Ci sono persone così terrorizzate da una seduta in uno studio odontoiatrico da andare nel panico al solo pensiero. Figuriamoci ad affrontarla davvero.
Il problema colpisce il 15-20 per cento della popolazione, ma può essere risolto: con alcuni trucchi e, nei casi gravi, con l’aiuto di uno psicologo.
Ma le tecnologie stanno cambiando anche lo studio del dentista: il laser sostituisce trapano e bisturi, le anestesie ci fanno ridere e le carie si combattono con le caramelle.
Mai più timori sulla poltrona del dentista. Spray anestetici, gas esileranti, poltrone massaggianti, scanner digitali, cromoterapia e laser stanno trasformando la visita odontoiatrica in una passeggiata (o quasi).
La tecnologia è in continua evoluzione e fa ormai parte dello studio odontoiatrico. Quella che più di tutte sta rivoluzionando il lavoro del dentista è la Cad-cam.
Assomiglia a una stampante ma invece di stampare fogli produce ponti, corone, denti finti e apparecchi: permette di acquisire con uno scanner l’immagine dell’elemento dentale, di modificarla con un apposito software e, sulla base delle istruzioni digitali, scolpire la protesi da un blocco solido con una fresa, una sorta di scalpello automatizzato.
La stampante 3D è capace di rendere solido un composto liquido e consente l’utilizzo di materiali nuovi per protesi più estetiche, durature e a costi ridotti.
1. L’odontofobia
Il disagio inizia quando si fissa l’appuntamento e cresce al suo avvicinarsi.
Varcata la porta dello studio del dentista, al sibilo del trapano il cuore inizia a battere sempre più forte e man mano che ci si avvicina alla poltrona la paura si fa più intensa, accompagnata da tachicardia, sudorazione, senso di soffocamento e tremori, fino allo svenimento e all’attacco di panico.
Accade così a chi soffre di odontofobia, la fobia specifica per il dentista e per tutto quello che riguarda il suo studio (trapani, aghi, rumori, odori). L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha riconosciuta come una vera e propria malattia, stimando che affligga il 15-20 per cento della popolazione.
È importante distinguere tra paura e fobia: chi soffre di una semplice paura irrazionale del dentista è in grado di vincersi e di affrontare le cure. Nel fobico questo non accade. La fobia specifica blocca completamente il soggetto, che, terrorizzato dal dentista, mette in atto una serie di comportamenti di evitamento come rimandare l’appuntamento o assumere antibiotici e farmaci antidolorifici per automedicarsi. Così innesca un circolo vizioso: le condizioni dei denti peggiorano e l’intervento del dentista è destinato a diventare più invasivo.
Numerosi ricercatori identificano l’odontofobia come una fobia specifica (una paura intensa, persistente e sproporzionata nei confronti di un singolo elemento, nel nostro caso del dentista e delle cure odontoiatriche) e non solo come un semplice disturbo d’ansia.
Possono sussistere fattori predisponenti legati a esperienze negative o dolorose del passato, come precedenti lavori mal eseguiti o protratti nel tempo. Altre volte la predisposizione è legata a una soglia del dolore molto bassa o a stati d’ansia pregressi. Inoltre, nell’immaginario collettivo, la figura del dentista richiama ancora il “cavadenti” del passato.
Di solito, l’odontofobia viene associata alla paura del dolore, tant’è vero che sono più portate a soffrirne le persone con una soglia del dolore bassa. Alcuni studi evidenziano un’associazione fra la paura del dolore e l’amplificazione del dolore percepito, il che fa sì che l’odontofobico percepisca un dolore più forte rispetto alla sua reale entità.
Un’altra caratteristica di rilievo spesso sottovalutata è la posizione innaturale da assumere sulla poltrona: sdraiati con la testa all’indietro e la bocca spalancata, occupata dalle mani di un’altra persona, dal trapano e dall’aspirasaliva. Respirare diventa più faticoso, il che fa sì che l’odontofobia possa associarsi alla paura di soffocare.
