Quando il nostro cane si appropria di qualcosa, dobbiamo essere in grado di ridurre il suo desiderio di possesso, se necessario.
Non serve alcuna prepotenza: basta usare il cervello… A dirla tutta, non dovremmo stupirci né tanto meno offenderci.
Per il nostro amico, infatti, tenere un qualcosa presso di sé, evitando che chiunque altro possa portarglielo via, è e sarà sempre un comportamento del tutto naturale.
Il problema potrebbe nascere nel momento in cui, tra le strategie adottate in funzione del mantenimento, emergessero azioni di minaccia o peggio di attacco.
In tali casi, infatti, sorgono questioni di “buon vivere sociale” e dal nostro punto di vista non è ammissibile che il nostro amico possa divenire pericoloso per noi stessi o per gli altri.
Quindi, è importante trovare una mediazione tra la spontanea inclinazione del cane a “proteggere” ciò che ritiene proprio e la sua disponibilità a dividere e condividere.
Un tale obiettivo può essere perseguito agendo fin dai primi giorni di convivenza, evitando così l’insorgere di pericolose abitudini.
Inoltre, le tecniche utilizzate dovranno evidenziare i possibili vantaggi del non tenere tutto per sé, escludendo ogni idea di perdita esclusiva di un beneficio.
Se saremo stati coerenti, con il coinvolgimento dell’intera famiglia, la fatidica “par condicio” verrà raggiunta senza grandi difficoltà.
La possessività del nostro cane è naturale ma va gestita. Scopriamo insieme come.
1. Oggetti animati e non e le convinzioni che motivano l’azione
Un possibile comportamento possessivo si verifica solo nei confronti di qualcosa di “tangibile”, precisando quindi che la possessività, per essere tale, deve riferirsi a un “oggetto” sul quale destinare l’attenzione.
L’oggetto in questione potrà avere carattere “inanimato” o “animato”.
Nel primo caso, i principali riferimenti riguardano, per esempio, lo spazio occupato, il cibo, i possibili giochi e tutto ciò a cui il cane attribuisce un valore.
Nella seconda ipotesi, si fa riferimento a soggetti “viventi”, si tratti di un conspecifico, di un componente della famiglia o di un altro animale con il quale il nostro amico abbia stretto un rapporto di relazione.
Tutti questi “oggetti” prenderanno il nome di “risorse”, poiché ritenute fondamentali per il benessere di colui che le “possiede”.
Un altro aspetto necessario affinché si possa parlare di “possessività” si riferisce a chi potrebbe divenire una “minaccia” rispetto al mantenimento di una determinata risorsa.
Il nostro cane, infatti, non attiva il suo stato di possessività in mancanza del pericolo, o del timore, che qualcun altro possa sottrargli l’oggetto del suo interesse.
Ma quali sono le convinzioni che motivano l’azione (le cosiddette “credenze”)? Abbiamo spiegato che il cane può decidere di difendere quel che ritiene essere suo soltanto se reputa che qualcuno voglia sottrarglielo.
Ciò è determinato da un processo cognitivo denominato delle “credenze”; si tratta di una convinzione, corretta o meno, che il bene di cui si pensa di essere proprietari stia correndo un effettivo pericolo.
Dinanzi a tale riflessione interiore, il “possessore” si muoverà verso un’ulteriore “credenza”, identificabile nel ritenere che l’adozione di una certa strategia divenga il miglior modo per scongiurare la possibile perdita.
Questa stessa “credenza” andrà addirittura oltre, assumendo il cane la consapevolezza che il possibile “ladro” della risorsa, dinanzi alla rivendicazione espressa dal cane, interromperà il tentativo di sottrazione.
Sarà quindi questo concatenarsi di “superstizioni” che attiverà la reazione di possesso, quasi si trattasse di uno spettacolo “teatrale” ove i diversi attori recitano la parte loro affidata.
2. Come si manifesta
L’aggressività è spesso l’ultima chance ma...
La possessività viene manifestata in differenti modi dai cani e la scelta dipende da diversi fattori.
