«La Coca-Cola è la cosa più vicina al capitalismo che si trovi in una bottiglia».
Con queste parole lo scrittore e giornalista britannico Tom Standage nel suo saggio Una storia del mondo in sei bicchieri riassume quello che è successo nell’ultimo mezzo secolo attorno a una bevanda (e alla sua diretta concorrente) che ancora oggi rappresenta molto più di una semplice bibita zuccherata.
Sentenziando poi: «Che la libertà, o per lo meno, che lo stile di vita occidentale abbia come simbolo una bevanda americana è qualcosa che oggi, alla luce della globalizzazione, diamo per scontato».
Eppure l’espansione sul mercato mondiale di marchi come Pepsi e Coca-Cola non è stata né una cosa banale né facile: i due marchi dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno dovuto fare i conti con la geopolitica, coinvolgendo nelle loro strategie commerciali leader politici e militari insospettabili.
Avversate e boicottate, oppure prodotte in segreto e camuffate, sponsor della destra e della sinistra… Le “rivali” COCA e PEPSI sono state, negli ultimi 70 anni, molto più di semplici bibite.
1. LA DEBOLEZZA DELL’EROE
Il più insospettabile di tutti è il generale sovietico Georgij Zhukov, l’eroe della resistenza russa contro l’invasione nazista, che nel 1945 comandava la zona di occupazione sovietica in Germania.
Il principale generale di Stalin si guadagnò onori e una sfilza di medaglie, ma non riuscì a ottenere qualcosa molto più terra terra: la Coca-Cola. Da quando l’aveva assaggiata, se ne era innamorato.
Ma in Urss la bevanda era un simbolo dell’Occidente capitalista e la sua importazione era vietata.
Così, Zhukov chiese al generale americano Mark Clark, allora suo alleato contro la Germania nazista, se fosse possibile rendere la Coca-Cola trasparente, in modo che assomigliasse alla vodka (foto sotto).
Clark trasmise il messaggio al presidente Usa Harry Truman, che a sua volta contattò James Farley, presidente di Coca-Cola Export Corporation.
Poiché la tipica sfumatura bruno-rossastra della Coca-Cola derivava dalla colorazione del caramello, e rimuoverla dalla ricetta non ne avrebbe mutato il sapore, nel 1946 un impianto di imbottigliamento austriaco consegnò al maresciallo Zhukov la prima partita da 50 casse di Beszvetnaja Koka-Kola.
La bevanda “incolore” (questo il significato della parola russa beszvetnaja) era confezionata in bottiglie con bordi dritti per distinguerle da quelle sinuose dell’originale e aveva una stella rossa sovietica stampata sul tappo, per somigliare di più alla vodka.
Grazie all’escamotage Zhukov poté bere Coca-Cola fino alla sua morte, nel 1974, quando in Urss dominava ormai un’altra bibita occidentale: la Pepsi.
2. SORSI DI OCCIDENTE E LA FLOTTA PEPSI
L’ascesa della Pepsi in Russia iniziò alla fine degli Anni ’50, allorché il presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower cercò di rinvigorire l’immagine degli Usa per contrastare i progressi aerospaziali dell’Urss, che aveva lanciato il primo satellite artificiale, lo Sputnik.
Così nel 1959 fu organizzata un’Esposizione nazionale americana a Mosca, facendo mostra di marchi come Kodak, General Electric, Pepsi e Disney, in modo da mostrare al popolo sovietico quanto fosse migliore la vita sotto il capitalismo.
L’evento clou dell’Esposizione fu l’accesa discussione che si tenne il 24 luglio tra il vicepresidente americano, l’anticomunista convinto Richard Nixon, e il leader sovietico Nikita Krusciov sui meriti dei relativi sistemi industriali.
Nella foto sotto, esposizione nazionale americana a Mosca, nel 1959: il leader sovietico Krusciov assaggia una Pepsi-Cola sotto lo sguardo di Nixon (allora vicepresidente Usa) e del presidente della Pepsi Donald Kendall.
Apparentemente per placare gli animi (e per realizzare un colpaccio promozionale), il manager della Pepsi Donald Kendall offrì al leader sovietico un bicchiere della sua bevanda.
La bibita piacque così tanto a Krusciov che acconsentì a fare di Pepsi il primo prodotto occidentale venduto sul mercato sovietico. Per passare dalla teoria alla pratica i negoziati durarono più di un decennio: solo nel 1974 fu aperto, a Novorossijsk, il primo impianto sovietico di imbottigliamento della Pepsi.
