Da “Veni, vidi, vici”, frase pronunciata da Cesare più di duemila anni fa, a “Libera Chiesa in libero Stato” attribuita al conte di Cavour a Italia unificata.
Sono tante le espressioni che sono diventate per tutti veri e propri modi di dire.
Ecco le dieci più famose.
1. "Veni, vidi, vici" e "Eppur si muove"
- Veni, vidi, vici (Andai, vidi e vinsi), Cesare, 100-44 a.C.
Quando si raggiunge un obiettivo con sorprendente rapidità e facilità, non è raro che si ricordino le parole pronunciate più di duemila anni fa da Gaio Giulio Cesare:
«Veni, vidi, vici» (in sostanza: “Sono andato, ho visto e ho vinto”).
Bastarono queste poche lettere, infatti, a Cesare per avvisare il Senato romano della vittoria dei suoi legionari contro l’esercito di Farnace II, re del Ponto (una parte dell’attuale Turchia).
Nel 47 a.C. Farnace, approfittando della tempestosa guerra civile tra i sostenitori di Cesare e quelli di Pompeo (sconfitto l’anno precedente a Farsalo in Grecia e ucciso poco dopo in Egitto, dove si era rifugiato), tenta di allargare i propri confini e di liberarsi dal controllo romano.
Le legioni comandate abilmente da Cesare, però, piombano in Turchia e in cinque ore circondano e annientano l’esercito di Farnace (battaglia di Zela, oggi Zila).
- Eppur si muove! Galileo Galilei, 1564-1642
L’affermazione è attribuita a Galileo Galilei, ma in realtà fu inventata nel Settecento da Giuseppe Baretti, autore di una biografia dello scienziato destinata al pubblico inglese.
Galilei, uscendo dal Tribunale del Sant’Uffizio dopo aver abiurato la teoria eliocentrica, sibila a bassa voce «Eppur si muove!»: ciò che si muove è la Terra attorno al Sole (e non viceversa, come sostenuto nella teoria geocentrica o tolemaica).
Ma Galileo, per evitare il carcere, disse alla corte di ritenere «per verissima e indubitata l’opinione di Tolomeo». La frase si usa ancora oggi quando si dubita delle assicurazioni fornite da una persona.
2. "O tempora. O mores" e "Impossibile non è parola francese"
- O tempora. O mores! (Che tempi! Che costumi!), Cicerone, 106-43 a. C.
Nel 63 a.C. il senatore Lucio Sergio Catilina ordisce una congiura per rovesciare la Repubblica romana e ottenere il consolato.
L’amante di uno dei congiurati svela il piano a Marco Tullio Cicerone che convoca il Senato per denunciare Catilina.
Il grande oratore esordisce con la celebre frase «Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?» (Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?): l’incipit cattura l’attenzione dei senatori e identifica il colpevole (Catilina, vedendosi scoperto, scapperà da Roma dopo la seduta del Senato).
L’orazione prosegue in un crescendo incalzante di accuse; Cicerone, adirato, deplora la corruzione del presente ed esclama «O tempora! O mores!» (Che tempi! Che costumi!), un’espressione di sdegno usata ancora oggi.
- Impossibile non è parola francese! Napoleone, 1769-1821
Nel 1813 rispondendo a una lettera del governatore del Magdeburgo, il conte Lemarois, in cui gli veniva fatta presente l’impossibilità di raggiungere un certo obiettivo, Napoleone Bonaparte conia la baldanzosa frase: «Le mot impossible n’est pas français».
La frase, tradotta come “Impossibile non è parola francese”, è stata utilizzata in numerose varianti (“Nel mio dizionario non esiste la parola impossibile”...) e anche al giorno d’oggi è di grande efficacia: lo slogan della casa sportiva Nike, per esempio, ricalca il motto napoleonico “Impossible is nothing”.
3. "Parlo in spagnolo a Dio, in italiano alle donne, in francese agli uomini e in tedesco al mio cavallo" e "Lo Stato sono io"
- Parlo in spagnolo a Dio, in italiano alle donne, in francese agli uomini e in tedesco al mio cavallo! Carlo V, 1500-1558
La celebre massima dell’imperatore spagnolo Carlo V rivela i gusti dell’uomo del Rinascimento: già nel XVI secolo, infatti, l’italiano veniva considerato la lingua del corteggiamento e della seduzione, mentre il tedesco quella dei rimproveri e dei comandi.
