Missionario, medico e scrittore, David Livingstone era appassionato di esplorazione. Così, inviato nel Continente Nero per portarvi il cristianesimo, iniziò subito a viaggiare, senza curarsi di rischi e pericoli.
David Livingstone è stato uno dei più grandi esploratori del XIX secolo, noto per le sue incredibili imprese e scoperte nelle regioni inesplorate dell’Africa.
Le sue spedizioni più importanti furono tre: dall’oceano Atlantico all’Indiano, lungo il fiume Zambesi, alla ricerca delle sorgenti del Nilo e la sua eredità vive ancora oggi.
La sua determinazione nell’esplorare e comprendere l’Africa ha contribuito in modo significativo alla conoscenza geografica del continente. Il suo impegno per la giustizia e l’umanità continua a ispirare coloro che lottano per i diritti umani e la giustizia sociale. David
Livingstone rimane un simbolo dell’ardore per l’avventura, il desiderio di scoprire il mondo e il perseguimento di una causa nobile. Lo ricordiamo a 150 anni dalla morte.
1. L’avventura africana
Esattamente 150 anni fa moriva David Livingstone, uno dei più famosi esploratori del XIX secolo. Nacque il 19 marzo 1813 in un villaggio scozzese, Blantyre, da una famiglia umile.
Era il secondo figlio di Neil, che faceva il venditore di tè porta a porta ma la domenica si trasformava in un maestro per la locale “scuola domenicale”.
È un’istituzione nata in Inghilterra intorno al 1780 grazie al filantropo Robert Raikes che, colpito dalla miseria in cui vivevano i bambini delle classi popolari nelle città, organizzò per loro degli incontri domenicali – quando cioè non lavoravano nelle industrie – in cui veniva letta la Bibbia.
L’iniziativa acquistò grande importanza sociale, dato che l’istruzione era riservata alle classi benestanti.L’edificio che ospitava la sua famiglia, con altre 24, era un opificio tessile: qui David cominciò a lavorare sin da bambino su turni lunghi fino a 14 ore.
Tuttavia l’influenza del padre, avido lettore di libri di teologia e viaggi, si fece presto sentire. Nel 1834 la vita di David svoltò quando lesse un opuscolo che promuoveva un nuovo tipo di missionario religioso, preparato anche nelle materie scientifiche e mediche.
David convinse il padre a lasciarlo studiare alla università di Glasgow, pur continuando a lavorare nel vecchio opificio. Sgobbò non poco, ma nel 1838 venne accettato come membro della Chiesa Congregazionista all’interno della London Missionary Society, la più importante associazione inglese di missioni religiose all’estero.
I piani iniziali prevedevano il suo impiego in Cina, ma nel 1840 lo scoppio della prima Guerra dell’Oppio rese impossibile il progetto. Livingstone non si lasciò distogliere dai suoi intenti missionari: si era avvicinato alle idee di Thomas Buxton, un aristocratico che aveva fondato l’anno prima la Società per l’eliminazione del commercio di schiavi e la civilizzazione dell’Africa.
Secondo Buxton si potevano convincere i capi africani a commerciare con gli europei senza ricorrere alla vendita degli schiavi e insieme convertirli alla religione cristiana.
Livingstone fu scelto per la prima missione, assieme a un compagno e a sua moglie, e salpò il 17 novembre 1840. Circa sei mesi dopo la nave, effettuati due scali a Rio de Janeiro e Città del Capo, arrivava alla baia di Algoa, vicino all’attuale città di Port Elizabeth in Sudafrica, dove iniziò la sua lunga avventura africana.
Per prima cosa raggiunse il villaggio di Kuruman, oltre 700 km nell’interno. Qui si trovava la missione e qui David passò mesi a studiare la lingua locale (lo tswana). Poi iniziò una serie di viaggi per individuare un luogo adatto per una nuova missione, trovandolo a Mabotsa, 350 chilometri circa a nord est.
Nel gennaio 1844 conobbe Mary Moffat (foto sotto), nata in Africa nel 1821 e figlia di un noto missionario inglese. I due si sposarono il 9 gennaio 1845.
2. Scampato a un leone e il primo viaggio di esplorazione
In realtà mancò poco che tutto finisse nel peggiore dei modi perché nel febbraio dell’anno prima Livingstone aveva rischiato di essere ucciso da un leone.
Stava scavando un fossato vicino al villaggio di Mabotsa quando un leone lo assalì, scuotendolo, come raccontò dopo lo stesso Livingstone, “come un terrier fa con un topo”.