Aggiungiamo la sensazione di totale mancanza di controllo della situazione: il paziente è vigile ma ignaro di ciò che sta accadendo ai suoi denti. Ciò fa sì che l’odontofobia possa incrociarsi con altre fobie o disturbi, ad esempio con la claustrofobia. Il soggetto si ritrova bloccato e impossibilitato ad andarsene via in fretta, e se claustrofobico può sviluppare paura verso quello spazio senza vie di fuga rapide.
In questo caso la paura del dentista può essere una conseguenza della claustrofobia o associarsi a essa (comorbidità). Inoltre, la seduta dal dentista può creare parecchio disagio a chi soffre di problemi come nausea, gastralgia o cervicalgia, accentuando disturbi già presenti.
L’odontofobia coinvolge quattro dei nostri cinque sensi. Il primo è la percezione visiva: a impressionare può contribuire la vista della strumentazione, percepita come invasiva (trapano, pinze per l’estrazione, siringa per l’anestesia con l’ago lungo, con possibile associazione psicologica alle iniezioni muscolari dolorose).
Poi viene la percezione uditiva: il rumore del trapano, un micromotore a bassa velocità, può essere associato a un martello pneumatico. Segue la percezione olfattiva: giungono al naso molti odori, da quelli dei disinfettanti (che richiamano l’ospedale) a quelli di resine e materiali per i trattamenti canalari. Infine la percezione gustativa: il gusto dei prodotti impiegati rimane in bocca a lungo dopo la seduta.
2. I rimedi
Nel terzo millennio, in casi come questo si dovrebbe prevedere un lavoro congiunto dentista-psicologo.
Fra le terapie più efficaci per trattare l’odontofobia vi è la terapia cognitivo-comportamentale, che lavora su emozioni, pensieri e comportamenti legati alla fobia, identificandone innanzitutto il livello (fobia lieve, media o importante).
Spiegano gli psicologi: «Se la fobia è lieve basta un lavoro di psicoeducazione: si spiega al paziente cosa gli accadrà durante la seduta e i vantaggi di farsi curare. Se la fobia è di media entità, alla psicoeducazione può seguire un lavoro di desensibilizzazione sistematica, che consiste in un approccio graduale al dentista e alle cure odontoiatriche.
Ad esempio, psicologo e paziente si recano nello studio solo per esplorarlo. La seconda volta si inizia a prendere confidenza con il dentista; per rendere il primo approccio più rassicurante sarà bene che l’incontro avvenga in un ufficio o in una stanza anonima (possibilmente con il dentista senza camice e mascherina).
L’obiettivo di questo lavoro è la normalizzazione della figura di questo specialista. Nel passaggio successivo il paziente si reca nello studio, vede le attrezzature, sente i rumori e gli odori, si siede sulla poltrona del dentista, ma non viene ancora trattato. In seguito, si può rompere il ghiaccio con qualcosa di veloce e indolore, come una radiografia».
L’obiettivo è desensibilizzare lo stimolo, cioè avvicinarsi pian piano all’evento temuto prendendo confidenza e consapevolezza con quello che accade dal dentista. È importante abbinare alla psicoterapia un buon training di rilassamento associato a esercizi di respirazione.
Studi sull’odontofobia dimostrano che il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson (tecnica di rilassamento muscolare basata sull’alternanza contrazione/decontrazione di alcuni gruppi di muscoli) aiuta a distendere la muscolatura. Per contro, tensione e stress abbassano la soglia del dolore. Altro aspetto fondamentale è instaurare un buon rapporto di fiducia con il dentista.
È buona cosa che quest’ultimo, durante la seduta, dia al paziente dei rinforzi positivi (sta andando tutto bene, ok così, tenga la bocca rilassata) e dei feedback informazionali, cioè gli spieghi cosa sta facendo (ho tolto la carie, sto otturando il dente, passo la gomma e poi ho finito), utile per dare all’odontofobico una percezione di maggior controllo.
Inoltre, dato che il paziente non può parlare, è necessario stabilire con il dentista un codice di comunicazione non verbale (ad esempio: alzi la mano e io mi fermo), grazie al quale il soggetto può percepirsi parte attiva dell’intervento. In caso di fobia grave, infine, si può ricorrere all’uso dei farmaci, ad esempio per indurre una sedazione cosciente.
