Si chiama “forza” di volontà e non è più soltanto una metafora.
Per gran parte del Ventesimo secolo gli psicologi hanno liquidato la formula “volere è potere” come un concetto folcloristico e pseudoscientifico, un residuo degli sforzi divulgativi di un’epoca, quella vittoriana, che fu ossessionata dalla debolezza del carattere e che immaginò di contrastare le inedite tentazioni frutto dalla Rivoluzione Industriale affidandosi all’equivalente mentale della locomotiva a vapore.
Proprio come i muscoli, anche il cervello può essere allenato per rafforzare l’autodisciplina.
Oggi vi illustriamo i sorprendenti risultati delle ultime ricerche sull’origine della forza di volontà.
1. La "forza” di volontà
Si chiama “forza” di volontà e non è più soltanto una metafora.
Per gran parte del Ventesimo secolo gli psicologi hanno liquidato la formula “volere è potere” come un concetto folcloristico e pseudoscientifico, un residuo degli sforzi divulgativi di un’epoca, quella vittoriana, che fu ossessionata dalla debolezza del carattere e che immaginò di contrastare le inedite tentazioni frutto dalla Rivoluzione Industriale affidandosi all’equivalente mentale della locomotiva a vapore.
In Self-Help, un best-seller del Diciannovesimo secolo tradotto in italiano col titolo “Chi si aiuta Dio l’aiuta”, Samuel Smiles ha descritto la forza di volontà come un’energia che “rende l’uomo capace di aprirsi una via tra le opere tediose e l’aridità delle minuzie, e di giungere alle più alte posizioni”.
“Essa è più efficace del genio”, scrive Smiles, “e si può definire la vera potenza centrale nel carattere umano – è l’Uomo stesso, in una parola. Essa dà impulso a ogni sua azione e forza a ogni sua impresa”.
I vittoriani, però, non avevano un’idea precisa di che cosa potesse essere tale energia, né tanto meno disponevano di evidenze scientifiche al riguardo.
Freud teorizzò il sé come dipendente da attività mentali che comportavano un passaggio di energia, ma questa teoria energetica del sé venne in seguito largamente ignorata dai ricercatori.
Soltanto in epoche relativamente recenti, dopo che alcuni psicologi nel corso di esperimenti di laboratorio hanno osservato che i bambini in grado di resistere alle tentazioni diventavano poi individui di maggior successo in età adulta, i sociologi hanno cominciato a interessarsi al concetto vittoriano di “carattere”.
Se esiste una sorgente interna di energia, è possibile studiarla? La risposta parte da biscotti appena sfornati serviti nel laboratorio del professor Roy Baumeister: alcuni studenti (i soggetti sperimentali), fatti entrare nel laboratorio già affamati dopo un periodo di digiuno, si sono ritrovati in un ambiente pervaso dall’aroma di biscotti con gocce di cioccolato, ancora caldi.
Gli studenti sono stati fatti accomodare a un tavolo sul quale erano disponibili tre tipi di cibo: i biscotti, delle tavolette di cioccolato e una ciotola di ravanelli. Alcuni soggetti sono stati invitati ad assaggiare i dolci mentre ad altri più sfortunati sono toccati in sorte i ravanelli.
I ricercatori dell’équipe di Baumeister hanno poi lasciato gli studenti soli con il cibo, osservandoli attraverso un vetro nascosto. Gli studenti ai quali erano stati assegnati i ravanelli erano evidentemente in forte tentazione.
Molti ne hanno svogliatamente addentato uno dopo aver guardato i dolci con cupidigia, altri invece hanno preso in mano un biscotto per meglio gustarne l’aroma. Nessuno, però, ha assaggiato il cibo proibito.
Gli studenti sono stati poi accompagnati in un’altra stanza, dove si trovavano dei puzzle da ricomporre, e indotti a credere di essere sottoposti a un test d’intelligenza: in realtà, i rompicapo erano irrisolvibili.
