscitarono l’indignazione dei cattolici. Il connestabile di Montmorency, il maresciallo de Saint-André e il duca Francesco di Guisa si accordarono per dare vita a una sorta di triunvirato che mettesse in mora il potere della reggente e lanciasse una campagna di repressione degli ugonotti.

Era il ritorno del vecchio gruppo ultra-cattolico, un tempo vicino a Diana di Poitiers e a Enrico II. Fu il segnale d’inizio delle guerre di religione che per tre decenni avrebbero insanguinato la Francia e trascinato la monarchia in un gorgo di conflitti che resero vani gli sforzi di mediazione, tentati più volte da Caterina.

Per alcuni anni la regina riuscì ad allentare la morsa in cui l’avevano stretta i Guisa, mostrando il guanto di velluto alla minoranza riformata e contando sulla saggezza dei cattolici non intransigenti, favorevoli alla tolleranza e alla moderazione. Ma l’accordo tra le due fazioni restò sempre instabile.

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Il massacro di Wassy del 1 marzo 1562, compiuto dai soldati del duca di Guisa contro i protestanti, fece precipitare gli eventi. Tutto venne rimesso in discussione: il ruolo della monarchia, la convivenza delle opposte fedi, i beni della Chiesa.

Caterina si destreggiò come poteva, oscillando tra l’appoggio ai cattolici fanatici e il sostegno ai moderati di entrambe le fazioni. Si fece vedere sotto le mura di Rouen a guidare l’attacco contro la città ugonotta, ma appena si aprì uno spiraglio di riconciliazione non si ritrasse.

L’uscita di scena dei capi delle due fazioni la liberò dai personaggi più scomodi del regno. Il 19 marzo 1563 l’editto di Amboise pose fine alle ostilità, accordando la libertà di culto nei borghi di alcune circoscrizioni e nelle campagne nobiliari.

Seguirono alcuni anni di pace, durante i quali Caterina fece compiere al figlio Carlo IX, ormai maggiorenne, un vero e proprio giro di pacificazione per la Francia.

Ma un secondo ciclo di guerre esplose nel 1567 a seguito d’un fallito colpo di mano degli ugonotti nel tentativo di catturare la regina madre e il re, che si trovavano nel castello di Montceaux. La riconciliazione sembrava fallita.

I capi dei protestanti, il principe di Condé e l’ammiraglio Coligny, poterono contare sull’intervento della regina di Navarra, Jeanne d’Albret, accompagnata dal giovane figlio Enrico, e sui rinforzi garantiti dai correligionari tedeschi.

L’azione militare costrinse Caterina a intavolare negoziati conclusi dalla pace di Saint-Germain (8 agosto 1570), che concesse ulteriori vantaggi ai protestanti.

Nella foto sotto, l’incontro con il duca di Guisa. Re Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, riceve nel Castello di Blois il duca di Guisa, che farà assassinare poco dopo (1588). Dipinto di P. C. Comte, XIX secolo, Museo del Castello di Blois.

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5. Torna la guerra civile e la fine della dinastia Valois

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L’incubo che la Francia passasse dalla parte protestante spinse Caterina all’intransigenza.

Pur di spezzare le trame degli ugonotti e del loro leader, l’ammiraglio Coligny, imboccò la strada dell’assassinio in nome della ragion di Stato.

Ordinò segretamente di togliere di mezzo Coligny. Ma nell’attentato il maresciallo rimase solo ferito. Il mancato assassinio fu l’origine del massacro della notte di san Bartolomeo, tra il 23 e il 24 agosto 1572.

Temendo che fosse scoperta la sua responsabilità, Caterina non trovò soluzione migliore che fare uccidere i capi della fazione protestante, riuniti a Parigi per le nozze di Enrico di Navarra con Margherita di Valois, figlia della regina.

Le dimensioni del massacro furono superiori a quanto Caterina stessa si aspettava, poiché le milizie di Parigi, che odiavano i protestanti, si avventarono contro i riformati. La corte non seppe fornire dell’accaduto che spiegazioni confuse, così come furono confusi gli ordini inviati in provincia, tanto che in molte città si ripeterono i massacri.

Si ritenne che il partito protestante fosse stato annientato, ma le cose non stavano così e le ostilità ripresero. Caterina de’ Medici si trovò così nuovamente su di uno stretto crinale, assediata da opposte strategie politiche.

Intanto altre e più pesanti responsabilità passavano nelle sue mani a seguito della morte di Carlo IX, deceduto per tubercolosi nel 1574. Il nuovo sovrano, Enrico III, quartogenito della regina, si apprestava a condividere con lei il trono, lasciandole ampio margine di azione.

Nella foto sotto, il massacro di san Bartolomeo in un dipinto di François Dubois. XVI secolo. Museo delle belle arti, Losanna.

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La svolta nei destini della Francia coincise con l’uscita di scena di Caterina. Nel dicembre del 1588 Enrico III fece assassinare a Blois il suo rivale, Enrico di Guisa. Il delitto mise tutti i cattolici contro di lui.

La settantenne Caterina, ormai impotente, si spense di malattia dopo poche settimane, il 5 gennaio del 1589. Non vide così morire il figlio Enrico III, assassinato nell’agosto di quell’anno dal colpo di pugnale di un frate domenicano.

Insieme con il re cadeva anche la dinastia dei Valois. Sul letto di morte, infatti, Enrico III aveva riconosciuto come suo successore il marito della sorella Margherita, Enrico di Navarra, ugonotto, figlio di Antonio di Borbone e di Jeanne d’Albret, con il quale aveva appena firmato un trattato di pace per concludere le guerre di religione.

Enrico IV di Borbone saliva così al trono dopo avere giurato, sotto le mura di Parigi assediata, di convertirsi al Cattolicesimo in nome della ragione di Stato. La leggenda gli attribuisce in questa occasione la frase: “Parigi val bene una Messa!”.

Anche la salma di Caterina subì i tormenti di quella stagione cruenta. Il corpo fu imbalsamato, ma non lo si poté trasferire nell’abbazia di Saint-Denis, sacrario dei re di Francia. I Parigini, furiosi per la morte dei Guisa, minacciarono una rivolta se si fosse proceduto alla traslazione.

Solo nel 1610 avvenne il trasferimento del corpo, voluto da Diana di Francia, la figlia nata dalla relazione tra Enrico II e Filippa Ducci. Ma nel 1793 i rivoluzionari profanarono la sua e le altre tombe reali, gettando i resti di Caterina in fosse comuni.

Nella foto sotto, il letto di Caterina. Camera da letto di Caterina de’ Medici nel castello di Blois, sulla Loira. Qui la regina morì il 5 gennaio 1589, pochi mesi prima che suo figlio Enrico III fosse assassinato da un frate domenicano.

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