Hai il cellulare sempre in mano? Non sei certo il solo: un’indagine del 2017 ha mostrato che, in media, dedichiamo ai nostri telefoni ben 145 minuti al giorno, ovvero oltre 36 giornate all’anno.
Per alcuni, è diventato qualcosa di più di una brutta abitudine: i centri di igiene mentale, che un tempo trattavano esclusivamente dipendenze da alcol e stupefacenti, oggi si occupano anche di disturbi legati alle nuove tecnologie.
Una di queste strutture sanitarie è a Londra: Richard Graham lavora al Nottingham Hospital della capitale britannica come responsabile del Servizio Dipendenze dalle Nuove Tecnologie, e ha raccontato storie di pazienti, passati e presenti, che ci suonano familiari.
Ryan è un adolescente che trascorre dalle 8 alle 19 ore al giorno davanti a uno schermo, dopo la scuola, soprattutto guardando video su YouTube. Holly, invece, è ossessionata dal conteggio dei suoi follower su Instagram, mentre
Ollie, poco più che ventenne, è in preda alla mania del gaming e di Netflix. Di recente, ha detto Graham, il ragazzo ha preso coscienza di quanto limitato sia diventato il suo mondo e ne è rimasto sconvolto: “Sente di aver rinunciato a relazioni, amicizie e tante altre cose che, ora lo sa, avrebbe invece desiderato”.
Tutto ciò solleva un interrogativo: quand’è che una semplice abitudine diventa un problema? Per dipendenza dalle tecnologie si intende ogni forma di assuefazione all’uso di dispostivi elettronici, soprattutto smartphone e console per giochi.
Le stime del numero di persone interessate variano da ricerca a ricerca: si va dal due al sei per cento circa della popolazione, a seconda dei Paesi e delle fasce di età.
L’uso smodato di apparecchiature elettroniche è stato messo in relazione a disturbi quali privazione del sonno, ansia e depressione: le prospettive non sono buone.
La “vera” dipendenza da tecnologia, per cui non poter giocare a League of Legends o controllare il proprio profilo Instagram dà gli stessi sintomi dell’astinenza da eroina, è sicuramente un grave problema per chi ne è colpito.
Ma anche senza arrivare a questi estremi, è raro trovare qualcuno che intrattenga un rapporto realmente equilibrato con i dispositivi elettronici, e con lo smartphone in particolare.
Guardiamoci: camminiamo con gli occhi fissi allo schermo del cellulare, rischiando di scontrarci con un palo della luce o di essere investiti. Non interagiamo con le persone che ci circondano, non dormiamo a sufficienza di notte.
Già questo livello di utilizzo intensivo è sufficiente a minare la nostra salute, per non parlare del nostro benessere e della nostra felicità. È vero che molti di noi si affidano alle nuove tecnologie per lavorare e per rimanere in contatto con amici e parenti.
Al giorno d’oggi, si tratta di pratiche non soltanto inevitabili ma estremamente utili. Nella maggior parte dei casi, non si può parlare di vera e propria dipendenza, ma di certo di pesante interferenza con la vita quotidiana.
Ecco perché le strategie messe a punto per trattare le persone più gravemente colpite possono aiutarci a utilizzare le risorse tecnologiche in maniera più sana. Vediamo, dunque, come disintossicarci.
1. FOMO, una malattia moderna
Per capire quanto può essere forte l’influenza esercitata dai dispositivi elettronici, è utile esaminare i risultati delle ricerche sulle dipendenze vere e proprie.
Lo psicologo Mark Griffiths, direttore dell’unità internazionale di studi sul gioco “International Gaming Research Unit” della Nottingham Trent University, è un pioniere in questo campo: dopo vent’anni di ricerche, è giunto alla conclusione che la “dipendenza da Internet” e quella “da smartphone” sono definizioni inesatte.
Le persone ossessionate dal gaming in rete, o dal gioco d’azzardo online, dal sesso o dagli acquisti sul web non sono, in realtà, “drogati” di Internet, ma più propriamente, dipendenti dal gioco, dal sesso o dallo shopping, che utilizzano la rete come mezzo per dedicarsi ai propri comportamenti compulsivi.
