“Internet ci ha portato tantissime cose: informazione, accesso, connessione, intrattenimento, scoperta, piacere e anche, per pochi eletti, la ricchezza nel vero senso della parola.
Dal momento però che nel progresso non esiste nulla di semplice e lineare, così come ci ha portato queste cose ce ne ha portate via altre”.
Che cosa ci ha tolto internet? Per esempio il senso dell’orientamento, la capacità di concentrazione e il pudore. Lo dicono gli scienziati, secondo i quali l’uso continuo del web può modificare persino la struttura del cervello.
Attenzione, dunque: è vero che nessuno di noi saprebbe più fare a meno della rete e dei suoi servizi, ma gli effetti non sono sempre positivi.
Vediamo quali sono, senza demonizzare uno strumento che ha determinato una svolta epocale nel nostro modo di lavorare e di vivere.
Ma vale comunque la pena di capire che c’è il “rovescio della medaglia”.
1. LA CAPACITÀ DI CONCENTRARCI E LA MEMORIA
Le notifiche continue di messaggi e mail, il ricorso costante ai motori di ricerca alla ricerca di informazioni, l’occhiata ai profili di amici o follower ci distraggono.
Tutti possiamo constatarlo e gli studi scientifici lo confermano.
In particolare, la ricerca di un team internazionale che ha coinvolto diversi istituti (Western Sydney University, Harvard University, Kings College, Oxford University e University of Manchester), pubblicata nel maggio 2019 su World Psychiatry, il giornale ufficiale dell’Associazione mondiale di psichiatria, ha indagato la perdita di attenzione causata da internet.
Secondo gli autori dello studio, internet può essere la causa di alterazioni acute e prolungate in specifiche aree cognitive del cervello.
In particolare avrebbe un impatto sulla capacità di prestare attenzione poiché il flusso di informazioni online in continua evoluzione incoraggerebbe una sorta di attenzione suddivisa su più fronti, a discapito di una concentrazione più focalizzata e prolungata nel tempo.
Anche i processi di memorizzazione ne risentirebbero poiché questa vasta e onnipresente fonte di informazioni online ha cambiato e sta continuamente modificando il modo in cui recuperiamo, immagazziniamo e persino valorizziamo le nostre conoscenze.
Inoltre è stato dimostrato che anche il semplice tocco dello schermo dello smartphone può provocare alterazioni neurocognitive nelle regioni corticali, ossia quelle zone del cervello che giocano un ruolo chiave nel controllo delle più importanti capacità cognitive.
Ciò avviene a causa di cambiamenti neurali associati all’elaborazione sensoriale e motoria prodotta dalla mano e dal pollice. Alcuni studi facenti capo a questa ricerca hanno poi dimostrato che l’adozione di uno stile di vita meno “coinvolgente” può accelerare la perdita della funzione cognitiva.
Il disimpegno dal “mondo reale” a favore di contesti virtuali può infatti indurre cambiamenti neurali che portano a un più rapido declino delle facoltà cognitive.
2. IL SENSO DELL’ORIENTAMENTO
Il corso annuale di geografia dell’università cominciava sempre con un capitolo dedicato alla lettura delle carte geografiche. Ora i ragazzi vanno su Google Earth.
L’abitudine a seguire pedissequamente le istruzioni del navigatore o le mappe di Google ci ha reso più inclini a ignorare i punti di riferimento circostanti.
Il risultato è che, senza una voce guida, si va facilmente in panico, oltre che perdere la strada.
Ancora. Quello del senso dell’orientamento, modificato dalla tecnologia, è un argomento molto complesso che sarà oggetto di numerosi studi futuri perché restano parecchi i punti oscuri. Di mezzo ci sono i “neuroni di posizione” (place cell), la cui attività è direttamente collegata alla posizione che il corpo occupa nello spazio.
La comprensione dei loro meccanismi è valsa il conferimento del premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 2014 a tre scienziati: John O’Keefe, neuroscienziato dello University College di Londra e la coppia norvegese formata da May-Britt ed Edvard Moser, fondatori del Kavli Institute di Trondheim, prestigioso centro di ricerca sui circuiti neurali e le basi nervose del comportamento.
La frequenza alla quale queste cellule inviano segnali elettrici aumenta quando dobbiamo rispondere alla domanda “dove mi trovo?”, accendendosi e spegnendosi come lampadine, posizionate su una mappa situata nel cervello. Ma come li modifica internet? Saremo sempre meno capaci di orientarci senza GPS?
3. LE LETTERE SCRITTE A MANO
Sostituite da mail, sms e WhatsApp, le lettere scritte a mano sono scomparse. Con loro non è svanito solo un certo “sapore” romantico, ma anche alcune connessioni cerebrali.
Secondo Audrey van der Meer, docente dell’Università norvegese della scienza e della tecnologia, il mancato apprendimento della grafia corsiva restringe il potenziale ottimale del cervello.
La scrittura a mano infatti ha un effetto sulla mente nell’ambito dell’apprendimento e del ricordo attraverso la stimolazione e la sincronizzazione delle onde cerebrali.
Nel 2020 Audrey van der Meer ha dichiarato: «Rischiamo di far perdere a una o più generazioni la capacità di scrivere a mano. La nostra ricerca e quella di altri mostrano che ciò sarebbe una sfortunatissima conseguenza dell’aumentata attività digitale».