In generale, il nostro amico agisce attraverso quel particolare processo cognitivo denominato “tentativi ed errori”. Proverà cioè a comprendere quale, tra le azioni adottate, sia proficua rispetto all’obiettivo primario: mantenere il controllo di una certa risorsa.
Nel caso in cui la tipologia di azione esibita determinasse un successo, verrà mantenuta anche nel futuro e in tutte le situazioni analoghe rispetto a quella originaria.
Diversamente, se l’opzione adottata non funziona, verrà proposta un’altra strategia e questo sino a quando l’obiettivo non sarà stato raggiunto.
In questo modo, la possessività mediante la minaccia sarà spesso “l’extrema ratio” successiva a precedenti modalità non andate a buon fine, come fuggire con l’oggetto, nascondersi in qualche zona di riparo o tentare di “negoziare” con la controparte.
La prima tecnica, fuggire dalla possibile “minaccia” di sottrazione, sarà, almeno all’inizio, la preferita: il cane ritiene che allontanarsi dallo “stimolo” di pericolo possa essere sufficiente.
Purtroppo, in molti casi, chi intende appropriarsi del “bene” tende a seguire il cane, vanificando la sua scelta. Anche nascondersi in qualche zona di difficile accesso non è risolutivo, perché prima o poi quella certa zona dovrà essere abbandonata.
Infine, le sofisticate tecniche di “pacificazione”, fatte di spostamenti della testa, sguardi verso l’ignoto e battiti di ciglia, non sempre vengono colte dall’altra parte, con l’inevitabile passaggio all’ultimo tassello: la minaccia.
Poiché ringhi e denti spesso funzionano molto bene, scoraggiando il concorrente, il cane apprende che il sistema funziona... e la prossima volta riproporrà subito questo comportamento, a maggior ragione se la “risorsa” da difendere sarà un soggetto “vivente”, un famigliare, un conspecifico o un altro animale importanti per il cane.
3. Anche la razza conta
Poiché è istintivo, il comportamento possessivo ha una base “ontogenetica” e “filogenetica”, cioè legata allo sviluppo dell’individuo e della specie cui appartiene.
E nel caso dei cani, anche della razza. Un comportamento, infatti, può essere stato selezionato in misura maggiore in alcune razze, mentre in altre essere affievolito o assente.
Ecco perché cani da riporto, da ferma e da cerca, che oltre a scovare la selvaggina sono stati selezionati anche per riportarla, saranno meno inclini al controllo delle risorse.
Al contrario, razze destinate alla gestione degli spazi, alla difesa dei beni o degli armenti, potranno manifestare una spiccata propensione al mantenimento del possesso.
In tutte queste ipotesi, il “pattern possessivo” diventa una dote caratteriale più o meno sviluppata e la miglior soluzione nella gestione di ciascun individuo sarà proprio quella di comprenderne le caratteristiche “specie-specifiche” che, nel caso del cane, diventano “razza-specifiche”.
In aggiunta, se ci troveremo dinanzi a un soggetto preposto a reclamare la proprietà di ciò che ritiene essere una risorsa, dovremo fin da subito introdurre modalità di intervento volte a mitigare una tale predisposizione: le impostazioni correttamente introdotte nei primi mesi di vita, infatti, producono risultati a medio e a lungo termine.
Al contrario, spostare il lavoro di prevenzione nei periodi successivi all’infanzia riduce le probabilità di un successo completo. Ma se è il nostro cane è già possessivo come possiamo rimediare?
Se il nostro amico ha avuto modo di sviluppare una certa possessività, dobbiamo agire con esercizi fondati sull’assioma “dal meno al più”. Inizialmente, lasceremo a sua disposizione oggetti di scarsa importanza, effettuando poi lo scambio con cose molto ambite.
Per esempio, se l’episodio di possessività si fosse verificato verso un succulento osso trovato per strada, conviene agire come segue, ma in un secondo momento: proponiamo al cane un alimento non molto attraente, per esempio una fetta di mela, e proponiamo in cambio... un bel pezzo di pancetta!
Progressivamente, potremo alzare la posta, tenendo sempre a disposizione una “moneta di scambio” di maggiore valore.
