Sono arrivati, prima del previsto, i vaccini contro COVID-19, l’unica arma che abbiamo, a detta degli scienziati, per raggiungere l’immunità di gregge. Le agenzie di controllo dei farmaci ne garantiscono la sicurezza.
A dicembre 2020, infatti, la Gran Bretagna è stata la prima nazione a somministrare quello di Pfizer-BioNTech, il primo approvato dall’agenzia regolatoria dei farmaci, MHRA, del Regno Unito.
L’agenzia, non senza polemiche sollevate a livello internazionale, lo ha autorizzato con una procedura di emergenza che ha accorciato i tempi dei controlli finali, estendendo a un primo piccolo gruppo di popolazione generale l’uso del lotto disponibile per la sperimentazione clinica.
Sono stati individuati come destinatari delle prime dosi alcuni tra i soggetti ritenuti più fragili, ovvero gli ultraottantenni, in quanto più a rischio di gravi complicanze in caso di malattia, e gli operatori sanitari (medici, infermieri, personale ospedaliero) perché maggiormente esposti al potenziale contagio.
Possiamo dunque farci vaccinare in tutta tranquillità? Inoltre: saranno davvero efficaci? Scopriamolo insieme.
1. Le prime mosse e l'immunità di gregge
È arrivata l’arma contro il coronavirus che ha “congelato” da un anno le nostre vite: i vaccini.
A dicembre 2020, infatti, la Gran Bretagna è stata la prima nazione a somministrare quello di Pfizer-BioNTech, il primo approvato dall’agenzia regolatoria dei farmaci, MHRA, del Regno Unito.
L’agenzia, non senza polemiche sollevate a livello internazionale, lo ha autorizzato con una procedura di emergenza che ha accorciato i tempi dei controlli finali, estendendo a un primo piccolo gruppo di popolazione generale l’uso del lotto disponibile per la sperimentazione clinica.
Sono stati individuati come destinatari delle prime dosi alcuni tra i soggetti ritenuti più fragili, ovvero gli ultraottantenni, in quanto più a rischio di gravi complicanze in caso di malattia, e gli operatori sanitari (medici, infermieri, personale ospedaliero) perché maggiormente esposti al potenziale contagio.
In Italia invece, come in tutti i Paesi UE, i vaccini possono essere distribuiti alla popolazione solo dopo l’autorizzazione dell’EMA, l’agenzia europea che regola i farmaci, la quale ne valuta la sicurezza, come fa la FDA negli Stati Uniti.
Lo scorso 2 dicembre, il Ministro della salute Roberto Speranza ha illustrato il piano italiano per i vaccini anti COVID-19 che impegnerà per i prossimi tempi il nostro Paese, con la campagna vaccinale vera e propria che partirà dalla seconda metà di gennaio 2021.
I punti salienti del piano sono i seguenti: ventimila operatori sanitari (medici, infermieri, giovani laureati in Medicina iscritti ai corsi di specializzazione) incaricati di somministrarli; un luogo di stoccaggio nazionale all’aeroporto militare di Pratica di Mare (Pomezia) e 300 punti di somministrazione organizzati per conservare le dosi anche a temperature molto basse (per esempio il vaccino Pfizer-BioNtech richiede lo stoccaggio a -70 °C); un elenco delle categorie di persone da vaccinare per prime (operatori sanitari, personale e anziani delle RSA e ultraottantenni per un totale di sei milioni e mezzo di persone), seguiti dagli ultrasessantenni (13,4 milioni), dai malati cronici (in parte già compresi nelle precedenti categorie) e dai lavoratori dei servizi essenziali (forze dell’ordine, insegnanti e personale scolastico, operatori delle carceri e dei servizi di comunità ecc.).
Si penserà poi a vaccinare il resto della popolazione con l’obiettivo finale dell’“immunità di gregge” per abbattere la diffusione dell’epidemia: vuol dire, considerato il grado di infettività di SARS-CoV-2, ottenere l’immunità di almeno il 60-70 per cento della popolazione, comprese le persone che si ammalano e guariscono.
All’immunità di gregge non possiamo infatti giungere solo attraverso la diffusione naturale dell’infezione, spiegano gli scienziati: abbiamo bisogno anche del vaccino. Ne è un esempio la provincia di Bergamo che, dopo aver pagato uno dei prezzi più alti del mondo in termini di vittime del coronavirus in rapporto alla popolazione, ha raggiunto un grado di immunizzazione di circa il 40 per cento durante la prima ondata.