Altri studi sulle abilità di lettura e scrittura in bambini e adulti hanno ribadito che la padronanza della scrittura a mano si basa sul coinvolgimento di una rete di strutture cerebrali le cui interconnessioni sono specifiche. Queste abilità sono anche la base per lo sviluppo di attività linguistiche più complesse, che coinvolgono la conoscenza ortografica e la composizione dei testi.
Marshall McLuhan, filosofo e sociologo canadese, ma soprattutto teorico della comunicazione dal pensiero sofisticato e visionario, già a metà degli anni Sessanta anticipava il dibattito sulla comunicazione ai tempi di internet e dei social network, ponendo l’accento sull’importanza del mezzo di comunicazione più del messaggio.
«Un messaggino virtuale», puntualizzava «non offrirà mai gli stessi stimoli sensoriale ed emotivi di un foglio di carta, strappato da un quaderno o elegante e profumato».
4. IL VALORE DELLA QUOTIDIANITÀ E IL SENSO DEL PUDORE
«Che cosa ha valore indipendentemente da ciò che appare sui social ed è più cliccato in rete?», aveva chiesto provocatoriamente Gianluca Castelnuovo, psicoterapeuta e professore ordinario di psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e Responsabile del Servizio di Psicologia Clinica all’IRCCS Istituto Auxologico Italiano-Piancavallo.
«Forse abbiamo perso il valore della quotidianità, cioè di ciò che è apparentemente semplice e scontato perché “indegno” degli applausi di internet. Al tempo stesso abbiamo perso anche il valore dell’intimità e del pudore. Sbandieriamo ai quattro venti i nostri successi, le nostre gioie e anche i nostri dolori».
Ma è veramente utile a noi e agli altri pubblicare immagini e contenuti intimi? L’esposizione della patologia è ad esempio un tema che fa molto discutere: da una parte, l’intento è quello di abbattere il tabù della malattia e della sofferenza o di sfogare la rabbia. Ma quanto può essere davvero utile e costruttivo questo modo di fare?
«Spesso si pensa che un numero elevato di like porti conforto. Ma in realtà questi like hanno un significato irrilevante. Sono click momentanei e prontamente dimenticati da chi li ha lasciati. I problemi complessi andrebbero affrontati in altra sede: nell’intimità della famiglia, degli amici o con uno specialista», risponde Castelnuovo.
«Inoltre il continuo proliferare di notizie negative su internet può sortire effetti diversi in chi legge: assuefazione, spavento oppure una vera e propria tendenza al catastrofismo. Alla mente umana tutto ciò non serve e non fa affatto bene», conclude l’esperto.
5. GLI INCONTRI REALI, UNA POSTURA CORRETTA E IL RIMPIANTO PER IL VECCHIO TELEFONO
- GLI INCONTRI REALI E IL RISPETTO DEGLI ALTRI
L’utilizzo di internet ha provocato una riduzione significativa del confronto tra esseri umani.
La perdita di relazioni reali, ossia non virtuali, ha determinato una diminuzione sostanziale di un vero confronto, cioè di un dialogo attivo.
L’uso continuo di WhatsApp, messaggi vocali e social è caratterizzato dalla mancanza di una relazione fisica con l’altro, fatta di sguardi, gesti, espressioni e risposte istantanee. Ciò ha causato la sostanziale perdita di vista del “noi” a vantaggio dell’“io”», aggiunge l’esperto.
D’altra parte, i selfie che imperversano sui social, così come l’utilizzo delle registrazioni vocali che non consentono un “botta e risposta”, sono evidenti manifestazioni del prevalere del proprio individualismo a discapito dell’interazione.
Non è tutto. Il venire meno del “noi” comporta, inoltre, anche la scomparsa dei luoghi fisici. Ci si vede in rete, non in biblioteca, al bar o in piazza. Non si va a casa dell’amico, ma ci si collega online.
- UNA POSTURA CORRETTA E LA SCHIENA... DRITTA
La connessione continua impatta anche sulla nostra postura, sottoponendo il tratto cervicale della colonna vertebrale a un carico equivalente a 27 chili, circa il peso di un bambino di 7-8 anni.
È quanto emerge da uno studio condotto da Kenneth Hansraj, primario di chirurgia spinale presso il New York Spine Surgery and Rehabilitation Medicine e pubblicato nella XXV edizione di Surgical Technology International del 2014.
Se a questo si aggiungono anche le ore trascorse davanti al computer, i rischi per la colonna vertebrale possono diventare davvero significativi.
- C’È CHI RIMPIANGE IL VECCHIO TELEFONO
C’era una volta un telefono grigio: il più famoso era il vecchio Siemens S62, un telefono fisso automatico per uso domestico a batteria centrale, che era stato prodotto dalla Sit-Siemens (nota come Siemens Auso Telecomunicazioni) nel 1962, su disegno di Lino Saltini. Si usava per telefonare.
Oggi i cellulari vengono utilizzati sì per telefonare, ma soprattutto per fare tutt’altro. L’85 per cento dei ragazzi tra 11 e 17 anni lo usa 3-6 ore al giorno, persino a scuola, per accedere ai social e alla rete.
Di solito gli adolescenti controllano lo smartphone come prima cosa appena svegli e come ultima cosa prima di addormentarsi.