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Chi ha paura del lupo?

I lupi sono aumentati nel nostro Paese, ma non tutti sono contenti e c’è chi ha persino proposto di abbatterli o autorizzare i cittadini a sparare per “legittima difesa”.

Per fortuna la specie continua a essere protetta dalla legge, ma non può essere ancora considerata fuori pericolo.

Le principali minacce sono l’ibridazione con il cane, il bracconaggio, le collisioni coi veicoli e le malattie.

Il lupo è tornato a ricolonizzare gran parte della penisola italiana, dopo decenni di assenza.

Per questo è necessario imparare di nuovo a conviverci. Vediamo come.

1. Quanti sono i lupi in Italia?

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Il Gruppo Lupo stima che siamo circa 1.500 - 2.000 sparsi in tutto il Paese, dalle Alpi all'Aspromonte, escluse soltanto le grandi e le piccole isole.

Hanno riconquistato, in fondo, quasi tutti i loro territori d'un tempo. Come sono stati calcolati?

Trattandosi di grandi animali in continuo movimento su vasti territori, fare un vero censimento, contandoli uno per uno, è impossibile. Inoltre, è difficile distinguere i veri lupi dai cani vaganti, randagi e inselvatichiti. O anche dagli ibridi, assai diffusi.

L'unico metodo valido è quello di calcolare il numero e l'entità dei branchi. Il lupo non è un animale solitario e vive, come si sa, in branchi; gruppi familiari allargati, e bene organizzati.

In un branco tipico ci sono i capi, un maschio e una femmina dominanti, detti lupi alfa, che guidano il gruppo dei gregari: sono i loro cuccioli e i giovani nati in precedenza, che dopo qualche anno si allontaneranno per formare nuovi branchi.

I capi guidano il branco e hanno la precedenza anche nella scelta del cibo migliore. Una volta catturata la preda, sono i primi a nutrirsene: perché sono loro che affrontano le fatiche e i rischi maggiori, e da loro dipende la sopravvivenza di tutto il branco.

Debbono quindi essere forti, in perfetta salute, obbediti e seguiti da tutti gli altri. Di quanti individui è composto un branco? Non esistono regole fisse, dipende soprattutto dalle prede a disposizione, che debbono inseguire, e cacciare.

In Italia un branco conta di solito 7-8 individui, perché si rivolge a prede come caprioli, cerbiatti e giovani cinghiali, o animali di media taglia. Ma nei Paesi nordici, dove le prede sono assai più grandi, come l'alce, il bisonte o addirittura il bue muschiato, si possono incontrare branchi di 15-16 lupi.

Nei periodi più difficili e nei luoghi più poveri di fauna, la situazione cambia radicalmente. E se un branco viene distrutto dall'uomo, può accadere che qualche lupo sopravvissuto sia costretto a procurarsi il cibo da solo, cercando prede più piccole, rastrellando il terreno e accontentandosi anche di un topo o di qualche insetto.

Mezzo secolo fa, nelle montagne dell'Appennino i lupi erano stati ridotti a tal punto, che quelli miracolosamente scampati a trappole, veleni e fucilate riuscivano a nutrirsi soltanto nelle discariche dei rifiuti. Oggi, per fortuna, la situazione è molto diversa, perché pian piano gli erbivori stanno ripopolando gran parte del territorio.

C'è chi dà ai lupi la colpa di tutti i danni al bestiame domestico; spesso, invece, si tratta dell'opera di cani randagi, senza padrone o rinselvatichiti. Sono moltissimi, quasi un milione in Italia: l'uomo li ha abbandonati, o non li controlla adeguatamente.

Inoltre, ci sono gli ibridi: lupo e cane sono la stessa specie e perciò interfecondi, cioè in grado di accoppiarsi e di produrre prole fertile. Se, di fronte a una famiglia di lupi, il cane fugge o soccombe, la situazione cambia quando l'uomo distrugge il branco e resta solo qualche superstite.

Durante le esplorazioni invernali del Gruppo Lupo nei luoghi più remoti, si è potuto osservare più di una volta che una femmina di cane da guardia, tenuta come custode in un rifugio montano dell'Appennino, in primavera dava alla luce una cucciolata di bellissimi lupacchiotti pieni di vita.