I vaccini in Italia saranno gratis per tutti e, almeno per ora, non obbligatori, salvo decisione diversa che potrebbe essere presa, se dovesse perdurare l’emergenza, per alcune categorie di persone giudicate ad alto rischio, come per esempio il personale sanitario.
Chi ha avuto la COVID-19 e ne è guarito ha già gli anticorpi contro il virus e potrebbe non avere bisogno del vaccino. La risposta anticorpale però è diversa da un soggetto all’altro e a seconda della gravità della malattia: chi l’ha avuta in forma grave di solito sviluppa più anticorpi e ha un’immunità che dura più a lungo rispetto a chi ha avuto pochi sintomi o non ne ha avuti affatto. Per ora, vaccinare chi ha già contratto il virus non sarà la priorità.
2. Milioni di dosi all’Italia e la sua sicurezza
L’Italia, attraverso i contratti stipulati dalla Commissione UE per gli Stati membri, ha prenotato 202 milioni e 573 mila dosi, il 13,46 per cento del totale opzionato dall’Unione Europea, pari al peso demografico del nostro Paese.
Dovrebbero bastare per tutta la popolazione anche considerando, per ogni cittadino, la somministrazione in due dosi successive (prima dose e richiamo) a distanza di circa tre settimane l’una dall’altra.
Il primo obiettivo è uscire dall’emergenza in cui ci ha portato la guerra al virus, il che significa fermare i decessi ed evitare quanto più si può i ricoveri in ospedale.
Il secondo obiettivo è tornare, anche se gradualmente, a una vita il più possibile normale, allentando le misure di protezione e i distanziamenti, e riavviando di conseguenza i settori economici rimasti bloccati dalla pandemia.
L’obiettivo finale è liberarci dal virus o, più realisticamente, fare in modo che diventi un normale patogeno influenzale o meglio ancora un virus simile a quello del raffreddore, con il quale l’umanità possa convivere senza bisogno di misure restrittive che condizionino la quotidianità.
Ma quale “prezzo” siamo disposti a pagare per riconquistare la nostra normalità? C’è chi teme che questi primi vaccini non siano del tutto sicuri perché sviluppati troppo in fretta. Ma non è così.
«Nessuna delle fasi di sperimentazione (fase I, II e III) è stata saltata nello sviluppo di questi vaccini. I tempi della ricerca sono stati ristretti, ma non a scapito della qualità del lavoro condotto», affermano gli scienziati.
«L’accelerazione è stata possibile grazie a molti fattori, tra cui la revisione dei dati condotta dalle agenzie di controllo a mano a mano che gli studi li producevano (rolling review), le tecniche oggi disponibili per lo sviluppo rapido dei vaccini (in particolare quelle genetiche, frutto di anni di studio e di sperimentazione), e grazie alle ingenti risorse umane (numero di ricercatori) ed economiche (finanziamenti) che la pandemia ha necessariamente mosso e messo in campo.
Inoltre, a garanzia della sicurezza, FDA ed EMA autorizzano l’uso dei vaccini, così come dei farmaci, solo dopo avere analizzato e controllato tutti i dati degli studi che, nella fase III di sperimentazione, riguardano migliaia di volontari a cui viene somministrato il vaccino. Con queste premesse possiamo stare decisamente tranquilli».
Le carte contenenti i dati sperimentali sono corposi dossier che le agenzie regolatorie, dopo avere autorizzato i vaccini, mettono a disposizione di tutta la comunità scientifica e dei governi. È poi compito di questi ultimi sensibilizzare l’opinione pubblica sulla fondamentale importanza della vaccinazione.
3. Protezione ed efficacia
Appurato che i vaccini sono sicuri, possiamo anche dire che funzionano?
In base ai dati sinora pubblicati sulle riviste scientifiche riguardanti gli studi di fase I e II (al momento della pubblicazione questo articolo), diversi vaccini anti COVID-19 hanno già mostrato di stimolare nell’organismo la produzione di anticorpi contro il virus, anche neutralizzanti.
Non possiamo però ancora dare risposte certe sull’efficacia di questi vaccini che, dai primi dati disponibili, sembrano almeno proteggere dalla malattia e dai suoi sintomi severi.
