Colosseo: l’anfiteatro più bello del mondo

E’ il più grande e maestoso anfiteatro dell’antichità e un modello per tutti quelli che furono realizzati in seguito.

Inserito nel 1980 nella lista dei Patrimoni dell’umanità dall’UNESCO, fa parte, dal 2007, delle nuove sette meraviglie del mondo moderno.

Rappresenta il più imponente monumento di Roma antica ed è conosciuto ovunque come simbolo del capoluogo laziale e dell’Italia.

Nel 2017 è stato visitato da 7.036.104 turisti; numero che ne fa il monumento più frequentato d’Italia, prima degli Scavi di Pompei e degli Uffizi di Firenze. Scopriamolo insieme!

 

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1. Un’idea di Vespasiano e il lago preesistente

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  • Un’idea di Vespasiano
    «L’idea del Colosseo fu dell’imperatore Vespasiano (9-79 d. C.). Non voleva che Roma sfigurasse al confronto di città minori come Capua e Pompei che già avevano costruito i loro anfiteatri», afferma Massimo Polidoro, autore de L’avventura del Colosseo (Piemme).
    Non fu però solo una questione di prestigio, ma anche di potere.
    Organizzare giochi era decisivo per raccogliere consensi dal popolo, costituito perlopiù da grandi masse di individui senza una occupazione che vivevano di elargizioni.
    Anche in precedenza organizzava giochi chi aspirava a essere eletto magistrato o funzionario pubblico e a conquistare un potenziale bacino elettorale.
    Basti ricordare che Cicerone (106-43 a.C.), nel 63, anno del suo consolato, aveva promosso una legge che vietava di presentarsi alle elezioni a tutti coloro che avevano organizzato giochi gladiatori nei due anni precedenti.

 

  • Si dovette svuotare un lago
    L’area destinata a ospitare il Colosseo era occupata da un lago e Vespasiano diede ordine che venisse prosciugato attraverso imponenti scavi e un sistema di canali di scolo lungo più di tre chilometri.
    Una volta approvato il progetto, il grosso del lavoro fu realizzato tra la fine del 70 e il 79 d.C.
    «Curiosamente», ricorda Polidoro, «non si conosce il nome dell’architetto, considerato all’epoca poco più che un manovale, il cui nome non era degno di essere ricordato accanto a quello dell’imperatore».
    Vespasiano morì prima che il progetto fosse ultimato. Se ne occupò suo figlio Tito (39-81 d.C.), che lo inaugurò con più di tre mesi di festeggiamenti, inclusivi di una sequenza ininterrotta di combattimenti tra gladiatori, spettacoli di caccia, esecuzioni capitali e, secondo alcune fonti, anche di una naumachia, cioè una battaglia navale realizzata allagando l’arena.
    Le vittime furono migliaia. Nemmeno con Tito, però, i lavori furono ultimati. Fu il successore Domiziano (51-96 d.C.) a completare la sommità dell’Anfiteatro con un attico abbellito da scudi di bronzo dorato e a realizzare un complicato sistema di sotterranei, dove poter sistemare animali, condannati a morte, gladiatori e macchinari.
    «Poiché i tre imperatori appartenevano alla dinastia Flavia», precisa Polidoro, «l’edificio fu chiamato Anfiteatro Flavio o Teatro della Caccia. Sostituì il Circo Massimo quale luogo adibito alle venationes, cioè alle cacce di animali selvatici. Il nome Colosseo risale invece al Medioevo forse per la vicinanza del Colossus Neronis, una enorme statua voluta dall’imperatore Nerone per celebrare se stesso».

 

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2. Calce e sabbia vulcanica da mezzo chilometro di diametro

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  • Calce e sabbia vulcanica
    Per la costruzione del Colosseo i Romani utilizzarono per la prima volta una mescola di calce e sabbia vulcanica, l’opus caementicium, o cementizio, l’antenato del calcestruzzo, che superava qualsiasi malta conosciuta.
    Questa mescola, versatile, impermeabile e leggera, permise di rivoluzionare l’intera architettura romana, diventandone il contrassegno.
    Anche il mattone fu impiegato per la prima volta. Si calcola che per costruire il Colosseo siano stati necessari circa un milione di mattoni.
    I lavori durarono 9 anni e richiesero decine di migliaia di persone, tra cui schiavi, prigionieri di guerra giudei, ma anche semplici cittadini che prestarono la loro opera come muratori, fabbri, carpentieri ecc.
    Circa un quarto della popolazione di Roma fu coinvolto nel progetto.