I soggetti ai quali era stato concesso di mangiare biscotti e dolciumi si sono dedicati ai puzzle per 20 minuti in media, e lo stesso ha fatto il gruppo di controllo ai cui componenti, benché affamati, non era stato offerto nulla da mangiare.
Gli studenti ai quali erano stati offerti i ravanelli, invece, tormentati dalla tentazione, hanno rinunciato dopo appena 8 minuti, un tempo marcatamente inferiore rispetto allo standard delle prove sperimentali: lo sforzo richiesto dall’opporre resistenza al desiderio di consumare i dolci aveva sottratto loro le energie necessarie per confrontarsi con i puzzle.
Risentivano, dunque, delle conseguenze di una forma di affaticamento mentale definita da Baumeister “esaurimento del sé” e osservata anche da altri ricercatori, causata non soltanto dall’esercizio dell’autocontrollo ma anche dall’attività decisionale.
Tutti questi sforzi mentali (resistere ai dolciumi, imporsi di concentrarsi sul lavoro, decidere che cosa acquistare) sono “nutriti” dalla stessa fonte di energia psichica e minano la forza di volontà del soggetto.
“Per gli umani la forza di volontà è una vera e propria applicazione killer”, dice la professoressa Kathleen Vohs, psicologa presso l’Università del Minnesota.
“Essa consente di guardare al lungo termine, oltre i benefici immediati. Questa forza, però, si accompagna alla fragilità: ci è infatti impossibile esercitare un autocontrollo continuo. Così come il ghepardo eccelle in velocità, la specie umana eccelle nell’autodisciplina ma solo per una durata limitata, dopodiché abbiamo bisogno di una tregua”.
2. Il muscolo della mente
Per i ricercatori la forza di volontà è comparabile a un muscolo che si affatica con l’esercizio.
Come un muscolo, tuttavia, può anche essere allenata e sviluppata: lo ha scoperto Baumeister dopo aver raccomandato ad alcuni dei suoi studenti di lavorare sulla postura per alcune settimane.
Agli studenti è stato ricordato di tenere la schiena ben diritta, in posizione sia seduta sia eretta, invece di stare scomposti.
Quando sono ritornati in laboratorio, i soggetti osservati hanno dimostrato un miglior autocontrollo anche in attività che nulla avevano a che fare con la postura: imponendosi ripetutamente di stare composti, avevano potenziato anche la propria forza di volontà.
È vero che il carattere si può ‘formare’, come sostenevano i vittoriani, spiegano molti ricercatori. Alcuni semplicissimi esercizi di autocontrollo, come stare seduti ben diritti o cercare di concludere sempre le frasi mentre si parla, rafforzano l’autodisciplina, spendibile poi in ben altre, più importanti attività.
Una volta chiarito che la forza di volontà è un fenomeno fisico, i ricercatori hanno iniziato a ricercare la fonte di quell’energia. L’hanno individuata casualmente, dopo un esperimento, fallito, ispirato dalla ricorrenza del carnevale.
Il Martedì Grasso è tradizionalmente l’ultima giornata di stravizi prima del periodo della Quaresima, caratterizzato da digiuno e altre forme penitenziali. La teoria alla base del Martedì Grasso è che, lasciandosi andare a conclusione del carnevale, le persone accumulano sufficienti energie per poi riuscire ad attraversare le successive settimane di abnegazione.
Per testare la veridicità di questa teoria, il team del professor Roy Baumeister ha preparato dei deliziosi frappé di gelato, servendoli poi a un gruppo di soggetti durante la pausa tra due attività di laboratorio che richiedevano l’impiego di forza di volontà.
Come previsto, l’esperienza piacevole ha migliorato l’autodisciplina dei soggetti nel corso delle prestazioni successive. Gli scienziati hanno però scoperto, con grande sorpresa, che gli stessi effetti si ottenevano nel gruppo di controllo, al quale erano invece state somministrate bevande a base di latte magro, assai poco gustose.
