Chi beve birra campa 100 anni: scopriamo il perché

Questa storia ha inizio oltre 2.000 anni prima della nascita di Cristo.

Siamo in Mesopotamia, quel lembo di terra che oggi corrisponde pressappoco all’Iraq, e che allora era abitato da Sumeri, Assiri e Babilonesi.

Un povero contadino coltiva cereali con cui produce una primordiale farina, utilizzata per cuocere dei pani col calore del sole. Un giorno viene colto di sorpresa da un acquazzone. Si mette al riparo, ma dimentica a bordo campo la ciotola con il pane destinato al suo pranzo.

La ciotola si riempie d’acqua, trasformando il pane in una densa poltiglia. Passata la pioggia, il sole torna a splendere e il contadino riprende il lavoro. Nel frattempo il calore aumenta e la poltiglia inizia a fermentare in modo spontaneo.

Quando il contadino ritrova la ciotola, l’acqua ormai si è trasformata in un liquido dal profumo strano. Il contadino decide di berla e scopre che quell’acqua non ha un sapore malvagio.

Non solo: quel liquido ha un benefico effetto sul suo umore. È così che probabilmente è nata la birra.

La birra previene l’invecchiamento cellulare, protegge il cuore, migliora la circolazione e riequilibra il colesterolo. Non solo: è un buon antinfiammatorio e pare contrastare l’Alzheimer.

Questi e altri sono i benefici offerti da un moderato consumo di birra di qualità, una bevanda dalle origini antiche ancora oggi molto apprezzata. Ve ne raccontiamo storia e curiosità.

1. Tutto inizia nel 2500 a.C. Nel Medioevo e un editto per la purezza

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I primi documenti in cui si fa riferimento a una bevanda simile alla birra risalgono al 2.500 a.C.

In particolare su una stele sumera vengono descritte diverse tipologie di birra offerte alle divinità in occasione di riti religiosi.

 

Altri documenti permettono invece di scoprire come anche gli Egizi fossero abituali consumatori di una bevanda prodotta dalla fermentazione spontanea di acqua e cereali.

Nel loro caso, però, per rendere il sapore più gradevole, essa era aromatizzata con i lupini. Lo Zythum, questo era il suo nome, era così diffuso da essere considerato la bevanda nazionale. Diluito con acqua e miele, era usato per svezzare i bambini.

In Italia, invece, furono gli Etruschi i primi a produrre la birra. Mentre ai Romani va dato il primato di essere stati i primi al mondo ad aprire locali pubblici dove consumarla: i primi pub della storia.

Il vero salto di qualità, però, arriva con il Medioevo. A quel tempo i più esperti mastri birrai erano i monaci, come quelli dell’abbazia di Weihenstephaner, a Monaco di Baviera.

A loro spetta il merito di aver introdotto nella ricetta il luppolo, ancora oggi utilizzato in tutti i birrifici del mondo. Le infiorescenze di questa pianta rampicante donano alla birra il caratteristico sapore amarognolo, svolgendo anche un’importante azione antisettica e conservante.

Il 1516 è una data importante nella storia della birra. In quell’anno, infatti, in Baviera viene promulgato il Reinheitsgebot, o editto della purezza, con cui Guglielmo IV stabilisce che la birra può essere prodotta solo con tre ingredienti: malto d’orzo, acqua e luppolo.

Chiunque disubbidisce a questo decreto viene punito con la confisca di tutti i barili di birra. Questo editto sarà abolito solo nel 1992, anno in cui l’Europa obbliga la Germania ad adeguarsi alle normative comunitarie.

Nei suoi oltre 400 anni di vita, il Reinheitsgebot è modificato solo con l’aggiunta del lievito come quarto ingrediente. La scoperta dei lieviti, del resto, rappresenta un punto di svolta nella produzione della birra.