Se il comportamento possessivo si verifica verso un soggetto vivente, per esempio un famigliare o un altro cane, l’obiettivo sarà far comprendere al cane che la presenza di altre persone non andrà in alcun modo a produrre una perdita di quella “risorsa sociale”.
Si tratta di rinforzare il proprio cane dinanzi a comportamenti di accettazione di colui o coloro intesi in origine come minaccia, insegnando azioni specifiche di controllo quale lo stare seduto al nostro fianco senza proferire parola. Se il cane lo fa... lodi e bocconi!
4. Tutti vincenti
Perché la possessività non emerga come comportamento costante oppure per scongiurarla, è molto efficace il metodo “sottrazione/addizione”.
Ha lo scopo di far comprendere che l’eventuale rilascio di ciò che si ritiene “proprio” comporterà un vantaggio precedentemente non presente, il cui valore sia pari o superiore al beneficio “perduto”.
Per esempio, se il nostro amico afferra qualcosa di inadeguato, come il classico fazzolettino di carta sporco trovato per strada, per far sì che lo ceda (“sottrazione”), dovremo proporgli in cambio qualcosa di ambito, come un gustoso boccone (“addizione”).
Se invece non ha afferrato qualcosa di “pericoloso”, per esempio un gioco, potremo aggiungere al patto dello scambio la successiva rimessa a disposizione del gioco medesimo. La procedura consiste quindi, nella sottrazione della “risorsa”, nel riproporre la risorsa stessa.
In tutti questi casi, il nostro cane costruisce una nuova “credenza”: la perdita momentanea di ciò che è ritenuto importante determina l’ottenimento di un qualcosa d’altro di allettante, oppure il ritorno in possesso del bene originario.
Queste tecniche di “compensazione” sono efficaci soprattutto in via preventiva, quando il meccanismo di possesso non è ancora stato attivato. Se invece il comportamento è già presente, dobbiamo agire diversamente.
5. Una formula interessante
Le tecniche preventive e risolutive da applicarsi al comportamento possessivo hanno prodotto nel tempo vere e proprie “formule” di intervento.
La più ampia, chiamata “formula della dominanza”, prende in considerazione tre parametri diversi:
1) il “potenziale di mantenimento” della risorsa
2) il “valore” della risorsa
3) il “costo” della risorsa.
Per “potenziale di mantenimento” ci si riferisce a ciò che il cane è disposto a compiere per difendere un "bene", mentre il "valore" della risorsa riguarda l'importanza che quello stesso individuo attribuisce alla sua “proprietà”; il “costo” della risorsa indica ciò che il nostro amico dovrà compiere per ottenere il bramato “bene”.
Ne consegue che maggiore sarà il costo, minori diventeranno il potenziale di mantenimento e il valore e, quale risultato finale, più ridotto sarà il livello di dominanza espresso dal cane verso quello stimolo specifico. E viceversa.
Questo modello è anche correlato all’importanza dell’attività psicofisica da far compiere a ogni individuo: la destinazione delle energie verso azioni e comportamenti di differente tipologia riduce l’interesse verso la difesa di una risorsa specifica.
In altre parole, il cane sarà talmente appagato da quanto compiuto all’interno di ogni giornata che l’idea e la volontà di dedicarsi alla “guardia” di un “bene” diventeranno superflue!
Un’altra possibile tecnica di riduzione ed eliminazione del comportamento di possessività si rifà al concetto di “affaticamento specifico di attività”, secondo il quale la moltiplicazione dell’oggetto ritenuto di estrema importanza comporterà, proprio per la sua abbondanza, una riduzione dell’interesse verso di esso.
Tale impostazione è efficace soprattutto con l’impiego di alimenti o di giochi, secondo l’assunto per cui averne in elevata misura, per numero e tipologia, impedisce di polarizzare l’attenzione su un solo elemento.
Ci troveremo, quindi, dinanzi all’estinzione del comportamento possessivo per “assuefazione allo stimolo”. In ultima analisi, varrà sempre l’equazione dell’aggiunta a ciò che si ha.
Nessun cane continuerà a fare la guardia alla ciotola se capirà che il nostro avvicinarci a essa comporterà l’introduzione di altro alimento, addirittura più gustoso.