Pur dichiarando di non aver tratto alcun piacere da quanto consumato, gli appartenenti al gruppo di controllo hanno comunque fatto registrare un miglioramento della forza di volontà.
Se non è la sensazione di piacere, potevano dunque essere le calorie a “nutrire” l’autodisciplina? L’idea sembrava inverosimile in quanto, per decenni, gli psicologi avevano studiato le performance mentali senza mai sospettare che potessero essere influenzate dal consumo di un bicchiere di latte.
I ricercatori amavano descrivere il cervello umano come un computer, studiandone le modalità di elaborazione delle informazioni ma ignorando costantemente un elemento essenziale di tutte le macchine: l’alimentazione.
3. La risposta è nello zucchero
Gli scienziati hanno così cominciato a interessarsi all’energia fornita dal glucosio, lo zucchero semplice sintetizzato dall’organismo a partire da tutti i tipi di cibo e non soltanto dai dolci.
I ricercatori hanno misurato il livello di glucosio nel sangue dei soggetti sperimentali prima e dopo l’esecuzione di semplici compiti, come guardare un video durante il quale alcune parole comparivano brevemente sullo schermo.
Ad alcuni individui è stato chiesto di non leggere quelle parole, mentre altri sono stati lasciati liberi di guardare il video come preferivano.
La differenza rilevata è stata estremamente significativa: i livelli di glucosio, rimasti costanti negli spettatori più rilassati, sono invece precipitati nei soggetti ai quali era stato chiesto di ignorare le parole.
Questo esercizio di autocontrollo apparentemente elementare era dunque associato a un forte calo delle riserve cerebrali di glucosio.
Per stabilire il rapporto di causa ed effetto, i ricercatori hanno tentato di “fare rifornimento” al cervello con una serie di esperimenti che prevedevano il consumo di limonata zuccherata oppure dolcificata artificialmente.
Lo zucchero determinava nei soggetti un rapido picco di glucosio, che invece risultava assente nei consumatori di limonata con dolcificante.
Gli effetti sono apparsi immediatamente evidenti quando ai partecipanti all’esperimento è stato chiesto di confrontarsi con un videogioco che inizialmente appariva semplice, per poi diventare in breve tempo impossibile da risolvere.
La frustrazione è aumentata in tutti i soggetti a mano a mano che il gioco procedeva ma i consumatori di limonata zuccherata si lamentavano pacatamente continuando a giocare, mentre gli altri inveivano, battevano il pugno sul computer e infine rinunciavano.
“I vantaggi associati all’autocontrollo hanno un costo metabolico”, spiega Nathan DeWall dell’Università del Kentucky, membro dell’équipe che ha identificato il legame tra zucchero e forza di volontà. “Tutte le attività mentali richiedono glucosio ma l’autocontrollo in particolare ne consuma una grande quantità”.
Lo stesso schema si è ripetuto più volte, anche testando i soggetti in situazioni diverse. La deprivazione di glucosio comportava un minor autocontrollo e inferiori capacità decisionali, oltre a un aggravarsi dei comportamenti irrazionali e alla preferenza per la gratificazione a breve termine a scapito di strategie migliori e più lungimiranti.
La somministrazione di una dose di glucosio, però, poteva alleviare l’effetto di “esaurimento del sé” arrivando talvolta a farlo regredire completamente.
4. Una stanchezza da cani
L’esaurimento del sé è stato osservato anche nei cani.
Negli esperimenti condotti da DeWall e Holly Miller, animali che avevano obbedito alla richiesta di rimanere seduti e a cuccia per 10 minuti fornivano poi prestazioni inferiori se sottoposti a test sull’autocontrollo e prendevano decisioni rischiose.
“Tendevano, infatti, ad avvicinarsi più facilmente ad un altro cane potenzialmente pericoloso che abbaiava minacciosamente contro di loro”, spiega Miller. “I cani non condividono solo il divano con i loro padroni ma anche la stessa reazione all’affaticamento derivante dall’esercizio dell’autocontrollo”.
