“I miei genitori morirono pochi anni dopo il disastro; un mio zio, che mi ebbe in affidamento, si attivò per portarmi in viaggio in Italia. Venivo d’estate a respirare aria buona e fare il pieno di salute. Ma avevamo tutti la sensazione che fossero dei palliativi”.
Sono le parole di Saha, 37 anni, che ora vive ad Amburgo e fa l’architetto. Le ha raccolte la giornalista Stefania Divertito nel libro Chernobyl Italia (Sperling & Kupfer, 2019), con quelle di tanti altri testimoni del più grande disastro nucleare della storia: lo scoppio del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986.
Divertito racconta non solo di “eroi” russi (soprattutto i lavoratori delle squadre di emergenza), ma anche di “eroi” italiani, quelli che nel nostro Paese hanno accolto in questi 33 anni più della metà dei bambini che sono stati ospitati in Occidente, per cure sanitarie e psicologiche.
Il bilancio ufficiale della tragedia è stato condotto da un gruppo di oltre 100 scienziati ed economisti riunitisi nel 2003 a Vienna al Chernobyl Forum, organizzato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e da altre sette Agenzie specializzate dell’ONU, tra cui OMS e FAO.
Nel 2005 le conclusioni dell’incontro sono state riassunte nel rapporto L’eredità di Chernobyl: impatto sanitario, ambientale e socio-economico.
Una recente serie televisiva ha riacceso i riflettori su Chernobyl dove nel 1986 si è verificato il più grave disastro nucleare della storia: 65 morti dirette e 4.000 stimate nel prossimo futuro.
A oggi la “zona rossa” non è abitabile e non è venuta meno la contaminazione da radiocesio dei terreni agricoli e dell’acqua. Inoltre tra le vittime scampate alla tragedia serpeggiano ancora depressione, ansia e paura di ammalarsi.
1. Vittime accertate e future
I dati del rapporto dicono che le morti accertate direttamente imputabili al disastro sono 65: 3 addetti del personale di impianto, 47 liquidatori (le persone che lavorarono alla decontaminazione della centrale e del suo intorno), 15 abitanti della zona circostante l’impianto deceduti per tumore alla tiroide, tra cui 9 bambini.
Ma gli esperti del Forum hanno anche stimato che tra i lavoratori delle squadre di recupero, tra gli evacuati e i residenti nelle aree contaminate – cioè tra le circa 600mila persone che hanno ricevuto dosi di radioattività superiori rispetto a tutti gli esposti alle radiazioni di Chernobyl – 4.000 potrebbero morire nei prossimi anni.
Tuttavia, non è semplice fare delle stime perché circa un quarto di queste 600mila persone (più o meno 150mila) potrebbe morire di cancro per altre cause non collegate a Chernobyl e quindi non sarà facile osservare l’aumento del 3 per cento dei casi indotti dalle radiazioni, cioè i 4.000 decessi stimati.
«Il problema, quando si fanno queste previsioni, è legato agli effetti della radiazione, che si distinguono in due categorie: deterministici e stocastici», disse Emilio Santoro, fisico nucleare consulente dell’ENEA e docente alla Scuola di specializzazione in fisica medica dell’Università di Roma Tor Vergata.
«I primi sono effetti sull’organismo direttamente correlati alla quantità di radiazione ricevuta e le malattie che ne derivano (se si assorbono alte dosi a partire da una certa soglia) si possono manifestare fino a qualche mese dall’esposizione. Gli effetti stocastici, invece, si possono riscontrare nell’insorgenza, per esempio, di tumori fino ad alcuni anni dall’esposizione alle radiazioni, anche a dosi bassissime».
Secondo Michael Repacholi, responsabile del Programma Radiazioni dell’OMS: «Gli effetti dell’incidente sulla salute pubblica erano potenzialmente tragici. Tuttavia, sulla base delle evidenze scientifiche, non sono stati così disastrosi come ci si poteva aspettare».