Se si dimostra che gli anticorpi sviluppati con la vaccinazione sono anche neutralizzanti, significa che il vaccino può proteggere anche dal contagio, cioè fornire l’“immunità sterile”: il soggetto vaccinato non solo non si ammala o non sviluppa i sintomi gravi della malattia – già un significativo passo avanti nella lotta al virus perché consentirebbe di arrestare il triste conto dei decessi e di limitare i ricoveri in ospedale –, ma neppure si contagia e quindi non trasmette il virus ai soggetti non vaccinati.
Ma quanto sono efficaci? I numeri percentuali di cui invece abbiamo sentito tutti parlare negli ultimi mesi del 2020, amplificati dal tam tam mediatico, giungevano dai comunicati stampa delle aziende farmaceutiche e riguardavano le percentuali di efficacia dei vaccini nei confronti della malattia.
È stata una vera e propria battaglia a suon di cifre, che sicuramente non ha giovato alla chiarezza dell’informazione: 90 per cento, 95 per cento, fino al 100 per cento di efficacia in certe condizioni. Cosa vuole dire?
Se per esempio dichiariamo che un vaccino ha un’efficacia del 95 per cento nei confronti della malattia significa che il 95 per cento di coloro che hanno sviluppato la malattia ricade nel gruppo di controllo che ha assunto il placebo (una sostanza senza alcun effetto, come per esempio l’acqua) e solo il cinque per cento nel gruppo del vaccino.
Tuttavia, quando si effettua un trial clinico si assume che la percentuale di soggetti che entra in contatto con il virus nel gruppo dei vaccinati e nel gruppo di chi ha ricevuto solo il placebo sia la medesima.
Ma chi ci dice che l’esposizione al contagio, molto condizionata anche dai dispositivi di protezione individuale (mascherine, disinfettanti) e dai comportamenti (distanziamento, rispetto delle regole), sia stata la medesima nei due gruppi?
Lo dicono i grandi numeri ed è il motivo per cui nei trial clinici gli studi di fase III sono condotti su migliaia di volontari: se il campione di soggetti testati è vasto, si minimizza l’errore derivante dall’assunto che i due gruppi (i vaccinati e quelli che hanno ricevuto il placebo) siano stati egualmente esposti al virus.
Bisogna però considerare che l’efficacia dei vaccini andrebbe testata durante l’apice pandemico e in assenza di protezione individuale, e in questa circostanza non è stato possibile farlo.
Uno studio pubblicato su American Journal of Preventive Medicine sostiene che, per fermare l’epidemia, l’efficacia del vaccino dovrebbe essere almeno del 60 per cento se si vaccina il 100 per cento della popolazione, oppure dell’80 per cento se è vaccinato il 75 per cento della popolazione.
4. Liberi tutti?
A oggi non sappiamo se e per quanto tempo si resti immuni al SARS-CoV-2 dopo avere fatto il vaccino o dopo la guarigione dalla malattia e, in generale, dopo la negativizzazione dal contagio.
Per altri coronavirus noti, come quelli del raffreddore, la memoria immunitaria dura meno di un anno; per il coronavirus della SARS, con cui SARS-CoV-2 condivide circa l’80 per cento del patrimonio genetico, il periodo di immunizzazione sembra essere più ampio.
Una volta avviata la campagna di vaccinazione per COVID-19, non dovremo abbassare la guardia.
Finché non avremo certezze sull’efficacia dei vaccini e sulla durata dell’immunità, pur cominciando a vaccinarci dovremo continuare a mantenere i dispositivi di protezione individuale e a osservare le norme di comportamento per minimizzare i contagi.
Con il passare dei mesi e proseguendo la campagna vaccinale, quando constateremo che le persone non si ammaleranno più, potremo tornare alla vita normale, che è l’obiettivo di tutti al quale la scienza ci porterà.
Pagano i Paesi che possono permetterselo. Gli altri (si spera) riceveranno il vaccino gratis! La pandemia ha posto l’umanità di fronte alla medesima emergenza e per questo il vaccino dovrebbe essere considerato un bene comune, non regolato dalle leggi di mercato.
Lo sottolinea il Comitato Nazionale per la Bioetica in Italia, organo consulente del Governo e del Parlamento composto da giuristi e ricercatori. L’OMS ha caldeggiato di togliere i brevetti sul vaccino, anche se ciò rischia di rallentare la ricerca e ridurre il numero dei competitori.
Secondo il Comitato bioetico, almeno nelle fasi più drammatiche della pandemia come quelle in cui ancora ci troviamo, si dovrebbe prevedere la sospensione dei brevetti sui vaccini e al contempo concedere licenze obbligatorie, regolate da accordi internazionali.