Rispondono in maniera analoga alla nostra anche al ripristino della sorgente di energia: una dose di glucosio ristabilisce i livelli normali di autocontrollo, rendendo meno probabile lo scontro con un esemplare pericoloso.
Forse non ne abbiamo coscienza, ma il nostro corpo reagisce all’esaurimento del sé facendoci desiderare ardentemente la sferzata di energia apportata dal glucosio.
Nelle fasi della vita in cui è maggiore la necessità di autocontrollo, infatti, aumenta la voglia di dolci ma non l’appetito in generale: in laboratorio, studenti che avevano appena completato un’attività richiedente autodisciplina consumavano una quantità maggiore di snack dolci ma non di snack salati.
Addirittura anche la semplice previsione di dover far ricorso all’autocontrollo sembra avere lo stesso effetto. Per ironia della sorte i ricercatori che s’interessano di autodisciplina spesso offrono dolci ai soggetti sperimentali, quando invece la maggior parte delle persone vorrebbe avere sufficiente forza di volontà per negarseli.
I risultati ottenuti, poi, non possono essere presi a pretesto per ingozzarsi di cioccolata al di fuori del laboratorio: gli scienziati somministrano cibi zuccherati proprio perché producono effetti a breve termine ma una bevanda dolce determina un picco di energia immediatamente seguito da un crollo verticale del glucosio che fa sentire ancora più esauriti.
Meglio, dunque, scegliere cibi a basso indice glicemico, che vengono convertiti in glucosio più lentamente. Il risultato è un flusso regolare di “carburante” che va ad alimentare quella virtù tanto lodata da Samuel Smiles in epoca vittoriana. Se l’autocontrollo richiede volontà, è quindi opportuno rendersi conto dell’origine e dei limiti di tale forza.
“Il mio lavoro di ricerca mi ha fatto capire quanto sia meravigliosa e preziosa la nostra forza di carattere”, ha detto Roy Baumeister.
“Se la volontà sta per farmi difetto, ho imparato a percepirlo. Quando tutto comincia a sopraffarmi o a infastidirmi, sono in grado di rendermi conto che la colpa non è delle cose al di fuori di me ma dell’esaurimento delle mie risorse interne: ho bisogno di riposare e di mangiare qualcosa, attendendo poi che le sostanze nutritive entrino in circolo”.
Finché il cibo non arriva in soccorso, Baumeister si affida a un semplice mantra: niente glucosio, niente forza di volontà, niente decisioni importanti.
5. Come potenziare la volontà
Ecco alcuni trucchi e consigli per rafforzare la propria autodisciplina:
- ALLENARE LA MENTE
Almeno una dozzina di studi importanti dimostra che la forza di volontà può essere incrementata nel tempo con semplici esercizi di autocontrollo, come stare seduti diritti o lavarsi i denti con la mano “sbagliata”.
Il segreto è spezzare la routine: si può anche, per esempio, tentare di parlare evitando le abbreviazioni oppure senza dire “cioè”.
Meditazione e preghiera sembrano aiutare: osservando persone impegnate in queste attività, i neuroscienziati hanno notato una forte attività in due aree cerebrali deputate, tra l’altro, all’autodisciplina.
È forse questo il motivo per cui chi ha fede in genere ottiene punteggi molto alti nei test sull’autocontrollo: queste persone hanno già allenato la propria forza di volontà osservando i rituali rigorosi previsti da molte religioni (recitare preghiere quotidiane o digiunare in alcuni periodi). - MONITORARE I PROGRESSI FATTI
Chi si pesa tutti i giorni tende a dimagrire più facilmente di chi si pesa una volta alla settimana. E chi tiene un diario alimentare perde più peso di chi non lo fa. Qualunque sia l’obiettivo prefissato, monitorare i progressi fatti lo rende più raggiungibile.