Se una persona con una dipendenza da gaming gioca sullo smartphone, le modifiche strutturali a carico dei suoi circuiti cerebrali della gratificazione, alla base del desiderio smodato, sono ricollegabili alla pratica del gioco e non all’uso del telefono.
L’esposizione ripetuta a un gioco (oppure a un comportamento o a una sostanza che danno assuefazione) induce i neuroni del nucleus accumbens e della corteccia prefrontale, le zone del cervello responsabili, rispettivamente, della motivazione e della decisionalità, a comunicare in modo tale da trasformare il semplice apprezzamento in desiderio: in altre parole, si inizia a volere ossessivamente l’oggetto della propria dipendenza.
Forse, la frequentazione dei social network è una delle poche forme di reale “dipendenza da Internet”, poiché non esiste un equivalente “offline”: anche in questo caso, però, il meccanismo di assuefazione ha per oggetto una app, e non il web, e pertanto la compulsione andrebbe definita “dipendenza da social networking”, secondo Griffiths.
Queste distinzioni sono fondamentali per individuare una terapia: negli Stati Uniti, il “disturbo da gioco su Internet” ora è una patologia psichiatrica formalmente riconosciuta.
Un paziente, che ha partecipato a un programma statunitense di riabilitazione dalla dipendenza da Internet chiamato reSTART, ha confessato al quotidiano britannico The Guardian che era solito dedicarsi ai videogame per 14 o 15 ore al giorno, con Netflix in sottofondo.
Nelle pause, avviava un gioco sul telefono oppure mandava un messaggio a una ex fidanzata: tra i pazienti clinicamente dipendenti che Graham ha in cura al Nightingale Hospital, il gaming è una delle pratiche più diffuse.
Per molti di noi, invece, il problema maggiore sono i messaggi di testo, Snapchat, Twitter, Facebook e altre app che abbiamo scaricato sui nostri smartphone e che portiamo costantemente con noi.
In una recente indagine sull’uso dei cellulari nei college statunitensi, per esempio, gli studenti intervistati si descrivono come “fanatici” (12 per cento) o “dipendenti” (7 per cento).
“I nostri telefoni sono diventati strumenti che ci forniscono gratificazioni immediate, istantanee e di breve durata”, ha osservato Isaac Vaghefi dell’Università di Binghamton, che ha diretto lo studio. “Nel tempo, questo ci porta a desiderare regolarmente riscontri rapidi e gratificazioni immediate”.
Controllare i messaggi sui social media può diventare quasi una compulsione: la colpa è della FOMO, l’acronimo inglese che sta per “Fear Of Missing Out”, la paura di perdersi qualcosa, di rimanere tagliati fuori.
Si tratta di una moderna forma di ansia sociale che ci porta a credere che qualcosa di interessante o di divertente stia accadendo altrove, in rete.
2. L’uso intensivo di un solo tipo di tecnologia e l'isolamento dal mondo reale
In un mondo in cui tanti di noi hanno in tasca uno smartphone, e si affidano ai propri dispositivi per mantenersi in contatto con tutti i loro conoscenti, come possiamo essere certi, innanzitutto, di avere effettivamente un problema?
Se ci accorgiamo che giocare online, controllare Twitter o guardare Netflix sono abitudini che diventano sempre più invasive, è bene ricordare l’osservazione di Graham, secondo la quale l’uso intensivo di un solo tipo di tecnologia in particolare può essere un campanello d’allarme.
Lo scienziato elenca alcuni esempi: “I gamer che ripetono continuamente lo stesso gioco, le persone che frequentano sempre la medesima piattaforma social, o chi iniziano a guardare una serie TV su Netflix e non riescono a smettere finché non è finito il boxset, invece di vedere un episodio per volta”.