Lo sapevate che l’ansia del paziente si trasmette al dentista? Il paziente odontofobico finisce per trasmettere ansia al dentista. Il soggetto tende a tradurre la sua tensione interiore in tensioni muscolari (muscoli della bocca contratti), con conseguente difficoltà a tenere la bocca aperta e rilassata.
Inoltre, nell’illusione di proteggersi, tende a compiere movimenti incontrollati mentre l’odontoiatra sta usando il trapano. Il dentista, costretto ad anticipare i movimenti di bocca e lingua del paziente per non ferirlo, entra a sua volta in tensione.
Spesso poi il paziente odontofobico ha bisogno di pause, che rendono difficilmente valutabili i tempi della seduta, provocando sforamenti in agenda e malcontento fra i pazienti in attesa. Sarebbe utile che il paziente dichiarasse al dentista di essere fobico per predisporre l’appuntamento in un momento favorevole e con uno spazio di tempo più ampio.
Esistono tecniche di distrazione che, durante la seduta, occupano la mente staccandola dal lavoro del dentista. Sono giochini mentali tipo posizionare sulla carta geografica dall’alto verso il basso e da sinistra a destra le città che iniziano per A, oppure fare calcoli impegnativi, come procedere da 100 a 0 sottraendo ogni volta il numero 7, che è il più difficile da sottrarre.
Quattro consigli
1. Nella scelta del dentista, evitiamo l’impatto “al buio” con una persona nuova. Alcuni studi propongono, su Internet, dei video di presentazione dei singoli professionisti, fra i quali è possibile scegliere una figura che ispiri fiducia.
2. Fissiamo comunque un colloquio preliminare per conoscerci. Servirà anche a verificare se l’ambiente è accogliente, se il personale è gentile e se ci sentiamo a nostro agio.
3. Se gli aghi ci impressionano, chiediamo se sia possibile impiegare quelli più corti e sottili usati per i bambini.
4. Infine, consideriamo che una musica rilassante può aiutare a coprire il rumore del trapano.
3. Denti di zirconia e allumina, telecamere nel cavo orale, laser e tante risate sulla poltrona
Nuove capsule di zirconia e allumina, materiali bianchi che non invecchiano nel tempo e sono biocompatibili, hanno sostituito le capsule in oro e porcellana di una volta.
La ceramica, tuttavia, è ancora indispensabile. La Cad-cam produce il perno del dente in zirconia che però deve essere rivestito in modo tradizionale, apponendo strati di ceramica per un effetto naturale.
Il dente vero, infatti, non ha un colore omogeneo ma presenta diverse gradazioni o difetti di mineralizzazione che soltanto l’arte dell’odontotecnico può riprodurre. Con la stampante 3D si possono fare molte altre cose.
Partendo da un modello virtuale, per esempio, possiamo stampare delle guide chirurgiche da appoggiare sulla mucosa del paziente per guidare il lavoro della fresa durante gli interventi chirurgici, eliminando così gli errori della mano libera. Possiamo anche stampare delle mascherine trasparenti rimovibili e quasi invisibili, l’alternativa moderna al classico e antiestetico apparecchio per i denti di una volta.
Con il sistema digitale una protesi si crea in un’ora contro le quattro sedute necessarie nel sistema classico. Come molti sanno, purtroppo, il primo passo per costruire una protesi è la fastidiosa presa di impronta: il dentista riempie la bocca del paziente di silicone o di un altro materiale che si solidifica mantenendo la forma della dentatura. In un futuro non troppo lontano le impronte saranno acquisiste da telecamere di nuova generazione che fotografano la forma delle arcate dentali e dei singoli denti.
Sono già in commercio, ma non sono ancora del tutto affidabili. Si sta invece diffondendo la Tac Cone-beam specifica per lo studio odontoiatrico con cui si creano immagini radiologiche tridimensionali delle strutture ossee e dentarie, l’ortopanoramica e la radiografia del cranio. Le immagini 3D si ottengono con un fascio di raggi X di forma conica.