 

  • Mezzo chilometro di diametro
    L’Anfiteatro Flavio era in origine una ellisse con un perimetro di 527 metri e un’altezza di 52 (escludendo i 6 dei sotterranei).
    Oggi, però, a causa di erosioni, terremoti e saccheggi vari l’altezza è diminuita a 48,5 metri.
    La forma ellittica rappresentava la soluzione migliore ai fini della visibilità degli spettacoli e, cancellando gli angoli morti, consentiva di mettere in scena cortei che iniziavano a un’estremità e finivano a quella opposta.
    Due erano gli assi principali, uno maggiore di 188 metri, alle cui estremità si trovavano la Porta Triumphalis (ovest), da cui entravano gladiatori e musicisti, la Porta Libitinaria (est), da Libitina, la dea della morte e dei funerali, da dove i combattenti uscivano morti, e uno minore di 156 metri. L’ingresso a sud era riservato all’imperatore, quello a nord a senatori, vestali e altre autorità.
    L’edificio poteva contenere 50mila persone sedute, che diventavano 73mila se gli spettatori sugli spalti più alti, quelli occupati dal popolino, rimanevano in piedi.
    Erano 80 le grandi scale numerate che guidava il pubblico in file suddivise all’interno dell’edificio e ne consentiva il deflusso completo in soli 3 minuti. I corridoi che consentivano l’accesso alle gradinate erano detti vomitoria, da vomere, espellere, vomitare.

 

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3. L’importanza dell’arco

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L’elemento architettonico principale dell’opera fu l’arco, che permise di sostenere pesi enormi.

Lungo l’anello esterno, 80 giganteschi archi, alti 7 metri, furono posti lungo il perimetro dell’Anfiteatro.

Su questo anello fu posto un altro anello di 80 archi e su questo un altro uguale per un totale di 240 archi. La facciata dell’Anfiteatro si componeva di 4 ordini: 3 inferiori e 1 superiore, l’attico, a parete piena, con mezze colonne squadrate in corrispondenza di quelle sottostanti.

Le colonne del primo livello erano di ordine tuscanico, forse di origine etrusca e simile al dorico, al secondo livello erano ioniche, al terzo corinzie.

All’interno di ogni arcata dei due livelli centrali si vedevano 80 statue di bronzo dorato, che spiccavano sul bianco del travertino con uno splendido effetto a distanza.

Nel terzo ordine vi erano le aquile, simbolo del potere di Roma. Nel secondo, statue rappresentanti eroi e dei come Apollo, Ercole ed Esculapio.

All’ultimo piano vi erano 40 finestrelle e lesene corinzie, intervallate da grandi scudi rotondi di bronzo scintillante, chiamati clipea.

In cima, sopra l’ultimo ordine, spuntavano infine 240 pali di legno ai quali erano legate le funi che permettevano di tendere il velarium: un’enorme tenda formata da numerosi spicchi di tela colorata e decorata che offriva ombra al pubblico sulle gradinate o lo proteggeva dalla pioggia.

Pesava 24 tonnellate ed era controllata da 320 funi di sostegno. La manovravano marinai della base navale romana di Miseno con un complesso sistema di carrucole e argani.