Oggi per la distribuzione dei vaccini con criteri di equità è stato istituito il programma Covax guidato dall’OMS, dalla Cepi (Coalizione delle innovazioni per la preparazione alle epidemie) e dall’alleanza Gavi (una cooperazione di soggetti pubblici e privati per migliorare l’accesso all’immunizzazione della popolazione nei Paesi poveri).
Covax prevede che le nazioni più ricche paghino le proprie dosi e forniscano fondi per la distribuzione dei vaccini anche ai Paesi a basso reddito, che li riceveranno gratuitamente, altrimenti non potrebbero permetterseli. Vi hanno aderito più di 180 Paesi tra cui la Cina, ma non ancora gli USA né la Russia.
Curiosità: In Gran Bretagna inoculeranno il coronavirus in soggetti vaccinati!
Dovrebbe partire a breve in Gran Bretagna, sotto la supervisione dell’Imperial College di Londra, il primo “studio di infezione umana controllata” (in inglese human challenge study) su un vaccino anti COVID-19.
Un gruppo selezionato di volontari giovani (18-25 anni) e sani sarà vaccinato contro SARS- CoV-2 e, dopo avere verificato la comparsa degli anticorpi specifici nel loro sangue, sarà loro inoculato direttamente il virus per vedere se si ammalano o no.
È un criterio di sperimentazione accettato anche dall’OMS e già applicato in passato solo per malattie considerate non mortali, come per esempio la salmonellosi. Ma per COVID-19 non c’è consenso tra gli scienziati.
I contrari fanno notare che, pur molto raramente, an-che soggetti giovani e sani hanno avuto conseguenze infauste dal contagio con il virus e che i dati ricavati dagli studi sui giovani non sono applicabili agli anziani, che hanno una risposta immunitaria indebolita dall’età.
I favorevoli dicono invece che i rischi per i giovani selezionati sono trascurabili e che lo studio aiuterà a velocizzare i tempi per lo sviluppo di un vaccino efficace.
5. I vaccini anti COVID non sono tutti uguali: ecco come funzionano
Ecco le principali strategie messe in atto per sviluppare i vaccini anti SARS-CoV-2.
- VACCINI A DNA CON VETTORE VIRALE
Come funziona: Si usa un virus innocuo per l’uomo (come quello del raffreddore del gorilla), reso incapace di replicarsi e al cui interno è inserito il codice genetico della proteina spike di SARS-CoV-2. Il sistema immunitario risponde producendo anticorpi contro la proteina spike che il virus usa per entrare nelle cellule.
Esempi: Oxford-AstraZeneca (Regno Unito), Johnson & Johnson (Usa), Spallanzani-ReiThera (Italia)
Vantaggi: Non si maneggiano virus infettivi. I vaccini possono essere sviluppati in tempi rapidi.
Svantaggi: L’immunità al vettore può influenzare negativamente quella al vaccino.
- VACCINI A m-RNA
Come funziona: Si iniettano nel corpo umano microparticelle di grasso contenenti l’RNA messaggero (m-RNA) della proteina spike. Le cellule ricevono così le “istruzioni” per produrre la proteina che genera la risposta degli anticorpi.
Esempi: Pfizer-BioNTech (Usa-Germania), NIAID-Moderna (Usa), CureVac (Olanda-Germania).
Vantaggi: Non si maneggiano virus infettivi. I vaccini possono essere sviluppati in tempi rapidi.
Svantaggi: Poco stabili, devono essere conservati a temperature molto basse (anche fino a -70 °C).
- VACCINI CON PROTEINE RICOMBINANTI
Come funziona: Si utilizza la proteina spike di SARS-CoV-2 con sostanze che amplificano la risposta del sistema immunitario.
Esempi: Sanofi-Gsk (Francia- Regno Unito), Novavax (Usa).
Vantaggi: Non si maneggiano virus infettivi.
Svantaggi: La produzione può essere limitata.
- VACCINI INATTIVATI
Come funziona: Il virus viene inattivato con agenti chimici o calore, che lo rendono incapace di replicarsi, ma in grado di stimolare la risposta immunitaria dell’organismo.
Esempi: Butantan Institute- Sinovac (Brasile- Cina)
Vantaggi: La tecnica è molto consolidata per diversi vaccini umani.
Svantaggi: Si devono maneggiare virus vivi infettivi in laboratori speciali. Non sono proponibili per virus molto patogeni. Richiedono più somministrazioni.