La ricetta migliore per prevenire problemi cardiovascolari è seguire regole di vita sane anche se un quarto di chi è in cura per abbassare l’asticella del colesterolo si affida solo ai farmaci.
Le statine andrebbero previste solo per le persone a elevato rischio di infarto e ictus: e invece il giro d’affari è di 25 miliardi di dollari l’anno.
I trattamenti anticolesterolo pagano. Sicuramente dal punto di vista del ritorno economico per chi li produce.
Bisogna proprio partire da questo dato per cercare di immaginare quali pressioni possano esercitare le multinazionali farmaceutiche sui medici (che sono la fonte principale di informazione per il 68% di chi soffre di colesterolo alto) per promuovere la diffusione dei trattamenti anticolesterolo, al di là del fatto che il singolo paziente ne abbia, o meno, effettivamente bisogno.
E questo è proprio il punto della questione: dato che i farmaci che riducono il colesterolo hanno effetti indesiderati anche gravi, la terapia a base di statine andrebbe prescritta solo a coloro che hanno un rischio elevato o molto elevato di avere un ictus o un infarto oppure a chi ha già subìto un episodio del genere.
D’altra parte, diverse inchieste effettuate da autorevoli organismi hanno spesso dimostrato che i pazienti non sono molto informati: ben il 40%, per esempio, non conosce neanche il ruolo negativo del colesterolo LDL, mentre il 55% non conosce quello positivo dell’Hdl.
Capiamoci: le statine sono farmaci efficaci. Dalle suddette inchieste emerge che chi le utilizza è soddisfatto dei risultati.
Ma anche che la dieta e l’esercizio fisico danno risultati soddisfacenti, e soprattutto che è importante l’interazione tra questi elementi: è dimostrato infatti che chi integra statine con correzione dello stile di vita ottiene un abbassamento del colesterolo maggiore.
Ma vediamo come combattere il colesterolo usando le armi giuste.
1. Abbassare l’asticella, per allargare l’area a rischio
C’è anche un altro modo, semplice, per accrescere la diffusione di farmaci: quello di allargare la categoria delle persone a rischio. Ed è proprio quello che è accaduto negli Stati Uniti.
Alla fine del 2013, infatti, l’aggiornamento delle linee guida americane per il controllo dei livelli di colesterolo nel sangue ha, di fatto, allargato molto la fascia di popolazione a cui viene consigliato di assumere statine per prevenire infarti e ictus.
È stato calcolato che, stando alle nuove linee guida Usa per i livelli di colesterolo nel sangue, dovrebbero essere considerati a rischio più del 97% degli americani tra i 66 e i 75 anni.
Un dato abnorme, che assume caratteri ancor più sinistri se si considerano gli effetti indesiderati delle statine.
L’assunzione di questi farmaci può infatti provocare problemi a livello muscolare, che a loro volta possono innescare dannose conseguenze a livello renale.
Possono inoltre manifestarsi problemi al fegato ed è ragionevolmente confermata la possibilità di un aumento del rischio di diabete, oltre a forti sospetti rispetto all’incremento di casi di cataratta. Ma non finisce qui.
Gli effetti potenzialmente negativi delle statine rischiano di moltiplicarsi nei pazienti che assumono contemporaneamente altre categorie di farmaci: alcuni antibiotici, antifungini, medicinali cardioattivi, farmaci contro la gotta e l’artrite reumatoide.
Anche l’abuso di alcol e l’assunzione di notevoli quantità di succo di pompelmo portano all’aumento degli effetti indesiderati. D’altra parte, come emerge da diverse inchieste, il 23% di chi assume statine le sperimenta.
2. Le prescrizioni di casa nostra
Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, anche nel nostro Paese le statine vengono dispensate con generosità: le prescrizioni sono in crescita e il farmaco è quello che ha il maggiore impatto sulla spesa pro capite nazionale.
Per quanto riguarda gli strumenti nostrani per misurare il livello di rischio, non siamo certo ridotti come gli Stati Uniti, anche se negli ultimi anni sono stati adottati nuovi criteri, meno realistici di quelli precedenti.
Le linee guida che dovrebbero permettere di riconoscere il livello di rischio cardiovascolare dei pazienti non possono essere le stesse in ogni parte del mondo.
È infatti fondamentale che questi criteri siano tarati in funzione delle caratteristiche e delle abitudini della popolazione a cui fanno riferimento.
Il cibo, per esempio, è un elemento che influenza in modo massiccio il tasso di colesterolo nel sangue: in questo senso, la dieta mediterranea, basata sul consumo di verdura e frutta, è distante mille miglia dalle abitudini alimentari di buona parte degli americani, grandi divoratori di carne rossa e di cibi preconfezionati.
Ne consegue che sarebbe profondamente sbagliato applicare lo stesso metro di valutazione sia in Italia sia negli Usa.
Fino al primo decennio del Duemila nel nostro Paese la valutazione del rischio cardiovascolare si basava sulle tabelle del cosiddetto Progetto Cuore, dell’Istituto superiore di sanità: questo strumento è mirato proprio sulle caratteristiche degli italiani.