Può essere una seccatura ma è fattibile anche grazie a strumenti digitali che raccolgono dati al posto nostro. Ci sono gadget e app per controllare il peso, il consumo di calorie, i passi fatti ogni giorno, le ore di sonno, le variazioni dell’umore, come si spendono i soldi e quanto tempo si spreca navigando in Rete.
Questi strumenti segnalano il superamento delle soglie previste, che si tratti di spese o di calorie. Possono persino inviare sms agli amici o al capo. Un assortimento è disponibile su siti come quantifiedself.com e lifehacker.com. - PRESERVARE LA FORZA DI VOLONTÀ
In uno studio tedesco si è rilevato che le persone con i più alti livelli di autocontrollo dedicano meno tempo degli altri a opporsi alle tentazioni.
Sembrava un risultato paradossale, finché non è emersa la spiegazione: chi è più autodisciplinato non ha un particolare bisogno di ricorrere alla forza di volontà perché è meno assediato da desideri e conflitti interiori. Si organizza la vita evitando le situazioni a rischio, come i buffet a consumazione libera...
Per quanto forte sia la volontà, si esaurirà se vi si attinge in modo indiscriminato: però, la si può preservare, riducendo al minimo le tentazioni e adottando abitudini che non richiedano uno sforzo cosciente.
Ci si può anche affidare a “risorse esterne”, per esempio allenandosi con un amico anziché da soli. Così si delegano un po’ di sforzi alla sfera sociale e si conserva la propria determinazione, per farvi ricorso per affrontare sfide impreviste.
Note
Autocontrollo uguale successo
Quanto è importante la virtù dell’autocontrollo? Le prove si accumulano da decenni, a partire da un esperimento condotto presso la Stanford University, in California, nel quale bambini di quattro anni di età sono stati lasciati soli con un marshmallow, un dolcetto di zucchero.
Ai piccoli è stato detto che potevano mangiarlo quando volevano ma anche che, se avessero resistito fino al ritorno del ricercatore, avrebbero ricevuto un secondo dolcetto.
Questo semplice test ha consentito di fare previsioni esatte sui futuri successi dei bambini: quelli che erano riusciti a trattenersi, conquistando così il diritto al secondo marshmallow, hanno poi avuto voti migliori a scuola, sono risultati più popolari e hanno percepito redditi più alti da adulti.
Poco tempo fa, è stata pubblicata la ricerca più autorevole sull’autocontrollo precoce. Un team internazionale di scienziati ha tenuto sotto osservazione in Nuova Zelanda 1.000 bambini, dalla nascita fino all’età di 32 anni.
I ragazzi che hanno dato prova di maggior autocontrollo sono diventati adulti fisicamente più sani, con una minor incidenza di obesità e di malattie sessualmente trasmesse e perfino denti più forti (pare che l’autodisciplina induca a usare con più regolarità spazzolino e dentifricio).
Invece, i bambini che avevano dimostrato scarso autocontrollo sono diventati adulti più poveri, dediti a impieghi poco remunerativi, con pochi risparmi, meno case di proprietà e meno accantonamenti per la pensione. Hanno avuto più figli, spesso cresciuti in famiglie monoparentali, forse per l’incapacità dei loro genitori di adattarsi all’impegno richiesto da una relazione a lungo termine.
Al contrario, i bambini con un buon autocontrollo hanno avuto per la maggior parte matrimoni saldi e figli allevati in contesti biparentali. Infine, per i bambini dotati di scarso autocontrollo è risultata più alta la probabilità di finire in carcere da adulti.
Certamente alcune di queste differenze sono da mettere in relazione a intelligenza, classe sociale e razza ma tutti gli esiti sono rimasti comunque significativi anche tenendo conto di questi fattori.
In uno studio di controllo, gli stessi ricercatori hanno valutato fratelli e sorelle per confrontare individui cresciuti nello stesso contesto familiare: ancora una volta il fratello che ha dato prova di minor autocontrollo nell’infanzia è poi andato incontro quasi sempre a un destino peggiore. I risultati parlano da soli: l’autocontrollo è essenziale per il successo nella vita.