È infatti grazie agli studi del chimico francese Louis Pasteur (1822-1895), che si scopre il ruolo di questi minuscoli organismi e, soprattutto, è possibile selezionare ceppi specifici come i Saccharomyces Carlsbergensis, ancora oggi utilizzati.

Devono il loro nome originale alla birreria danese Carlsberg, dove sono isolati per la prima volta.

2. Pochi ingredienti e la produzione

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Gli ingredienti principali della birra sono solo due. L’acqua, che in termini di quantità è quello più importante in assoluto, rappresenta oltre il 90 per cento del prodotto finito, e il malto.

Quest’ultimo è il risultato di una lavorazione a cui sono sottoposti i cereali come l’orzo che vengono prima fatti germogliare per poi essere essiccati.

Il processo di maltazione è fondamentale perché permette di trasformare l’amido contenuto nei semi in zuccheri solubili in acqua. Il gusto finale della birra, e tutte le sue caratteristiche, come il colore, l’aroma e la corposità, derivano principalmente dalla qualità dei malti.

La gamma è molto ampia, da quelli utilizzati per produrre birre chiare e beverine, a quelli che invece danno vita a versioni scure o scurissime. Il malto, ridotto in una farina grossolana, viene diluito in acqua calda secondo un preciso rapporto.

In alcuni casi, oltre al malto d’orzo sono aggiunte anche altre farine, prodotte da cereali diversi, maltati o non, come il mais, il frumento o perfino il riso. Questa miscela prende il nome di mash o mosto.

Passato in una caldaia, il mash viene lentamente mescolato e riscaldato fino a raggiungere una temperatura di oltre 60 gradi. In seguito, dopo una prima filtrazione per eliminare le impurità, è fatto bollire e addizionato con il luppolo, in proporzioni differenti a seconda del tipo di birra che si vuole ottenere.

L’ultima fase è la fermentazione, durante la quale gli zuccheri contenuti nel mosto sono trasformati in alcol. E qui le possibilità sono due. Si parla infatti di alta o bassa fermentazione.

La prima si svolge a una temperatura compresa tra 16 e 23 gradi. In questo caso l’azione del lievito è molto rapida e si conclude nell’arco di 3 o 4 giorni. Le birre ad alta fermentazione hanno sapori e aromi particolarmente intensi e in genere sono le più ricercate dagli appassionati.

Le birre a bassa fermentazione, al contrario, sono più comuni e si producono tra i 5 e gli 8 gradi. I tempi di produzione si allungano: per portare a compimento la fermentazione possono essere necessarie anche due settimane.

Rispetto a quelle ad alta fermentazione, le birre a bassa fermentazione sono più semplici e beverine, più leggere e fragranti. Al termine della fermentazione alcolica, le birre riposano in serbatoi a temperatura controllata per alcune settimane, in attesa di una completa maturazione.

A questo punto la birra è pronta e può essere filtrata o meno, e messa in bottiglia, lattina o fusti.

3. Questione di stile

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Se siete tra quelli che dividono il mondo della birra semplicemente in “bionda o rossa”, è tempo di ricredervi.

Al pari del vino, infatti, anche tra le birre si possono distinguere centinaia di tipologie differenti. In questo caso si parla di “stili”.

Per i veri conoscitori, lo stile rappresenta una carta d’identità della birra che definisce il colore, il sapore, la gradazione alcolica, gli ingredienti, il metodo di produzione e la ricetta.

Lo stile, inoltre, è legato in modo indissolubile alla storia e alle origini della birra.

La moderna teoria degli stili è in gran parte basata sul lavoro di Fred Eckhardt, uno scrittore americano, autore di una guida intitolata The Essentials of Beer Style, pubblicata nel 1989 e considerata la pietra miliare per la classificazione internazionale delle birre.

Per imparare a destreggiarsi tra i diversi stili occorrono anni di pratica. Anche perché, purtroppo, il mondo della birra, o brassicolo, come si dice in gergo, è anarchico e di conseguenza è difficile dare una definizione univoca agli stili.

