Fin dai tempi più antichi l’uomo – come ogni altra specie sul pianeta – ha interagito con la natura in base a un imperativo dominante: sopravvivere.
Per lunghissimo tempo tale imperativo si è fondato, oltre che sul bisogno di proteggersi da ambienti climatici a volte molto avversi, soprattutto sulla capacità di risolvere a proprio favore l’alternativa tra mangiare o essere mangiato.
La storia del cibo e della gastronomia in genere è un percorso legato strettamente agli avvenimenti che hanno scandito il comportamento umano nel corso dei secoli.
La ricerca del cibo e la lotta per procurarselo hanno spesso determinato la crescita (o la scomparsa) di intere civiltà, dando origine a guerre sanguinose e grandi migrazioni di popoli.
Oggi scopriremo le origini e la diffusione di alcuni cibi e bevande “rivoluzionari” presenti ancora oggi sulle nostre tavole.
1. Frutta, zucchero, birra e pomodori
- Frutta da re e zucchero dai Caraibi
Dopo lo sbarco di Colombo, nel 1492, l'America divenne la "dispensa dei re”.
Molti dei prodotti alimentari che provenivano dal Nuovo Mondo furono infatti considerati a lungo più curiosità che ingredienti da mettere in cucina.
Tra i prodotti più pregiati c'era l'ananas (foto sotto). Così prezioso che un secolo e mezzo dopo, nel 1661, i produttori di zucchero delle Barbados (colonia britannica) ottennero dal re d'Inghilterra Carlo I la garanzia di un prezzo minimo per il loro zucchero solo dopo aver donato al sovrano un ananas.
Ci vollero infatti un altro paio di decenni prima che nel Nord Europa si potessero coltivare ananas, grazie all'invenzione della serra riscaldata.
Il legame zucchero-Americhe ebbe però un altro risvolto. Nemmeno dieci anni dopo lo sbarco di Colombo, le piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi iniziarono a fare concorrenza a quelle di Madeira e del le Canarie.
E, sterminati gli indios, il bisogno di manodopera avviò la tratta degli schiavi africani.
- La civiltà della birra
Per gli storici è esistito, per secoli, un confine invisibile in Europa: tra la cosiddetta "civiltà" della birra e quella mediterranea del vino.
Un modo di bere, il primo, che accomunava gran parte dei Paesi del Nord e dell'Est Europa.
Lì infatti erano state messe a punto, nel Medioevo, le tecniche di fermentazione dei cereali (orzo in origine) con le quali si otteneva la "cervogia" (nome medioevale della birra) poi aromatizzata con il luppolo.
Ma l'invenzione della bevanda sarebbe più antica. Intorno al 3000 a. C. i Sumeri avevano già scoperto che dagli ingredienti del pane (acqua, cereali e lievito) si otteneva una bevanda dissetante e leggermente inebriante.
Dalla Mesopotamia la birra passò poi in Egitto, dove si chiamava zythum. Considerata "barbara" dai Romani, si diffuse nel I secolo tra i Germani (ai quali non si sa come arrivò).
Nel VI secolo i monaci d'Irlanda ottennero la birra dal malto (orzo germogliato), esportandone poi la ricetta nei monasteri svizzeri e tedeschi.
Sotto, cartolina tedesca del 1902 con i "saluti dalla cantina", ovvero dalla birreria.
- Pomodori da ammirare
Senza, non esisterebbero la pizza e gli spaghetti alla bolognese. Eppure quando a metà '500 sbarcò in Italia dall’America, di cui era originario (e dov'era chiamato tomat), il pomodoro fu apprezzato solo come pianta ornamentale.
Nel corso del secolo successivo si iniziò a usarlo come alimento (“Gli italiani mangiano questo frutto in insalata condito con sale, pepe e olio" riportava un dizionario francese del 1704).
Ma si dovette aspettare l'800 per la diffusione delle conserve di pomodoro. Solo allora la pasta, prima condita con burro e formaggio, diventò rossa.
Le varietà rosse furono il prodotto di una lunga selezione. In origine il pomodoro era infatti giallastro. Tanto che nel 1544, descrivendo i primi esemplari, il senese Pietro Mattioli lo chiamò "mela d'oro". E in Francia divenne "pomme d'amour" (“mela d’amore").
Sotto, pomodori in un trattato del 1860.
2. Pane, pasta e gelato
- Pane nero, pane bianco
Pochi alimenti hanno la carica simbolica del pane.
In Mesopotamia si preparavano “schiacciatine" di farina d'orzo, gli Egizi introdussero il lievito e i Greci mangiavano sfoglie di farina cotta in decine di varietà.
A Roma si usava l'umile farina di farro ma presto l’ars pistorica (l’attività dei fornai) fu regolata da rigide leggi, segno del valore sociale del pane: nella Storia, l’aumento del prezzo del pane ha sempre provocato sommosse.