Una delle difficoltà nel concludere l’accordo era stato il fatto che il rublo, con cui si pagavano le bibite, non poteva essere convertito in dollari. Così si ricorse al baratto: Pepsi forniva all’Urss le bevande e le attrezzature per l’imbottigliamento in cambio dei diritti esclusivi di distribuzione negli Usa della vodka Stolichnaja.
Dal 1978 gli impianti sovietici produssero 216 milioni di bottiglie l’anno e nel 1988 Pepsi fu la prima azienda occidentale a fare pubblicità sulla tv sovietica, con una serie di campagne aventi per testimonial Michael Jackson.
L’accordo iniziò a sgretolarsi quando nel 1979 l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan e gli Stati Uniti imposero un boicottaggio della vodka Stolichnaja.
Nel 1989, non sapendo più come pagare la Pepsi, i sovietici decisero di regolare i conti cedendo alla società Usa una collezione di 17 vecchi sommergibili, fregate, incrociatori e corazzate da vendere come rottami.
L’accordo diede temporaneamente alla Pepsi il possesso della sesta marina più grande del mondo (che poi fu ceduta a un demolitore norvegese) e portò Donald Kendall a vantarsi scherzosamente con Brent Scowcraft, consigliere per la sicurezza nazionale di George W. Bush, di “disarmare l’Unione Sovietica più velocemente di lui”.
Nella foto sotto, un chiosco Pepsi a Mosca nel 1983.
3. MISSIONE SUICIDA
Nel frattempo la Coca-Cola non era rimasta a guardare. Nel 1979 l’amministratore delegato J. Paul Austin sfruttò la sua amicizia con l’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter per ottenere udienza con i leader sovietici e negoziare l’esportazione della sua bevanda in Urss.
I negoziati si arenarono quando il governo Usa boicottò i Giochi olimpici di Mosca del 1980, un evento sportivo che Coca-Cola sponsorizzava dal 1928.
In compenso, all’inizio degli Anni ’90 Coca-Cola riuscì a togliere dal mercato la nuova Crystal Pepsi, una Pepsi incolore come un tempo era stata la beszvetnaja creata per Zhukov.
Lanciata come una bevanda salutista, Crystal Pepsi nel suo primo anno sul mercato aveva fruttato circa 474 milioni di dollari. Per rimediare, l’azienda di Atlanta ricorse a una missione suicida: avrebbe sacrificato un nuovo prodotto, appena lanciato e altrettanto trasparente, chiamato Tab Clear, pur di eliminare la Crystal Pepsi.
L’arma segreta? Un’insinuazione: presentando Tab come un prodotto dietetico e “per donne”, Coca-Cola “suggerì” ai consumatori che lo stesso valesse per l’altra bevanda trasparente.
E poiché nei negozi le due marche erano in genere posizionate vicine, alla Coca-Cola speravano che i clienti le considerassero equivalenti e che i “veri uomini” le avrebbero snobbate entrambe. Come spiegherà Sergio Zyman, allora capo del marketing Coca-Cola, «nel giro di pochi mesi il marchio Tab Clear morì. E così Crystal Pepsi».
4. NEL MONDO E L’ULTIMA RESISTENZA
Nel corso dei decenni Coca-Cola ha dovuto fronteggiare difficoltà anche in nazioni diverse dall’Urss.
«Il problema è che per quanto non voglia essere coinvolta nella politica, la Coca-Cola è così strettamente associata agli Stati Uniti e al loro stile di vita che polarizza le simpatie delle persone. E a volte questa associazione ha effetti negativi», ha spiegato Bruce Webster, ex consulente del marchio.
Non è un caso se dal 1968 al 1991 l’azienda fu boicottata in Medio Oriente dalla Lega araba: vendeva i suoi prodotti in Israele.
Eppure, documenti emersi di recente dimostrano che nel 1977, ossia due anni prima che l’Egitto riconoscesse Israele, l’azienda americana si impegnò a investire 10 milioni di dollari (39 milioni di dollari di oggi) in agricoltura e infrastrutture industriali in Egitto, in cambio della fine del boicottaggio. Dove aveva fallito la diplomazia, riuscirono gli affari. Nella foto sotto, distributori automatici delle due bibite rivali in Israele, negli anni Novanta.
In Myanmar la bibita fu bandita dal 1962 fino al 2012 a seguito delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti nei confronti della giunta militare che per 50 anni governò quella che un tempo era stata la Birmania.