La ragione era evidente: per qualche lupo solitario, vagante alla ricerca di cibo, l'attrazione era stata irresistibile.

2. È pericoloso per l’uomo?

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Anche se favole, leggende e tradizioni locali narrano di lupi pericolosi, capaci anche di assalire sfortunati viandanti, in realtà il lupo teme l'uomo e lo evita.

Si muove nelle ore buie, nel fitto del bosco o al riparo degli alberi e delle rocce, in modo da osservare senza essere visto, fiutare prede e pericoli prima di essere notato, e percorrere il suo territorio senza che nessuno se ne accorga. Il potente olfatto lo avverte se c'è qualcuno nei dintorni.

Approfondendo le ricerche storiche, si scopre che in Italia nell'ultimo secolo non sono documentati veri casi di aggressioni o uccisioni di uomini da parte dei lupi, mentre ci sono episodi di persone ferite, o uccise, per opera di cani inselvatichiti, o persino domestici.

Ciò non toglie che il lupo adulto sia un animale robusto, dotato di forti denti e capace, qualora sia necessario, di fronteggiare qualunque avversario, anche di taglia maggiore. Merita quindi pieno rispetto e non va mai avvicinato troppo, né provocato in alcun modo.

Perché, in certe situazioni, il suo atteggiamento potrebbe di colpo cambiare: per esempio, una madre con i cuccioli, o un lupo allevato dall'uomo (che quindi non lo teme, ma associa l'odore umano al cibo), potrebbero diventare pericolosi.

3. Il progetto arma bianca

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Il ritorno del lupo in gran parte dell'Italia ha risvegliato paure ataviche e suscitato preoccupazione nel mondo della pastorizia.

Come proteggere gli alti pascoli quando si ripopolano, ogni primavera, grazie alla transumanza delle greggi e al ritorno delle vacche, dopo aver trascorso l'inverno nelle pianure?

Le soluzioni sono la sorveglianza, le recinzioni dei ricoveri notturni e metodi di dissuasione, come una forte illuminazione o periodici colpi di cannone a salve.

Ma il miglior modo di proteggere le greggi resta un grosso cane candido, detto da pastore o da pecora, il possente mastino abruzzese: una vera "arma bianca", capace di prevenire gli attacchi non solo dei lupi, ma anche degli orsi e dei cani randagi.

Il mastino abruzzese, inconfondibile per il folto mantello bianco, rappresenta un mezzo efficace, economico e pratico di difesa degli animali domestici: vive tra le pecore senza avere gli atteggiamenti aggressivi degli adulti di altre razze canine, è un custode fiero e sicuro.

Grazie al fiuto e all'esperienza, avverte subito ravvicinarsi del pericolo e invia chiari segnali di avvertimento e minaccia ai potenziali nemici, spaventando i predatori e riuscendo quasi sempre a bloccarli e a metterli in fuga. Forte e robusto, è il guardiano ideale perché difensivo e non aggressivo.

Questa antica razza, discendente da un ceppo giunto migliaia di anni or sono dall'Asia, al seguito dei pastori nomadi, è frutto di lunga selezione genetica e di rigoroso addestramento, e veniva già impiegata dai Sanniti molto prima dell'arrivo dei Romani.

Il vero cane da pastore abruzzese è spesso confuso con quello maremmano, che rappresenta una razza diversa, più adatta a vivere nei giardini che tra le gelide vette rocciose.

Lanciato nell'anno 1997 nel Parco Nazionale d'Abruzzo, in occasione del 75° compleanno del più antico e famoso Parco d'Italia, il Progetto Arma Bianca avviò un allevamento dei migliori cani da guardia per le greggi; i cuccioli venivano affidati ai pastori pronti a collaborare, rinverdendo le autentiche tradizioni d'Abruzzo.

La fama di questa pacifica e preziosa "arma bianca" si diffuse in molte parti del mondo, anche negli Stati Uniti d'America fu impiegato dagli allevatori.

Persino dalla Norvegia, nel 2000, una delegazione di allevatori venuta dalla regione settentrionale di Lieme, al confine con la Svezia, volle adottare il mastino abruzzese: decise di allevarlo e diffonderlo, soprattutto in alcuni solitari comprensori naturali, che sono stati poi trasformati in Parchi Nazionali.