Le stime attuali non si discostano infatti di molto da quelle degli scienziati sovietici nel 1986. In Bielorussia, Russia e Ucraina, durante i venti anni successivi all’incidente, la popolazione nelle aree coinvolte ha assorbito fra i 10 e i 30 milliSievert di radiazioni, soprattutto per la presenza di cesio radioattivo (radiocesio).
«In zone più ristrette si sono superati anche i 100 milliSievert», osserva Santoro. «Il dato va comunque confrontato con il fondo di radiazione naturale: in alcuni Paesi come l’India, l’Iran, il Brasile e la Cina, che hanno un fondo abbastanza alto di radiazione naturale, la popolazione può assorbire dai 100 ai 200 milliSievert nello stesso periodo di venti anni».
Nella foto sotto, la centrale nucleare di Černobyl' dopo l'esplosione del reattore 4 nel 1986.
2. Le malattie e i disturbi della psiche
Gli operatori delle squadre di soccorso che arrivarono sin dai primi minuti sul luogo dell’esplosione morirono tutti nei giorni e nei mesi successivi, uccisi dalla sindrome acuta da radiazioni, perché avevano assorbito una dose di radioattività centinaia di volte superiore ai massimi stabiliti come sicuri.
Gli abitanti che mangiarono cibo contaminato con iodio radioattivo, nei giorni subito dopo l’incidente, ricevettero dosi abbastanza elevate alla tiroide, soprattutto i bambini che consumarono latte di mucche alimentate con erba contaminata.
Il rapporto del Chernobyl Forum segnala un forte incremento dei tumori della tiroide, un tipo di cancro per fortuna curabile e raramente mortale. Non si registrano particolari aumenti di malformazioni congenite né incremento dei casi di infertilità.
Molti studi recenti rilevano anche un leggero incremento nell’incidenza della leucemia tra gli operatori delle squadre di emergenza che lavorarono in seguito sul luogo del disastro, ma non tra i bambini né tra gli adulti residenti nelle zone contaminate.
In lieve aumento anche i tumori solidi e le malattie del sistema circolatorio: secondo gli esperti, però, su queste malattie possono aver direttamente influito altri fattori come l’abuso di tabacco o di alcol, molto diffusi presso quelle popolazioni, uno stile di vita non sano e soprattutto lo stress.
Sono proprio l’ansia, la depressione e lo stress le conseguenze oggi più evidenti di Chernobyl. Le persone che abitavano nelle zone colpite hanno vissuto tutti questi anni sentendosi “vittime” e “sopravvissuti”: un atteggiamento che li ha fatti sentire indifesi, deboli e senza un futuro.
Tutto ciò, secondo i relatori del Chernobyl Forum, è sfociato o in una cautela esagerata per la propria salute o al contrario in comportamenti irresponsabili per esorcizzare la paura: mangiare funghi, bacche e selvaggina provenienti dalle zone ancora molto contaminate, abusare di alcol, tabacco e sesso promiscuo e non protetto.
Qua sotto, lo schema della centrale.
3. Le conseguenze sull’ambiente e la zona rossa
Gli ecosistemi contaminati da Chernobyl sono stati monitorati e studiati molto negli ultimi decenni.
Lo iodio radioattivo assorbito dall’erba, dalle piante, dal foraggio e penetrato anche nel latte degli animali, è decaduto in poche settimane dallo scoppio del reattore.
Non è così per il radiocesio che decade lentamente: gli animali e la vegetazione delle foreste e delle zone montagnose ne hanno assorbito grandi quantità e i livelli sono rimasti elevati in funghi, bacche e selvaggina. Il radiocesio ha contaminato anche i licheni e la carne di renna nella regione artica e subartica in Finlandia, Norvegia e Svezia.
Nelle aree agricole di Russia, Bielorussia e Ucraina è ancora presente nel latte, nella carne e in alcuni vegetali, anche se la concentrazione oggi è fuori dai livelli di sicurezza solo in poche zone. Nelle acque è concentrato solo nei laghi chiusi senza emissari, dove rimangono restrizioni sulla pesca.