In Cina, dove sbarcò per la prima volta nel 1927, fu vietata dal leader comunista Mao Zedong nel 1940, per riapparire soltanto nel 1979. In Vietnam tornò sugli scaffali nel 1994, dopo 19 anni di embargo legato alla guerra con gli Stati Uniti, durante la quale i soldati americani erano stati regolarmente riforniti di Coca-Cola “per avere un importante sostegno morale in tempo di guerra”.
In Sudafrica nel 1986 Coca-Cola annunciò la chiusura dei suoi impianti, per protestare contro la politica dell’apartheid. In seguito sostenne Mandela (che tuttavia pare non apprezzasse la corporation) durante la sua presidenza e successivamente riavviò la produzione nel Paese.
Pepsi smantellò invece il suo stabilimento sudafricano, con gravi perdite e con un danno di immagine legato al fatto di avere pagato salari più bassi della media ai dipendenti di colore. Nella foto sotto, il líder máximo cubano Fidel Castro beve una Coca-Cola nel 1972, in un’immagine insolita e contraddittoria
Oggi ci sono soltanto due Paesi al mondo nei quali, per ragioni politiche, le due bibite rivali non possono essere acquistate: Cuba e Corea del Nord. Cuba, pur essendo stata una delle prime tre nazioni, insieme a Panama e al Canada, ad avere imbottigliato la Coca-Cola fuori dagli Stati Uniti (nel lontano 1906) bandisce la bevanda a stelle e strisce fin dal 1962.
Del resto, gli Stati Uniti praticano un embargo commerciale, economico e finanziario contro la Repubblica di Cuba e quindi nessuna azienda americana, teoricamente, può vendere la sua merce sull’isola.
L’embargo tuttora vigente nei confronti della Corea del Nord, invece, risale al 1950. Con queste due eccezioni, ormai tutto il mondo è soggetto alla “coca-colonizzazione”, come viene indicato l’influsso culturale del consumismo.
Così, anche laddove lo stile di vita occidentale è ancora visto come un nemico, proprio come avvenne nell’Unione Sovietica di Zhukov queste due bibite gassate sanno comunque superare frontiere chiuse ermeticamente e trasmettere il loro messaggio (per alcuni di libertà, per altri di consumismo)... in bottiglia.
Qua sotto, un marine in Vietnam nel 1965 si rinfresca con una Coke insieme ai suoi giovani aiutanti.
5. VALORI ED ELEZIONI
Nate a breve intervallo l’una dall’altra (Coca-Cola nel 1886 come “tonico per il cervello e i nervi”, Pepsi nel 1893 come rimedio in caso di indigestione), i due storici brand si sono presentati quali alfieri di valori opposti.
Già nel 1947 Pepsi-Cola si profilò come un marchio progressista mostrando afroamericani nelle sue pubblicità, in un’epoca in cui erano ancora chiamati “nigger” e non avevano quasi alcun diritto politico o civile.
Coca-Cola introdusse invece modelli di colore nelle sue pubblicità soltanto nel 1955, presentandosi come un marchio conservatore e paladino dei valori tradizionali.
Repubblicana o democratica? Durante la Seconda guerra mondiale il generale Dwight D. Eisenhower ordinò Coca-Cola per le truppe alleate in Nord Africa, ricevendo poi un forte sostegno alla sua candidatura presidenziale con i repubblicani.
La Pepsi invece ebbe legami stretti con i democratici di Roosevelt: il figlio maggiore di Franklin Delano, James, ottenne un franchising Pepsi durante la Seconda guerra mondiale e portò il presidente dell’azienda, Walter Mack, alla Casa Bianca per festeggiare l’elezione del padre.
Una svolta e un cambio di schieramento tra i due marchi si ebbero nel 1969, quando il repubblicano Richard Nixon fu eletto presidente Usa e scelse la Pepsi, gestita dall’amico Donald Kendall, come bibita ufficiale della Casa Bianca.
Sotto la presidenza di Nixon Pepsi cercò addirittura di interferire nella politica estera degli Stati Uniti, facendo forti pressioni nel 1973 per un intervento americano contro il governo cileno di Salvador Allende, che poi terminò con il colpo di Stato di Augusto Pinochet.
Il motivo? Kendall era socio in affari di Agustin Edwards, potente banchiere cileno e acerrimo nemico del fronte social-comunista Unidad Popular di Allende.
Da quel momento Pepsi fu associata al Partito repubblicano e Coca-Cola al Partito democratico: un fatto ironico, considerando che la filosofia della seconda era sempre stata più vicina al campo conservatore.
Le cose si sono invertite nuovamente alle presidenziali statunitensi del 2008: Pepsi ha appoggiato Barack Obama, del Partito democratico, mentre Coca-Cola ha sostenuto il candidato repubblicano, John McCain.