Del resto, in Europa, dal Medioevo fu l'alimento base: nero (di segale, ma in caso di necessità di farina di castagne o persino di ghiande) o bianco (di frumento).
Sotto, una pagnotta (bianca) del XVIII secolo.
- La pasta mediterranea
Gli Etruschi mangiavano lasagne di farro. Prima di loro gli antichi Greci conoscevano già la pasta, da cui il nome che usiamo ancora oggi.
Una diffusa diceria vuole invece che gli spaghetti siano giunti in Europa tramite Marco Polo, di ritorno dalla Cina. Ma le cose non stanno così.
È vero che il più antico piatto di spaghetti di miglio fu rinvenuto nel Nord-Ovest della Cina e risalirebbe al 4000 a. C., però gli spaghetti cinesi non erano come i nostri: erano a base di soia, perché in Cina non conoscevano allora il frumento.
Si tratterebbe quindi di due invenzioni indipendenti. A confermare questa ricostruzione c'è un testo del XII secolo -cent'anni più vecchio del viaggio di Marco Polo- in cui si accenna ai vermicelli: una pasta di grano a fili sottili prodotta vicino a Palermo, probabilmente di origine araba e presto diffusa in Italia.
Sotto, un calendario alla pasta" degli Anni ’50.
- Il gelato arabo-siculo
Una cosa è il gelato, un’altra il sorbetto, dall’arabo sharab ("bere", o dal latino sorbitum, "sorbito").
Il primo non è esistito prima della diffusione in Europa dello zucchero, nel XVI secolo, il secondo è un'usanza antica.
Già i Greci infatti, per conservare la frutta, scavavano caverne sotterranee dove tenevano la neve, poi consumata aromatizzata con la frutta stessa o con il miele.
Il 'padre' del gelato è però considerato il siciliano Francesco Procopio dei Coltelli (1651-1727) che usando lo zucchero al posto del miele e sfruttando nozioni di "chimica applicata" diffuse in Sicilia dagli Arabi, grazie alle quali scoprì come far durare il ghiaccio più a lungo grazie all’uso di sali, fece il salto di qualità.
Francesco, trasferitosi a Parigi, aprì il Café Procope, dove il suo gelato fu accolto con entusiasmo da Voltaire e da altri philosophes.
Sotto, un venditore di gelato in un'illustrazione del Settecento.
3. Polenta, caffè e patate
- Polenta, il cibo dei poveri
Non c’è polenta senza granoturco, ovvero mais.
Che, a dispetto del nome, non cresceva in Turchia, ma in America: la sua patria pare sia stata, in origine, il Perù (anche se fu alla base delle civiltà del Centro America).
Il nome italiano, dicono gli storici, si spiegherebbe con il fatto che arrivò nel nostro Paese già nel '500 (probabilmente via Venezia) attraverso gli scambi commerciali con i Turchi.
In poco tempo la farina di mais prese il posto di quella di miglio. E durante le crisi alimentari che colpirono l'Europa nel '600 e nel ’700 il granoturco (e la polenta cucinata con la sua farina) fu promosso dalle autorità come soluzione per i più poveri, per esempio nella Pianura padana.
Se la dieta a base di polenta salvò molti dalla fame, provocò anche, dal 1730 fino a Novecento inoltrato, ricorrenti epidemie di pellagra, una malattia spesso mortale causata da carenze vitaminiche.
Sotto, "La polenta", un dipinto di Pietro Longhi (1740).
- Na tazzulella di caffè
Dal l'arabo qahwa ("eccitante"). O forse dal toponimo Gaffa, in Etiopia, sua città natale.
Il caffè giunse in Europa nel XVII secolo con il nome provvisorio di “vino d’Arabia”, per merito dei soliti mercanti veneziani, di casa a Istanbul (capitale dell'impero ottomano).
Bollato dalla Chiesa come "bevanda del diavolo", per le sue proprietà eccitanti, fu per anni (preparato “alla turca", sciolto nell'acqua) una bevanda da taverna.
Almeno fino all'alba del'700, quando i caffè divennero luoghi di ritrovo frequentati da filosofi illuministi.
Negli stessi anni in cui il caffè approdava in Europa, i navigatori portoghesi prima e il nascente impero commerciale inglese poi importarono dall’oriente il tè.
Una bevanda la cui paternità è contesa da Cina, India e Giappone. In Inghilterra, dopo essere diventato la bevanda degli aristocratici, il tè (grazie alla teina e sempre zuccherato) teneva svegli gli operai della Rivoluzione industriale. Sotto, l’arbusto del caffè in un erbario dell'800.
- Patate rivoluzionane
Piatto base delle famiglie contadine di mezza Europa fino al 900, la patata arrivò nel Vecchio Mondo intorno al 1524, accompagnata da molti pregiudizi.
Gli indios coltivavano la batata in montagna, facendola seccare e trasformandola in farina.