Graham invita le persone a essere anche consapevoli di cambiamenti a livello organico che potrebbero essere spie di dipendenza: la maggioranza di noi, avverte, ha bisogno di circa otto ore di sonno per notte (si può dormire di meno, ma a farne le spese è la salute, fisica e mentale).
Se, per utilizzare le nuove tecnologie, non si riposa abbastanza, o se si osservano alterazioni del proprio ritmo sonno-veglia (per esempio, se si ha bisogno di puntare la sveglia per alzarsi in tempo, o se al mattino ci si sente particolarmente letargici), siamo di fronte a sintomi indicativi di un problema.
Se le abitudini alimentari appaiono modificate (se si saltano i pasti), o si sceglie di consumare piatti pronti per ritornare il più in fretta possibile davanti a uno schermo, o se si rinuncia a dedicarsi all’esercizio fisico per la durata minima raccomandata di 30 minuti al giorno, il ricorso alla tecnologia potrebbe aver preso il sopravvento, con gravi danni per la nostra salute.
Un altro sintomo potrebbe essere non vedere gli amici tanto spesso quanto si faceva prima, ma poiché i gamer e gli amanti dei social media potrebbero replicare di essere comunque in contatto con tante persone, in rete, è più sicuro concentrarsi sulle evidenze biologiche della compulsione, suggerisce Graham.
Va ricordato, però, che i rapporti sociali sui Internet non sono equiparabili alle amicizie reali: un recente studio condotto su americani adulti di età compresa tra 19 e 32 anni ha evidenziato che chi riferiva di trascorrere oltre due ore al giorno su piattaforme come Facebook, Snapchat e Instagram si sentiva più socialmente isolato di coloro che invece frequentano questi siti non più di mezzora quotidianamente.
Capire di avere un problema è un passo importante: ma a questo punto, che fare?
3. Detox digitale
Alcuni ricercatori rivolgono l’attenzione alle apparecchiature stesse: un’équipe dell’Università di Bournemouth ha proposto di integrare nei dispositivi dei sistemi di segnalazione detti “etichette intelligenti”, che stabiliscano un limite massimo di utilizzo, e avvisano l’utente quando questo viene superato.
A differenza delle avvertenze che già si trovano sulle confezioni di sigarette e bevande alcoliche, queste etichette digitali potrebbero essere interattive, per esempio cambiando il colore dello sfondo quando lo schermo è stato utilizzato per una certa durata, oppure inviando messaggi personalizzati in base agli interessi degli utenti.
Sono già disponibili app che consentono di monitorare il tempo trascorso su Internet, ma le persone con sintomi di vera e propria dipendenza hanno bisogno di un aiuto in più.
Graham tratta questi pazienti sottoponendoli a una fase iniziale di 72 ore di disintossicazione, che prevede astinenza completa dalle nuove tecnologie.
È una prova molto dura, e spesso i soggetti sperimentano crisi del tutto equiparabili a quelle scatenate dalla sottrazione di sostanze stupefacenti. I
l fine della terapia riabilitativa, naturalmente, è l’astinenza completa: ma poiché pochi di noi, nella vita di tutti i giorni, possono rinunciare a qualsivoglia risorsa tecnologica, la fase successiva del trattamento prevede la reintroduzione controllata. La disintossicazione può avere effetti profondi, sostiene Graham.
Quando ha iniziato a offrire il servizio, nel 2010, aveva previsto che i pazienti dovessero trascorrere periodi di tempo molto lunghi in contesti residenziali: invece, con la pratica, soprattutto riferita a pazienti nell’età evolutiva, ha poi scoperto che i genitori che partivano con i figli adolescenti per un fine settimana o una vacanza, lasciando a casa tutti i gadget elettronici, ottenevano risultati sorprendenti.
4. Darsi delle regole più severe in tema di utilizzo delle tecnologie
Dopo 72 ore o una settimana senza tecnologia, infatti, con più tempo per il riposo e livelli inferiori di ansia sociale, molti pazienti non manifestavano più la famigerata FOMO, la paura di restare “fuori dal giro”.
“È un po’ come scendere da una giostra”, ha semplificato Graham.
