Secondo l’attuale classificazione dei disordini mentali (DSM-V; APA, 2013) la cleptomania viene definita dalla presenza di un impulso coatto e ripetitivo a rubare oggetti di cui non si ha un reale bisogno né sul piano personale, né per valore economico.
Il furto è accompagnato da una sensazione crescente di tensione che si risolve poi in uno stato di sollievo, piacere o gratificazione.
Si tratta di un disordine riconosciuto da molto tempo dalla comunità scientifica. E’ a partire dagli inizi dell’800, infatti, che il disturbo cominciò ad essere menzionato nella letteratura psichiatrica.
E fu in particolare il medico svizzero Andre Matthey, nel 1816, a coniare il termine, dopo aver analizzato il comportamento di alcuni ladri la cui tendenza a commettere furti sembrava oltrepassare il controllo volontario.
Il cleptomane, quindi, non ruba per professione e nemmeno per bisogno: ruba perché il suo cervello lo spinge a voler tutto e subito.
Secondo gli psicologi si tratta di un disturbo causato da un malfunzionamento della corteccia prefrontale. Per fortuna è curabile con la psicoterapia.
Ma è vero che, a volte, rubare è una vera malattia? Scopriamolo insieme.
1. Rubare senza essere un ladro
Rubare per un impulso irrefrenabile, senza premeditazione e senza essere un ladro.
Il disturbo si chiama cleptomania e consiste nel bisogno patologico di sottrarre dagli scaffali dei negozi oggetti che spesso non servono neppure a chi se ne impossessa o il cui valore non giustifica il furto.
Il termine cleptomania è un composto che deriva dal greco kléptes, ladro e -manie, -mania.
Fra le diverse scuole di pensiero c’è una forte tendenza a indicare la cleptomania come un disturbo ossessivo-compulsivo perlomeno nei casi gravi in cui rappresenta una patologia.
Quando si manifesta occasionalmente, il problema può essere dovuto al malfunzionamento della corteccia prefrontale, la parte anteriore del lobo frontale del cervello che controlla i nostri impulsi e regola il nostro comportamento.
Normalmente quando siamo attratti da un oggetto in vendita, al desiderio di farlo nostro segue un’analisi razionale (sulla sua utilità, sul costo ecc.) in cui interviene la corteccia.
Nei cleptomani, al contrario, al desiderio di avere quell’oggetto segue subito l’azione di impossessarsene, come se il meccanismo di razionalità che tutti abbiamo e che fa parte dell’intelligenza emotiva venisse inibito.
Il problema ha affinità con i disturbi affettivi degli adolescenti e delle persone in fase di sviluppo, che vogliono tutto e subito: insomma, una certa cosa viene vista e subito presa.
- Curiosità: Il vizietto di rubare oggetti in albergo
Si chiama cleptomania alberghiera ed è il vizio di sottrarre gli oggetti più strani dagli alberghi. Al di là dei “classici” (accappatoi, prodotti per la doccia e pantofole), Venere.com ha pubblicato una lista degli oggetti più assurdi che i turisti si mettono in valigia al termine del soggiorno.
Fra questi, tutte le lampadine della stanza, la targhetta sulla porta con il numero della camera, i cardini della porta, l’abat-jour, il quadretto appeso al muro, il portacenere, la porta scorrevole dell’armadio e il telefono della camera, non funzionante all’esterno.
2. L’atto del furto
Il cleptomane che entra in un supermercato non programma il furto.
La molla a impossessarsi di un certo oggetto scatta in presenza di un’attivazione emotiva, tipo un forte coinvolgimento nell’ambiente legato a stimoli che possono andare dal grande affollamento a una certa musica.
Questo abbassa i meccanismi di difesa naturali connessi alla corteccia, il che fa sì che il soggetto perda le inibizioni e trasformi immediatamente in azione quello che pensa, senza più nessun filtro tra pensiero e azione.
Dal punto di vista patologico, questo è il caso più tipico. Del resto, la cleptomania è un disturbo ciclico, che presenta dei periodi di remissione e che è molto legato all’ambiente e agli stimoli ambientali.
Nei momenti di attivazione emotiva, il soggetto diventa più debole e controlla meno gli stimoli. Spesso l’oggetto rubato racchiude un significato simbolico. Tendenzialmente vi è una connessione con un’esperienza.
Per esempio, la bottiglietta di una certa bibita può inconsapevolmente innescare il ricordo dei tempi della scuola; oppure, la scatoletta di carne in scatola può riportare al periodo del servizio militare. A volte il cleptomane non conserva neppure gli oggetti che ha rubato.
Può buttarli, regalarli a qualcuno o restituirli di nascosto. Si ritorna al meccanismo adolescenziale: accade lo stesso nell’adolescente che vuole tanto qualcosa o qualcuno, ma nel momento in cui l’ottiene, la conquista perde di valore.
L’aveva già sottolineato il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860): una volta ottenuta, una cosa fortemente desiderata perde di significato. L’adolescente e il cleptomane agiscono diversamente, ma secondo il medesimo meccanismo: il primo lo mette in atto negli affetti, il secondo perché viene riattivato in lui dalla patologia.
I l cleptomane è pienamente consapevole di quello che sta facendo. È capace d’intendere ma non di controllare i suoi impulsi, come se in lui si azzerasse il meccanismo di difesa costituito dalla corteccia frontale, che fa sì che non mettiamo in atto tutto quello che pensiamo o desideriamo.
3. Cause profonde
Nei casi più gravi, la cleptomania può essere legata a cause profonde. Di solito si tratta di una rabbia, che è lo stato d’animo che spinge a trasgredire.