 

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4. Biglietti in coccio la fine dei giochi

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  • Biglietti in coccio
    S’entrava nell’Anfiteatro attraverso ognuna delle 80 arcate.
    Esse riportavano sopra di sé un numero, alto 34 centimetri, inciso nella pietra con lo scalpello e dipinto di rosso per permettere a chiunque di vederlo anche da lontano.
    I “biglietti” degli spettacoli erano contrassegni di coccio sui quali era indicata la porta d’ingresso che conduceva al cuneus o settore verticale di pertinenza.
    Negli anfiteatri delle origini, i primi che arrivavano potevano sedersi dove preferivano. In seguito si stabilì invece che il primo ordine di sedili fosse lasciato a disposizione dei senatori, seguiti dai clarissimi delle famiglie senatorie, gli ambasciatori stranieri, i magistrati curuli, i sommi sacerdoti e le vestali.
    Furono separati anche i soldati dal popolo, assegnati posti particolari ai plebei ammogliati e stabilito che nessuno del volgo malvestito sedesse nelle gradinate.
    Una disposizione che riproduceva capovolta la struttura piramidale della società romana: in basso, nei posti migliori, le massime autorità civili e religiose, in alto il popolino.
    L’ordine dei posti prevedeva anche una suddivisione per sesso. Alle donne, comprese moglie e figlie dei senatori, erano riservati gli scranni in legno più in alto, forse per risparmiare loro gli aspetti più sanguinari dei giochi.
    Qualche fonte, però, suggerisce che ciò fosse fatto per evitare promiscuità e impedire che le donne subissero il fascino dei corpi atletici dei gladiatori.
    I senatori e anche i cavalieri sedevano su sedili mobili, mentre gli altri su panche fisse rivestite di marmo o di legno nei livelli più alti.

 

  • Fine dei giochi
    Quando si conclusero definitivamente i giochi gladiatori al Colosseo?
    Sebbene alcune fonti ritengano che ciò sia avvenuto con un editto dell’imperatore Costantino (274-337 d.C.) dell’ottobre 325, è probabile che la loro fine sia coincisa con l’aggravarsi della situazione economica e politica nel IV secolo d.C. (guerre civili, invasioni barbariche) che rese sempre più difficile investire le somme cospicue necessarie per finanziare giochi all’altezza degli antichi splendori e per garantire la manutenzione del Colosseo.
    Ebbe anche un ruolo importante la diffusione dell’etica cristiana, che considerava crudeli gli spargimenti di sangue che seguivano alle lotte gladiatorie.
    Fatto sta che la messa al bando dei giochi risale al V secolo d.C.
    Nel 435 si svolsero infatti gli ultimi combattimenti tra gladiatori e nel 523 le ultime lotte tra animali.

 





5. Vita o morte, questione di pollice e le dicerie

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  • Vita o morte, questione di pollice
    Il pollice verso, o all’ingiù, è uno dei gesti più noti che ci venga dal mondo dell’antica Roma.
    Secondo la tradizione, decretava la morte del gladiatore in contrapposizione al “pollice in su”, che, al contrario, designava l’ordine di risparmiargli la vita. In realtà non abbiamo testimonianze antiche che dicano in maniera chiara quale significato attribuire ai movimenti dei pollici degli imperatori romani.
    Giovenale (50 o 60-dopo il 127 d. C.), nelle Satire, parla di verso pollice, ma non c’è nessun motivo per cui questa espressione debba riferirsi al pollice abbassato.
    Verso indica semplicemente che il pollice era girato in qualche direzione, ma quale fosse la direzione non è affatto specificato dalle fonti.
    Secondo alcuni, è probabile che l’opposizione gestuale non fosse tra “pollice in su” e “pollice in giù”, ma tra “pollice esteso” (orizzontalmente o in alto) e “pollice nascosto tra le dita”.
    Interpretazione comprensibile se si pensa che il pollice esteso, al di là della sua direzione, imitava il movimento della spada: una specie di esortazione a infilzarla nel corpo del malcapitato.
    Autori contemporanei, come John Lloyd e John Mitchinson, si dicono certi, invece, che il gesto del “pollice in su” significasse condanna.

 

  • Quante dicerie sul Colosseo
    Nel Medioevo sorsero molte leggende che associarono l’Anfiteatro Flavio a temi anticristiani.
    Si disse che il Colosseo fosse stato costruito dall’Anticristo, che il suo piano terreno ricalcasse la ruota solare, che in esso fossero rappresentati il corso del Sole e i segni zodiacali, che fosse il centro magico dell’Impero romano o la settima porta degli Inferi.
    Altre voci lo indicarono tra le sette meraviglie del mondo, costruito addirittura dal poeta romano Virgilio, ritenuto nel Medioevo un profeta e negromante.

 

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