Ogni mastro birraio ama sperimentare, interpretando gli stili di base a proprio piacimento. Spesso creando birre nuove e innovative. Volendo semplificare, quindi, il mondo delle birre può essere suddiviso in tre macro famiglie, a seconda della tecnica produttiva.

Ci sono le Lager, a bassa fermentazione, comuni soprattutto in Germania, le Ale, da alta fermentazione e originarie della Gran Bretagna, e le più particolari, le cosiddette birre Lambic, a fermentazione spontanea, originarie del Belgio e caratterizzate da aromi molto particolari.

4. C’è birra e birra

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Questa semplice classificazione non è sufficiente. In una carta delle birre ben fornita, infatti, gli stili proposti possono essere numerosi e una scelta sbagliata può rivelarsi disastrosa.

In ordine crescente di intensità, chi vuole andare sul sicuro può puntare su una Pils o Pilsner. Di origine nordeuropea a bassa fermentazione, è chiara e rinfrescante.

Non molto alcolica, attorno ai 5 gradi, tende a essere piuttosto luppolata, dunque amara, ed è

 piuttosto frizzante. Salendo di livello si passa alla cosiddetta Bock. Uno stile che comprende birre chiare e scure e si suddivide in Bock e Doppelbock, Maibock o Helles, e Eisbock.

Non eccessivamente amara, è meno frizzante della Pils. Le Weisse, o Weizen, sono in genere le prime birre che ogni neo appassionato prova dopo aver sperimentato le Lager.

Ciò che le rende inconfondibili è lo spiccato profumo di banana, oltre a un aspetto opalescente che non permette di vedere attraverso il bicchiere. Ad alta fermentazione, la loro base è frumento. Se ne distinguono diverse varianti, come la Hefeweizen, la Dunkelweizen o la Berliner Weisse.

Salendo ancora di livello si arriva alle cosiddette birre Trappiste. Di antica origine belga, vengono ancora oggi prodotte in monasteri gestiti da monaci trappisti.

A questa categoria appartengono le Dubbel, le Tripel, le Belgian Strong Golden Ale e le Belgian Strong Dark Ale. In comune hanno l’alto tenore alcolico e il moderato gusto amaro.

Le IPA, ossia le Indian Pale Ale, sono invece le birre più di moda in questo momento. La loro caratteristica principale è di essere prodotte utilizzando un’elevata quantità di luppolo. Questo le rende particolarmente amare e dissetanti.

Essendo molto richieste, oggi non esiste praticamente nessun birrificio che non le proponga, spesso usando tecniche e ingredienti particolari. Ancora più estreme sono le Porter e le Stout, birre scurissime prodotte grazie a malti tostati.

Hanno aromi inconfondibili di caffè o di cioccolatoe rispetto a tutte le birre precedenti, presentano un’effervescenza più scarsa. La Stout ha un colore scuro, a volte scurissimo: quando viene versata, si ricopre di una schiuma color nocciola densa e persistente.

Tra le birre ad alta fermentazione è certamente una delle più complesse e scorre a fiumi nei pub inglesi e irlandesi. A livello globale questo stile è legato al marchio Guinness, la birra irlandese più venduta al mondo.

Anche tra le Stout si possono distinguere diversi sotto stili, come la Sweet Stout, la Chocolate Stout, Imperial Stout, ma soprattutto la Oyster Stout, così chiamata perché tradizionalmente viene proposta in abbinamento alle ostriche (con buona pace dei raffinati sostenitori dello Champagne).

Riservate ai palati più esperti, infine, le Lambic sono birre a fermentazione spontanea originarie del Belgio. Non è detto che la prima impressione sia positiva: le Lambic, infatti, hanno come caratteristica dominante una forte acidità e un’asprezza importante.