La rabbia è l’emozione di base che scatena questo comportamento, il quale sfocia in una sorta di aggressione.
Quest’ultima può consistere nell’atto di rubare, di trasgredire o di mettere in atto un meccanismo punitivo simbolico verso qualcosa o qualcuno.
In quest’ottica, il cleptomane può essere paragonato a una persona che si infiamma in modo improvviso contro qualcun altro.
Alla base del suo comportamento c’è quindi un’emozione, una rabbia di non accettazione, come se la persona non accettasse qualcosa che deve subire nella sua vita (un licenziamento, un divorzio, un torto subito ecc.) e mettesse in atto una protesta in questo modo.
Si tratta di un disturbo di carattere nevrotico legato alla personalità, di una sorta di sfogo che si manifesta quando si vivono fasi della vita molto intense.
Una persona normale, anche se arrabbiata, ha la facoltà di abilitare i meccanismi della corteccia prefrontale e riesce quindi a sfogare la rabbia in altri modi, per esempio facendo sport; nel caso del cleptomane, invece, lo sfogo si indirizza nell’andare a rubare al supermercato.
Del resto, anche dopo il furto la persona mantiene la piena consapevolezza di quello che è successo, proprio come avviene quando si litiga o ci si arrabbia con qualcuno: il soggetto sa cosa sta facendo, scatena la sua forte tensione emotiva e successivamente, rimasto solo, si rende conto di aver sbagliato.
A quel punto gestisce le conseguenze nella modalità che preferisce: chiedendo scusa o facendo finta di niente. Allo stesso modo il cleptomane decide come disporre di quanto rubato.
4. Come rimediare
Quando il cleptomane viene colto sul fatto tenta di dare una spiegazione razionale al suo gesto, sostenendo, per esempio, di aver rubato una maglietta di cui aveva bisogno poiché non in grado di pagarla.
L’unico percorso corretto è razionalizzare il gesto riattivando la corteccia frontale, cioè la parte razionale di sé che si è spenta nel momento in cui si è compiuto il furto.
Questa razionalizzazione del gesto è parte integrante della terapia poiché la consapevolezza è l’unico modo per riuscire a controllare l’impulso.
Il trattamento psicoterapeutico può andare in due direzioni, come spiegano gli psicologi: «Esistono terapie basate sul problema e terapie basate sulla soluzione. Le prime vanno a ricercare la causa profonda del disturbo (per esempio, una rabbia non ben gestita), le seconde mirano ad aumentare la consapevolezza del soggetto sotto stress».
Va infatti specificato che il cattivo funzionamento della corteccia prefrontale non è strutturale, ma è una conseguenza dell’ansia e della dimensione emotiva che la persona non riesce a controllare a dovere.
In altre parole, si tratta di un meccanismo disfunzionale dal punto di vista comportamentale, che non permette di gestire adeguatamente la rabbia.
In quanto disturbo ossessivo-compulsivo, la cleptomania potrebbe avere in parte una dimensione organica, legata, oltre che ai meccanismi inibitori, a una carenza dei neurotrasmettitori classici (adrenalina, dopamina, serotonina eccetera).
La meditazione è la cura che funziona di più! La mindfulness (letteralmente, attenzione cosciente, consapevolezza) è una pratica meditativa con fini psicoterapeutici derivata dalle tecniche di meditazione del buddhismo, dello zen e dello yoga.
Consiste nel portare intenzionalmente l’attenzione della persona sul momento presente, senza giudicarlo né giudicare sé stessi, per acquisire l’accettazione di sé attraverso la piena consapevolezza di tutto quanto è legato a emozioni, impulsi, pensieri, azioni e alle proprie relazioni con il mondo esterno.
Lo scopo è liberarsi dai pensieri negativi e dalla sofferenza interiore che essi generano, derivanti dall’attribuirsi colpe per la situazione disagiata in cui ci si trova. Questo circolo vizioso di malessere mentale abbassa infatti l’autocontrollo nei comportamenti.
5. Le cleptomani famose: attrici e campionesse di tennis
Fra i casi più noti di celebrità cleptomani vi è quello dell’attrice statunitense Winona Ryder: nel dicembre 2001 venne arrestata per aver rubato da un grande magazzino di Beverly Hills, a Los Angeles, merce per un valore di oltre 4.000 dollari.
Beccata dalle telecamere, si giustificò dicendo che stava provando un ruolo cinematografico.
Nel 1993, l’ex tennista statunitense Jennifer Capriati fu fermata per il furto di un anello in un supermercato della Florida.
Più recente il caso di Alessandra e Valentina Giudicessa, le gemelle diventate famose per aver interpretato le cleptomani Pamela e Sue Ellen nella pellicola Come un gatto in tangenziale (2017), con Paola Cortellesi e Antonio Albanese, per la regia di Riccardo Milani.
Calatesi troppo nella parte, nel 2018 le due donne sono assurte alla cronaca per tre tentati furti reali.
Nel loro mirino, prima un paio di costosi occhiali da sole esposti in un negozio di ottica di Roma; poi le sorelle sono state riprese dalle telecamere di un negozio di Testaccio mentre rubavano profumi per un valore di 500 euro, poi recuperati dai Carabinieri a casa delle due, che qualche mese dopo hanno tentato di sottrarre 18 capi di abbigliamento da un negozio in zona Eur.
Posto che i personaggi famosi non rubano per bisogno, spesso mettono in atto questi furti per noia o come trasgressione delle regole.
Nella foto sotto, Alessandra e Valentina Giudicessa interpreti delle cleptomani Pamela e Sue Ellen in un film sono state pizzicate a rubare davvero a Roma.