Il francese, invece, era all’epoca il linguaggio della diplomazia e veniva parlato in tutte le corti d’Europa (una lingua utilizzata per comunicare tra persone di diversi Paesi viene detta, infatti, “lingua franca” proprio a causa del termine “francese”; per noi oggi la lingua franca internazionale è l’inglese).
Carlo V, tuttavia, non si limitava a trattare con le corti europee; il suo dominio, infatti, si estendeva su tre continenti (Europa, Sud America e Africa) e proprio per questo gli è stata attribuita la nota affermazione “Sul mio regno non tramonta mai il sole” (quando il sole tramontava in Europa, infatti, sorgeva nei possedimenti coloniali dei conquistadores).
- Lo Stato sono io! Luigi XIV, 1638-1715
Con la frase «Lo Stato sono io», attribuita al Re Sole, Luigi XIV di Francia, si sottolineava il fatto che i poteri dello Stato fossero accentrati unicamente nelle mani del re che governava infatti come monarca assoluto.
La frase oggi viene usata per far riferimento a una persona particolarmente egocentrica e accentratrice di potere.
4. "Parigi val bene una messa" e "Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore"
- Parigi val bene una messa! Enrico IV, 1553-1610
Come altre citazioni attribuite ai personaggi storici, è probabile che Enrico IV di Borbone non abbia mai pronunciato la frase «Paris vaut bien une messe!» (Parigi val bene una messa!).
La frase è ugualmente passata alla storia e viene utilizzata quando gli interessi in gioco in una vicenda vengono ritenuti talmente alti da far dimenticare ogni scrupolo morale.
Enrico era protestante ma per assicurarsi il trono di Francia (vacante dopo la morte senza figli di Enrico III) si convertì al cattolicesimo; venne incoronato re nella cattedrale di Notre-Dame nel 1594.
- Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore! Churchill, 1874-1965
Il capo del Governo inglese Winston Churchill fu uomo di grande ironia e molte sue battute sono diventate note grazie alla proverbiale arguzia.
Celebre è anche un discorso parlamentare del maggio 1940 che non ha, però, nulla di divertente.
Chiamato al Governo dal re per risollevare le sorti dell’Inghilterra, in guerra contro la Germania nazista da otto mesi, Churchill si presenta in Parlamento per fare il punto della situazione: l’esercito tedesco aveva appena invaso la Norvegia e la Francia.
Churchill afferma di non aver altro da offrire ai propri collaboratori e a tutti gli inglesi che sangue, fatica, lacrime e sudore.
L’obiettivo finale, però, sarà la vittoria, «vittoria a ogni costo, perché senza vittoria non c’è salvezza».
5. "Libera Chiesa in libero Stato" e "S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani"
- Libera Chiesa in libero Stato! Camillo Benso conte di Cavour, 1810-1861
Nel 1861 si proclama il Regno d’Italia, ma i problemi sono solo all’inizio.
Mentre da un lato il papa Pio IX non cede il Lazio, residuo dello Stato pontificio e simbolo del potere ecclesiale, dall’altro il Parlamento italiano considera Roma la capitale del Regno e ne prevede un’annessione militare (cosa che avverrà nel 1870).
Durante la prima seduta parlamentare Cavour, presidente del Consiglio, afferma con sicurezza: «Noi siamo pronti a proclamare nell’Italia questo gran principio: libera Chiesa in libero Stato».
L’espressione “Libera Chiesa in libero Stato”, non di Cavour bensì del filosofo Charles de Montalembert, indica oggi la concezione separatista in materia di rapporti Stato-Chiesa.
- S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani! Massimo d’Azeglio, 1798-1866
Non è solo la Questione romana a turbare i sonni dei politici italiani dell’Ottocento; la celebre massima del politico Massimo D’Azeglio, «S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani», esprime in modo efficace la disillusione del patriota torinese.
I diversi livelli economici dell’Italia appena unificata e i diversi caratteri e inclinazioni degli abitanti della Penisola rendevano difficoltosa l’applicazione delle leggi unitarie e la nascita di un condiviso senso di patria tra i cittadini.
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