In seguito quelle tabelle sono state rimpiazzate dal calcolatore europeo Score, meno preciso perché basato su dati complessivi riferiti alla popolazione del Vecchio continente: un passo indietro, anche se decisamente non così marcato come quanto successo negli Stati Uniti.
3. Una visione globale del problema
In Italia il tasso di colesterolo è misurato con frequenza eccessiva: il 7% lo misura tre volte o più all’anno, il 18% due volte, il 36% tutti gli anni.
Eppure si tratta di un valore in linea di massima stabile, che non deve essere ricontrollato continuamente.
E se il 68% riceve la diagnosi di colesterolo alto dal proprio medico di famiglia, risulta un 6% che si autodiagnostica problemi di colesterolo.
Scelta completamente errata, perché nella prevenzione di eventi come infarti e ictus, il problema va affrontato attraverso una visione globale: anche per questo motivo è dannoso ricorrere all’utilizzo di statine solo perché il paziente ha il colesterolo un po’ alto, pur non manifestando altri fattori di rischio.
La valutazione del pericolo cardiocircolatorio e l’eventuale trattamento devono tenere conto, oltre ovviamente dell’età, del sesso e di eventuali fattori ereditari del paziente, del suo stile di vita, il che significa considerarne la dieta, l’attività fisica, il fumo, lo stress e tutti gli altri elementi che giocano un ruolo primario nella nostra vita quotidiana.
In situazioni di rischio moderato, spesso basta modificare le cattive abitudini per trarne grande giovamento.
Si calcola che circa un terzo di chi assume statine non sembra presentare fattori di rischio tali da giustificarne la prescrizione; dall’altra parte, risulta anche che un 12%, pur avendo fattori di rischio importanti, non si cura.
4. Giocare d’anticipo
La regola generale è quella di prevenire eventuali guai alla salute attraverso le buone abitudini.
A partire dalla dieta, che deve essere povera di grassi saturi e colesterolo: spazio limitato, dunque, per la carne (soprattutto quella rossa), i salumi e i formaggi. Alla larga dai fritti e dal burro.
È importante anche ridurre il contenuto di sale e minimizzare l’acquisto di piatti pronti, che ne sono ricchi. Al contrario, bisogna mangiare molta verdura, condita con olio d’oliva, e molta frutta.
Nel nostro paese risulta che ben 8 Italiani su 10 esagerano nel considerare il rischio legato al consumo di uova: si tratta di una vecchia convinzione, legata a studi ormai superati.
L’importante, infatti, è l’insieme di tutti gli alimenti: l’uovo in sé non va demonizzato. Due o tre volte alla settimana è importante non scordare il pesce, ricco di omega-3.
Via libera anche alle noci, buona fonte di grassi insaturi, ai cereali, al riso integrale e ai legumi. A tavola è bene non concedersi più di un bicchiere (o un bicchiere e mezzo) di vino per pasto, mentre i superalcolici andrebbero banditi.
Anche tenersi in forma è importante e perdere il peso in eccesso riduce i rischi cardiovascolari: bisognerebbe quindi dedicare almeno 30 minuti al giorno all’attività fisica (sono sufficienti un po’ di nuoto o una camminata a passo svelto).
Il fumo è considerato uno dei principali fattori di rischio che, a parità di condizioni, raddoppia le possibilità di morire di infarto: la nicotina accelera il battito cardiaco e aumenta la pressione del sangue.
Farla finita con le sigarette dà benefici dopo un anno e, dopo 15 anni di astinenza, l’eventualità di incappare in un problema cardiocircolatorio ritorna uguale a quella di un non fumatore.
Anche lo stress ha un ritorno negativo sulla salute e incrementa il rischio di eventi cardiovascolari, perché fa aumentare la pressione: non ci sono ricette magiche per vincerlo, ma può essere d’aiuto dedicarsi a pratiche di rilassamento o meditazione, come per esempio lo yoga.
5. Rimedi da bere?
A dar retta ad alcune pubblicità (qualcuna peraltro bloccata in passato dall’Antitrust), sembra che l’eccesso di colesterolo possa essere combattuto e sconfitto semplicemente bevendo quotidianamente una bottiglietta di latte fermentato arricchito di fitosteroli, sostanze di origine vegetale che ostacolano l’assorbimento del colesterolo da parte dell’organismo e diminuiscono quello “cattivo” (Ldl).
La loro efficacia è stata anche confermata dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Ricorrere a questi prodotti in modo “fai da te” rischia però di provocare più danni che benefici. Oppure, nella migliore delle ipotesi, di non servire a nulla.
Quindi, questi particolari latti non devono essere presi da coloro che non hanno necessità di controllare il livello di colesterolo.
Chi, invece, presenta un grado di rischio elevato e già assume farmaci, prima di utilizzare questi prodotti deve sentire il proprio medico.
Un'avvertenza, infine, per quanto riguarda gli integratori a base di riso rosso fermentato. Tali integratori contengono una sostanza, la monacolina K, che ha un effetto anticolesterolo paragonabile a quello delle statine e può scatenare gli stessi effetti indesiderati.
Questi integratori si possono comprare anche al supermercato, ma è come se fossero farmaci non autorizzati e per questo motivo bisognerebbe assumerli sotto controllo medico.