La radioattività dell’aria sovrastante le zone urbane è tornata ai livelli del fondo naturale, mentre quelli dell’aria sovrastante il suolo non abitato sono rimasti elevati.
Chernobyl e l’area entro un raggio di circa 30 chilometri dalla ex centrale nucleare formano la cosiddetta “zona di esclusione”, uno dei luoghi più radioattivi della Terra, non abitabile, secondo il governo ucraino, per i prossimi 24mila anni.
Anche se la natura ne ha ripreso possesso con abbondanza di flora e fauna non è certo il “paradiso terrestre”.
Ricercatori statunitensi e francesi della Louisiana State University, dell’University of South Carolina e dell’Université Paris-Sud hanno studiato gli effetti delle radiazioni sugli animali, riscontrando una maggiore frequenza di danni genetici negli uccelli (soprattutto rondini), come penne asimmetriche, malformazioni alle zampe e dimensioni del cervello più ridotte.
4. Cos’è la radioattività e cosa provoca
Gli atomi che formano la materia sono costituiti da nuclei – in cui si trovano i protoni (cariche positive) e i neutroni (privi di carica) – e da elettroni (cariche negative) che orbitano attorno ai nuclei. In alcuni atomi, detti radioattivi, i nuclei sono instabili perché possiedono un eccesso di energia che si deve liberare: il modo con cui l’energia viene liberata si chiama radioattività.
Una sostanza radioattiva è quindi formata da un certo numero di nuclei instabili che perdono energia emettendo radiazioni (raggi alfa, beta e gamma), cioè “decadendo” progressivamente fino alla stabilità.
Essi quindi modificano nel tempo il loro stato con un processo che può durare anche migliaia di anni.
L’attività di un materiale radioattivo è il numero di disintegrazioni (decadimenti) che avvengono in un secondo e si esprime in Becquerel (simbolo Bq); mentre l’esposizione di un organismo, per esempio del corpo umano, alla radiazione (cioè la dose di radioattività che riceve) si misura in Sievert (Sv).
Le radiazioni creano nell’organismo un eccesso di radicali liberi, cioè di atomi (o molecole che sono insiemi di atomi) instabili e reattivi, che provocano reazioni indesiderate nelle cellule e nel DNA.
Nella vita assorbiamo abitualmente radiazioni (milliSievert = mSv)
- Radiazione naturale di fondo in Italia: 3,4 mSv all’anno
- Radiazione naturale di fondo nel mondo: 2,4 mSv all’anno
- Radiografia del cavo orale: 0,9 mSv per lastra
- Radiografia della colonna vertebrale: 1,7-3,2 mSv per lastra
- Radiografia toracica: 0,06 mSv per lastra
- TAC addominale: 10 mSv
- TAC del colon: 5 mSv
- Viaggio in aereo intercontinentale (per la radiazione cosmica): 0,007 mSv all’ora.
Nella foto sotto, sarcofago del reattore n° 4 della centrale nucleare di Černobyl' nell'agosto 2013.
5. Cosa abbiamo imparato dal disastro di Chernobyl?
Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sono 450 i reattori nucleari attivi nel mondo; forniscono 2.563 terawatt di energia elettrica all’ora (1 terawatt = mille miliardi di watt).
Gli impianti sono concentrati in 29 Paesi (183 in Europa). A questi reattori se ne aggiungono 55 in costruzione, specie in Asia.
Le centrali nucleari di prima generazione sono state smantellate, quelle ora attive nel mondo sono di seconda generazione e molte saranno a breve sostituite perché vecchie, mentre buona parte di quelle in costruzione appartiene alla terza generazione.
Il consumo totale di elettricità nel mondo è destinato a crescere del 45 per cento entro il 2040, secondo un rapporto redatto da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston (USA).
Ciò comporterà sempre più emissioni di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera se non si troveranno fonti energetiche alternative al fossile (petrolio, carbone, metano). L’energia nucleare, dicono gli scienziati del MIT, è essenziale per garantire al pianeta un futuro senza emissioni di CO2 o con emissioni il più possibile ridotte.