Per questo spesso sono addolcite con la frutta: come la Framboise, aromatizzata con lamponi, la Kriek, con ciliegie fresche, o la Peche, con pesche.

Sono Lambic anche le Faro, prodotte aggiungendo al mosto dello zucchero caramellato che in parte smorza il gusto acidulo, e le Gueuze che si ricavano dall’unione di Lambic stagionate in botte e birre giovani. C’è chi ama stappare una Lambic come aperitivo o per accompagnare pranzi e cene.

In Belgio sono abbinate a formaggi freschi e salmone affumicato. In Italia, si potrebbe provare a sostituire il buon vecchio calice di Lambrusco con un bicchiere di Lambic accanto al classico gnocco fritto con i salumi.





5. Bevuta con moderazione, fa bene a tutto e non ingrassa

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La birra è sempre stata considerata un toccasana, se consumata con moderazione.

La parola chiave è proprio moderazione perché l’alcol, pur basso nella maggior parte delle birre, rischia di causare più di qualche problema al fegato, costringendolo a un super lavoro.

Gli effetti positivi della birra sono in larga parte dovuti alla presenza del luppolo, un concentrato di antiossidanti, in particolare i flavonoidi, utili a prevenire l’invecchiamento cellulare.

È invece merito dello xantumolo, un altro antiossidante, se alla birra viene anche riconosciuto il merito di proteggere il cuore, migliorando la circolazione sanguigna e contribuendo a riequilibrare il colesterolo buono con quello cattivo.

Grazie al suo benefico effetto sul muscolo cardiaco e sull’apparato circolatorio in generale, inoltre, un moderato consumo di birra può contribuire anche al controllo dell’ipertensione e a prevenire i più comuni problemi vascolari.

La birra ha inoltre proprietà antinfiammatorie e, aumentando la sensibilità all’insulina, può in qualche misura contrastare l’insorgere del diabete. Fa inoltre bene allo stomaco, migliorando la digestione, e ai reni, favorendo la diuresi.

C'è poi chi sostiene che sia in grado di prevenire l'osteoporosi, di ridurre i sintomi della menopausa e addirittura di proteggere il cervello da patologie come l’Alzheimer.

Da sempre considerata un alimento, prima ancora che una bevanda dissetante, apporta una moderata quantità di calorie. Si stima che in una classica birra chiara media, ossia un bicchiere da 40 cl., le calorie siano circa 130-140. Questo valore è destinato a salire se la birra è più complessa e alcolica.

In generale sarebbe sempre meglio preferire una buona birra artigianale, di alta qualità, non pastorizzata o, come dicono gli esperti, cruda per mantenere inalterate tutte le sue proprietà.

 

L’importanza della schiuma
Un tradizionale proverbio del Sud Tirolo recita: “Una birra senza schiuma è come una signora senza ornamenti”. Nonostante molti si ostinino a chiedere al barista una birra senza schiuma, è bene ricordare che il morbido cappello di bollicine non è un inutile “elemento collaterale”.
La schiuma, infatti, ha un importante effetto protettivo e deve essere sempre presente. Per favorire la sua formazione, gli esperti consigliano addirittura di risciacquare il bicchiere con acqua fredda prima di versare la birra.
Ciò permette di eliminare le impurità dal vetro e, abbassandone la temperatura, fa sì che la schiuma abbia una maggior persistenza.








Note

UN PO’ DI NUMERI

Nel 2018 l’Italia ha prodotto 16,8 milioni di ettolitri di birra
- 3 milioni di ettolitri sono stati esportati, principalmente verso Gran Bretagna, USA e Sudafrica.
- 7 milioni di ettolitri sono invece stati importati dall’estero. L’Italia produce poco più del 3% del totale europeo.
- Il fatturato annuo è di 3,1 miliardi di euro, in costante crescita.
- Il consumo medio pro capite di birra in Italia è di circa 33,6 litri l’anno. Di questi, solo il 36% viene consumato fuori casa.

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