“Nell’universo online, saranno accadute tante cose: nuovi feed relativi agli ultimi video di tendenza, nuovi sviluppi nel settore gaming. Ma una volta superato il timore di rimanere indietro, ci si sente più rilassati e a proprio agio”.
I pazienti acquisiscono così una visione più equilibrata del ruolo dei dispositivi elettronici nella propria vita, ha spiegato Graham. Completata la disintossicazione, i gadget possono anche essere riaccesi: ricominceranno ad arrivare le notifiche, che reclameranno attenzione.
“Ma io credo che, nella lotta tra umano e macchina, riuscire a tenere il telefono spento anche soltanto per alcuni giorni e sperimentare quanto ciò ci faccia sentire diversi sia di grandissimo aiuto”, ha sottolineato Graham. È una tecnica che può servire anche a coloro che non soffrono di dipendenza vera e propria.
Il passo successivo è darsi delle regole più severe in tema di utilizzo delle tecnologie, e stabilire delle priorità, riconoscendo quali sono le cose che regalano vere soddisfazioni, e non un piacere istantaneo ed effimero.
A tal fine, si può adottare un approccio che si è rivelato molto utile nel trattamento della depressione, ha detto Graham: le persone depresse tendono a isolarsi socialmente e a fare più raramente le cose che le fanno sentire bene, come andare in mountain bike o cucinare, dipingere o suonare.
Se si riesce ad aumentare la frequenza con cui ci si dedica a queste passioni, al contatto interpersonale diretto e all’esercizio fisico, si otterrà, oltre al fondamentale beneficio garantito dalla pratica delle attività preferite, anche un’inevitabile riduzione del tempo riservato alle nuove tecnologie.
È improbabile che saremo in tanti a buttare via lo smartphone, ma saper riconoscere quando la tecnologia occupa uno spazio eccessivo nella nostra vita, e organizzare brevi periodi di “black out” tecnologico (spegnere i gadget elettronici per un’ora, un giorno, o un intero weekend) sarebbe senz’altro auspicabile per tutti noi.
5. Cinque consigli utili su come costruire un rapporto sano con lo smartphone
- Ridurre l’esposizione per gradi
La tentazione di controllare il telefono può diventare un riflesso, un’abitudine: per alcuni, è già difficile stare pochi minuti senza guardare lo schermo.
Se vi riconoscete in questa descrizione, provate a trattenervi per 15 minuti.
Quando ci sarete riusciti, provate a resistere 30 minuti senza controllare lo smartphone, poi un’ora, e poi alcune ore al giorno.
- Monitorare l’uso
Scaricate un’app che misuri la quantità di tempo che trascorrete su Internet (per esempio, Moment o AntiSocial).
Questo vi aiuterà a rendervi conto del problema: è un primo passo verso la sua risoluzione.
- Acquistare una sveglia
Non usate il telefono come sveglia, o per prima cosa, al mattino, sarete tentati di leggere i messaggi e le e-mail.
Andate ancora oltre, e non portate neppure il cellulare in camera da letto: le ore del sonno e dei pasti devono diventare “smartphone-free”.
Portate al polso un orologio, così non controllerete più la posta elettronica o le notifiche ogni volta che vi servirebbe solo sapere che ore sono.
- Fare pulizia tra i contatti
Quanti sono gli “amici di Facebook” con i quali dialogate veramente?
Limitate il numero di notifiche e distrazioni eliminando contatti inutili dai social network, cancellando app inutilizzate e abbandonando i gruppi che non vi interessano.
Anche i giochi che assorbono una quantità di tempo eccessiva dovrebbero essere rimossi dal telefono.
- Imparare ad aspettare
Siate consapevoli dei vantaggi che otterrete evitando di controllare continuamente il 4 telefono.
Le persone che rispondono immediatamente ai messaggi tendono a scrivere di più di chi invece aspetta e gestisce poi le notifiche tutte insieme.
Saper aspettare vi regalerà più tempo da dedicare ad altre attività.