In pochi secondi l’immagine si riversa nel Pc del dentista che può ingrandirla e decidere come collocare gli impianti prima di iniziare a operare migliorando il risultato e riducendo i rischi connessi all’intervento. La Tac Cone-beam è più sicura: emette fino al 90 per cento in meno di radiazioni rispetto alle vecchie radiografie.
Un altro incubo dei pazienti è l’ago per l’anestesia. Non c’è motivo di aver paura perché gli aghi ormai sono talmente fini che non si sentono. E per eliminare del tutto la percezione della puntura esistono anche spray anestetici locali.
Se il problema invece è l’ansia, come spesso accade, possiamo ricorrere agli ansiolitici. La paura aumenta la percezione del dolore. Ecco perché è importante creare un rapporto di fiducia tra dentista e paziente. A questo scopo possono essere utili le nuove telecamere intraorali che mostrano in diretta le immagini della bocca su uno schermo coinvolgendo il paziente.
La tecnologia ci viene incontro con poltrone che massaggiano a comando e luci pastello per la cromoterapia. In alcuni studi viene usato il protossido d’azoto, noto come gas esilarante per i suoi effetti euforizzanti. Impiegato da tempo nel paesi anglosassoni, viene inalato attraverso una mascherina: il paziente si calma all’istante e collabora rimanendo cosciente.
E in futuro, forse, non ci saranno più carie da trapanare: si combatteranno con le caramelle. È quello che hanno immaginato i ricercatori tedeschi dell’azienda biotecnologica Organo Balance quando hanno aggiunto alle mentine il Lactobacillus paracasei, un batterio capace di eliminare lo Streptococcus mutans, il batterio responsabile della carie. La struttura del lactobacillo aggancia gli streptococchi e ne favorisce l’espulsione dalla bocca impedendo che si ammassino nella placca.
Ma il laser sostituisce il bisturi? All’ultima fiera delle nuove tecnologie Imagina di Montecarlo l’azienda slovena Fotona ha presentato un nuovo laser in grado di fare buchi di nuove forme, circolari, rettangolari e addirittura esagonali, a seconda della carie che si vuole rimuovere o della protesi da inserire.
Rispetto al trapano il laser non produce vibrazioni, fa sanguinare meno, non crea calore e quindi è meno doloroso. Ma può davvero sostituire la punta rotante? Al momento no, al massimo può essere usato per trattare carie molto superficiali. Il laser, semmai, sostituisce la lama del bisturi nella chirurgia dei tessuti molli. Esistono laser per tagliare l’osso, ma i vantaggi sono limitati.
4. I sette campanelli d’allarme in bocca
1. Dente che balla
Può segnalare la piorrea, cioè l’infezione dei tessuti attorno al dente, oppure malocclusione dentale.
Cura: il dentista può pulire l’infezione ma se l’osso è consumato il dente va fissato ai vicini. Se si muove anche in senso verticale non resta che estrarlo. In caso di malocclusione (balla perché tocca altri denti) il dentista può rimodellare la superficie dentale o prescrivere un apparecchio notturno.
2. Afte sulle mucose
Vescicole brucianti biancastre nella mucosa orale. Non hanno un’origine infettiva e non sono contagiose: è una malattia autoimmune, cioè il sistema immunitario attacca le mucose della bocca.
Cura: passano da sole ma nei casi più gravi il medico potrà decidere di somministrare farmaci cortisonici o immunisoppressori locali.
3. Alito cattivo
È provocato dall’accumulo di batteri nel cavo orale e solo in misura minore da problemi gastricio nasali. I batteri producono dei gas sulfurei puzzolenti, come il metilmercaptano, lo stesso delle uova marce.
Cura: le alitosi si curano con una buona igiene orale. Spesso a emanare l’odore è la patina sulla lingua, ecco perché è importante spazzolarla con uno specifico nettalingua. Esistono anche “psico-alitosi”: possiamo convincerci di avere l’alito cattivo quando invece non è vero. Per verificarlo, basta fare un test: leccarsi il dorso della mano e annusarlo per sentire se puzza.