A lungo considerata "cibo da porcelli", la sua rivincita si dovette a un re e a un agronomo. Il re era il tedesco Federico il Grande, che nel'700 ne fece il rancio dei suoi soldati. Per rendere le patate appetibili anche al popolo leggenda vuole che pose soldati di guardia ai campi, come se difendessero un tesoro.
L’agronomo era invece Antoine Parmentier, farmacista francese al seguito dell’esercito. Fatto prigioniero in Germania, scoprì le patate diventandone un estimatore.
Fu lui a introdurre la patata alla corte di Luigi XVI, prima come varietà ornamentale, poi come appetibile pomme de terre (“mela di terra”). Iniziò così l’era delle frites francesi e, poi, delle chips inglesi.
Sotto, illustrazione di patate in un manuale del 1910.
4. Vino e merluzzo
- In alto i calici! Arriva il vino
Ne parla anche la Bibbia: Noè, sceso dall’arca dopo il Diluvio, seminò una vigna e "avendo bevuto il vino, si ubriacò" (Genesi, 9:27).
La più antica giara di terracotta con residui di uva fermentata che si conosca, rinvenuta in un villaggio neolitico dell'Iran, risale al 5100 a. C.
Furono gli Egizi a fare della viticoltura un’attività su larga scala: antichi geroglifici conservati nella tomba di Nakht a Luxor (del 2000 a. C.) illustrano il processo di vinificazione.
Il vino (che allora si beveva allungato) giunse in Italia tramite Fenici e Greci, anche se gli Etruschi avevano già i loro vitigni.
Impiegato, con il pane, nelle offerte già dai popoli più antichi, ebbe sempre grande valore simbolico, entrando nei riti cristiani.
Sotto, natura morta con vino (1763).
- La forza del merluzzo
I primi a comprendere le potenzialità del Gadus morhua (il merluzzo dell'Atlantico Settentrionale) furono i Vichinghi.
Era infatti la risorsa alimentare più abbondante e nutriente (oltre il 18% di proteine) reperibile alle loro latitudini. Dove, fino al XX secolo, ossa e interiora macerate nel latte erano considerate una prelibatezza.
Essiccato, diventava stoccafisso: una riserva di cibo che permise ai Vichinghi stessi di navigare fino alle coste dell'America intorno al Mille.
Dopo aver fatto la fortuna dei pescatori baschi (che avevano scoperto i ricchi banchi dell’Atlantico del Nord), si diffuse nel'400 in Europa (sempre sotto forma di stoccafisso). E nelle stive dei navigatori portoghesi e spagnoli permise i grandi viaggi d'esplorazione.
Infine, nel '600, divenne il business principale dei primi coloni inglesi in America, sulle coste del Massachusetts.
Sotto, merluzzo (Gadus morhua) dell'Atlantico.
5. Cioccolato e olio
- Il cioccolato degli indios
Dovendo scegliere tra le pietre preziose e anonimi chicchi neri, Cristoforo Colombo scelse le pietre preziose.
Anche Ferdinando “il Cattolico" non approfondì i possibili usi di quel seme, oggi caposaldo dell'industria dolciaria.
Fu il conquistador Hernàn Cortes a notare in Messico, nel 1519, i magazzini della capitale ricolmi di fave di cacao.
Era così prezioso che si usava come moneta: uno schiavo valeva 100 chicchi, una notte d’amore con una cortigiana 12. E la bevanda che se ne otteneva, il chocol (la cioccolata), era considerata una prelibatezza da imperatori.
Importata in Spagna, la nuova specialità si diffuse tra gli aristocratici. In Italia pare sia arrivata con Emanuele Filiberto di Savoia, allora generale e condottiero al servizio degli spagnoli, a metà del Cinquecento.
Ma fu attraverso la Francia, nel '600, che il cacao conquistò l'Europa.
- L’olio dono degli dèi
Gli archeologi lo ritengono uno dei primi alberi coltivati dall'uomo.
Forse in Siria, 6 mila anni fa. Originario del Medio Oriente, l'ulivo, dai cui frutti si ricava l'olio, fu infatti usato fin dall'antichità.
Per l'alimentazione, ma anche come unguento, medicinale e combustibile per illuminazione.
Molti popoli lo considerarono un dono degli dèi (per gli Egizi, in particolare, di Iside). E nella Bibbia è un ramoscello d’ulivo a segnare la fine del Diluvio.
L'olio garantiva a chi lo coltivava vantaggi economici e sociali. Dal VII secolo a. C. fece la fortuna dei coloni greci nell'Italia del Sud.
Successivamente divenne Roma la capitale dell'olio. E fu proprio Roma, dopo la definitiva vittoria contro Cartagine (146 a. C.), a promuovere la coltivazione dell'ulivo in tutto il Mediterraneo, assicurandosi il monopolio del commercio dell'olio in Europa.
Sotto, olio d’oliva prodotto nel Sud della Francia.