Nella foto sotto, Chernobyl è diventato meta di gite. Anche se la zona di esclusione compresa in un raggio di 30 chilometri dalla ex centrale non è abitabile, ogni anno la visitano molti turisti accompagnati da guide specializzate.
Tuttavia, anche le riserve di uranio sono destinate a esaurirsi sulla Terra. Ma il problema principale, attualmente, è la produzione di scorie radioattive legata alla tecnologia basata sulla fissione nucleare.
Al di là delle conseguenze drammatiche di incidenti nucleari, che la preparazione degli operatori e la sicurezza degli impianti dovrebbero sempre più essere in grado di scongiurare, va considerato che la vita media di una centrale nucleare di seconda generazione è di 25-30 anni (60 per quelle di terza generazione), dopo i quali l’impianto va smantellato, il terreno bonificato e le scorie stoccate adeguatamente.
Nella foto sotto, palazzi della città fantasma di Pripyat, a due chilometri di distanza dall’impianto di Chernobyl, forzatamente abbandonata dai suoi abitanti dopo il disastro.
«Sono necessari cambiamenti importanti per aumentare la sicurezza e ridurre i costi del nucleare», commentano gli scienziati del MIT. Allo studio c’è anche la quarta generazione di reattori: produrranno meno scorie che avranno tempi di decadimento (cioè di smaltimento naturale della radioattività) più brevi.
Ma nel futuro del nucleare non c’è solo la fissione: si guarda alle tecnologie per la fusione nucleare (lo stesso processo che avviene nel Sole), che non produce scorie e non usa come combustibile l’uranio ma il deuterio (lo 0,01 per cento dell’idrogeno presente ovunque in natura), più facile da reperire.
È il caso del progetto internazionale ITER e, in Italia, del progetto DTT (Divertor Tokamak Test). Ci vorranno però ancora decenni, secondo gli esperti, prima di vedere in funzione questi impianti, che generano temperature elevatissime (milioni di gradi) ancora molto difficili da gestire con le tecnologie oggi in uso.
Qua sotto, la centrale nucleare di Cruas-Meysse (Francia) è stata inaugurata nel 1984-1985: è dotata di 4 reattori nucleari da 900 MW, per un totale di 3.600 MW.
Note
25-26 APRILE 1986: CRONACA DELLA CATASTROFE
- 25 aprile 1986, ore 1:00
Il reattore RBMK dell’unità 4 della centrale nucleare di Chernobyl deve essere fermato per manutenzione ordinaria.
Gli ingegneri decidono di effettuare un test di sicurezza sulla parte non nucleare dell’impianto: vogliono capire se, nella necessità di far fronte a una situazione d’emergenza, le turbine riescano a produrre elettricità per mantenere attive le pompe di raffreddamento finché non entrino in funzione i generatori di emergenza.
- Ore 14:00
Il sistema di raffreddamento d’emergenza è disabilitato per non interferire con il test, rinviato per soddisfare le richieste energetiche del Paese.
- Ore 23:10
Si prosegue. Gli operatori vengono sostituiti con il meno esperto personale notturno.
- 26 aprile, ore 00:28
La potenza del reattore scende molto al di sotto della soglia di sicurezza. Per alzarla, si decide di rimuovere le barre di controllo in grafite nel nocciolo del reattore, violando le norme di sicurezza. Il sistema di spegnimento automatico e altre misure di sicurezza vengono rimosse per evitare interferenze.
- Ore 01:23
Inizia il test. La potenza del reattore aumenta troppo. Un operatore schiaccia il bottone di spegnimento di emergenza che dovrebbe reinserire le barre di controllo e riportare il reattore ai giusti livelli. Il reinserimento è inefficace.
- Ore 01:23’ 58”.
Si verifica la prima esplosione, seguita da una seconda che fa saltare la copertura da 1.000 tonnellate del reattore.