4. Mal di denti
Denti cariati o denti del giudizio infiammati possono fare male. Quando un dente otturato duole potrebbe essersi fratturato o cariato una seconda volta.
Cura: se il dolore persiste, il dentista che prescriverà un antinfiammatorio e, se è necessario, fisserà l’appuntamento per la nuova otturazione o l’estrazione del dente.
5. Una fitta improvvisa
Una fitta ai denti dopo aver bevuto una bibita fredda può essere la spia di un’ipersensibilità dentale provocata da gengive ritirate o può indicare la presenza di una carie (in questo caso, oltre il freddo fa male anche il dolce).
Cura: se il dolore permane anche dopo la rimozione dello stimolo, può esserci un’infiammazione della polpa dentaria che interessa il nervo. In questo caso il dente va devitalizzato.
6. Gengive sanguinanti
Può essere una gengivite, cioè l’infiammazione delle gengive, oppure una parodontite che comporta la perdita del tessuto attorno al dente. La causa è la stessa: i batteri.
Cura: può bastare qualche seduta di igiene orale e magari correggere le errate abitudini di spazzolamento (meglio uno spazzolino duro che uno morbido).
7. Gengive che si ritraggono
Può essere sintomo di parodontite, l’infiammazione dei tessuti intorno ai denti, oppure il risultato di un trauma generato da uno spazzolamento troppo aggressivo.
Cura: il problema si può tenere sotto controllo con la pulizia del tartaro dallo specialista. Eventualmente, il “buco” lasciato scoperto dalle gengive, può essere coperto con un intervento chirurgico. Il dentista può fare una plastica per tirare su la gengiva o prendere un tassellino di palato e impiantarlo sopra il dente, ricoprendolo poi con la gengiva.
5. Gli strumenti per l’igiene orale funzionano?
Gli strumenti per l’igiene orale funzionano?
- Lo spazzolino elettrico: SÌ
È più efficace dello spazzolino manuale. Ne esistono di due tipi: con la testina rotante o a ultrasuoni. Deve essere utilizzato correttamente. Va tenuto fermo per far lavorare la testina rotante; muovendolo come lo spazzolino manuale perde di efficacia.
Tempo di spazzolata: almeno due minuti.
- Lo spazzolino tradizionale: NÌ
I dentisti lo stanno abbandonando a favore dello spazzolino elettrico perché è molto difficile saperlo usare bene. Il movimento deve essere a rullo, dalla gengiva verso il dente sulle superficie interne ed esterne, e avanti indietro sulle superfici dove si mastica.
Tempo di spazzolata: almeno due minuti.
- Spazzolino interdentale o scovolino: SÌ
Spesso sottovalutato, è invece lo strumento più efficace per la pulizia dentale: si passa tra i denti, spingendo avanti e indietro diverse volte. La tipologia, però, va valutata con lo specialista perché spesso si comprano degli scovolini troppo piccoli per gli spazi tra i denti.
- Filo interdentale: NÌ
Da usare dove non passa lo scovolino. Spesso viene usato male: non basta passarlo velocemente per rimuovere il pezzo di carne rimasto tra i denti, ma va passato come lo straccio del lustrascarpe su tutta la superficie per rimuovere la placca.
- Collutorio: NÌ
Può essere utile, per esempio, nelle forti infiammazioni e nelle afte, ma va sempre consigliato dallo specialista. Dipende dal principio attivo e dalla ragione per cui si utilizza. Il principio attivo più efficace è la clorexidina, un disinfettante delle mucose orali che, però, se viene usato tutti i giorni può colorare di marrone i denti.
- Dentifricio: SÌ
Non esistono prove scientifiche che il dentifricio sia indispensabile all'igiene orale, tuttavia, grazie alle sue proprietà detergenti favorisce il lavoro dello spazzolino. Quello con aggiunta di fluoro è adatto fino ai 20 anni, quando serve rimineralizzare, poi è meglio passare a dentifrici che sfiammano le gengive.
I dentifrici di oggi riuniscono in un solo prodotto diversi principi attivi. Tra più efficaci ci sono il floruro stannoso, il triclosan e i sali metallici: riducono la placca e curano le infiammazioni.