Così, se qualcuno esplorando le fredde foreste del "grande Nord" incontrasse un giorno un bel cucciolo bianco candido, capirà che si tratta del Cane pastore, signore delle montagne abruzzesi.

4. Effetto lupo: cascata trofica

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Quando nel 1995 il lupo venne reintrodotto, dopo oltre mezzo secolo di assenza, nel Parco Nazionale di Yellowstone (Usa), si constatarono importanti trasformazioni nell'ecosistema.

Si stava verificando una "cascata trofica", ossia un processo ecologico che parte dall'apice della catena alimentare e produce conseguenze fino alla base.

Così, il ritorno del lupo cambiò non solo il comportamento dei grandi cervi wapiti e delle altre prede, ma anche la flora e la vegetazione, la biodiversità e lo stesso corso dei fiumi.

In assenza del lupo, i cervi si erano moltiplicati eccessivamente e per nutrirsi avevano fortemente impoverito la vegetazione delle rive dei fiumi facendo scomparire anche la fauna a essa legata: mammiferi, uccelli insetti e molti altri invertebrati.

Quando i lupi ritornarono, attaccarono i cervi comodamente insediati vicino all'acqua, ne ridussero il numero, ma soprattutto li costrinsero a muoversi allontanarsi e rifugiarsi in zone boscose e impervie.

Gli alberi ripresero a crescere sulle rive dei fiumi, formando nel giro di pochi anni una foresta di salici e pioppi tremoli dove ritornarono molte specie di uccelli e persino i castori.

Questi attivissimi animali abbatterono alberi e costruirono con i tronchi le loro tane nelle dighe sul fiume, rallentando così la discesa impetuosa delle acque.

Si formarono quindi alcuni piccoli bacini di acque calme, adatti a ospitare molte specie di anfibi, rettili, insetti e molluschi che stavano scomparendo.

Questi nuovi ambienti richiamarono anche altri animali che da tempo non si vedevano. Ricomparvero lontra, ratto muschiato, bisce, rane, tritoni, e anche libellule e coleotteri.

Con tante prede a disposizione, ritornarono altri predatori: volpi, tassi, donnole e falchi. I resti delle prede, divorate in parte, attrassero cornacchie, aquile, e persino orsi neri e grandi grizzly.

Anche il fiume cambiò, circondato da una selva riparia che lo manteneva nell'alveo, assicurava l'equilibrio idrogeologico e ospitava una comunità vegetale e animale in piena attività.

Chi ritornava sul posto dopo anni di assenza non credeva ai propri occhi: ora c'era un piccolo paradiso ricco di vita, suoni e colori.



5. Abbiamo fatto GOLL!

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A un paio d’ore d’auto da Roma, tra le montagne più boscose e remote, si celano ancora gli ultimi discendenti della straordinaria fauna, un tempo diffusa in tutta Italia, i grandi predatori: orso, lupo e lince.

Mezzo secolo fa, la parola d’ordine era eliminarli, e ben pochi si schieravano in loro difesa.

La situazione sembrava davvero disperata, ma fu proprio allora che, a Roma e nel Parco Nazionale d’Abruzzo, sorsero squadre di volontari pronti a difendere gli animali più minacciati.

Nacquero così il Gruppo Lupo (1974); il Gruppo Orso (1983), per salvare gli ultimi plantigradi della Penisola; e infine il Gruppo Lince (1993), per far luce sul mistero dell’inafferrabile felino.

Qualche tempo fa, i tre gruppi, consapevoli di combattere battaglie parallele, si sono uniti nel GOLL, per avere maggior forza, e convincere tutti a rispettare i grandi predatori.

In bocca al lupo!
Il detto “In bocca al lupo!" è un augurio fatto a chi deve sostenere un esame o superare una prova. L’atteggiamento ostile al lupo ha coniato una risposta poco rassicurante: “Crepi il lupo!”.
Ma in realtà quell’augurio non aveva nulla di negativo, perché traeva origine dalla profonda conoscenza della vita del predatore: quando la lupa trasporta i propri cuccioli da un nascondiglio all’altro, li afferra delicatamente nelle fauci e poi li depone al suolo con tenerezza.
In quei momenti l’amore materno domina e da quei robusti denti non c’è proprio nulla da temere. E allora, la migliore risposta è: “Viva il lupo!"






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