Sarebbe sicuramente morto se non fosse arrivato un compagno che sparò alla belva, uccidendola.
Livingstone e la moglie si stabilirono in un’altra missione, Kolobeng, a cento chilometri da Mabotsa. Facendo base qui, attraversarono due volte il deserto del Kalahari, nel 1849 e nel 1850.
Ma la nascita di tre bambini (il quarto morì poco dopo la nascita) fece sì che nel 1852 Livingstone mandasse la famiglia in Scozia per preparare per il suo primo vero viaggio di esplorazione.
Tra il 1853 e il 1856 dapprima raggiunse Luanda, sulla costa atlantica dell’Africa, e poi tornò indietro in direzione est verso il fiume Zambesi, convinto che questa potesse essere una comoda via di penetrazione nell’Africa meridionale.
Nominato nduna, cioè ambasciatore, dal re della tribù dei Kololo Sekeletu, con 27 guerrieri che gli facevano da scorta e da interpreti discese il fiume fino all’oceano Indiano, diventando il primo europeo ad attraversare l’Africa da una costa all’altra.
Fu anche il primo occidentale a contemplare Mosi-oa-Tunya (“il fumo che tuona”) ossia le gigantesche cascate da lui ribattezzate Cascate Vittoria (foto sotto) in onore della regina inglese.
Tuttavia commise un errore: immaginando correttamente il percorso dello Zambesi, decise a un certo punto di allontanarsi dal letto del fiume, sicuro di ritrovarlo più a valle. Nel tratto del fiume saltato, però, si trovavano le impraticabili rapide di Cahora Bassa che avrebbero fatto fallire ogni tentativo di usare lo Zambesi come via di penetrazione nell’Africa meridionale.
3. Ritorno in Inghilterra e la seconda esplorazione
Duramente provato dalle febbri contratte durante il viaggio, Livingstone tornò in Inghilterra, dove fu accolto trionfalmente come l’“uomo che aveva aperto la strada” dell’Africa meridionale.
Dando prova di un buon fiuto per gli affari, si dimise dalla London Missionary Society e vendette il suo libro di memorie, Viaggi missionari, all’editore John Murray.
Fu un successo straordinario: la prima edizione di 12mila copie andò venduta ancora prima di essere stampata, nel novembre 1857, e fu seguita da una seconda di ben 30mila copie.
Livingstone diventò ricco. In effetti la sua prosa era accattivante, ma soprattutto era messa al servizio di un utopico progetto di civilizzazione e di conversione al cristianesimo dell’Africa che corrispondeva alla perfezione alla nascente visione del “fardello dell’uomo bianco” con cui gli inglesi avrebbero autoassolto il loro imperialismo nei decenni successivi.
Bisogna riconoscere però che Livingstone era un convinto antischiavista e si batté sempre contro la tratta degli schiavi. In ogni caso la sua fama era talmente grande che riuscì facilmente a trovare i finanziamenti per una seconda esplorazione dello Zambesi mirata a dimostrare che il fiume era navigabile dalla foce alle sorgenti.
Venne costruita un’imbarcazione speciale, dotata di macchina a vapore e propulsione a ruote, la Ma Robert, per risalire il fiume. La barca fu smontata e caricata su una nave da trasporto, la Pear, che l’avrebbe portata in Mozambico dove effettivamente arrivò il 14 marzo 1858.
Dopo aver risalito il fiume per 500 chilometri, però, la spedizione incontrò le rapide che Livingstone non aveva notato nel viaggio precedente. La macchina a vapore della Ma Robert non riusciva a vincere la forza della corrente e la spedizione dovette rinunciare al suo obiettivo più importante.
La delusione fu grande e il credito di cui godeva Livingstone crollò. L’esploratore riuscì a farsi mandare un’altra imbarcazione, la Lady Nyasa, per esplorare il lago Malawi che nel frattempo era stato scoperto da alcuni membri della spedizione.
L’imbarcazione arrivò accompagnata da sua moglie: non fu una buona idea, perché la donna prese la malaria e morì il 27 aprile 1862.
L’esploratore-missionario insistette a esplorare la regione fino al 1864, ma nel complesso il viaggio venne considerato un fallimento, amplificato dal fatto che le missioni che aveva fondato o fatto fondare stavano scomparendo a una a una.
Alla fine Livingstone fu costretto a tornare in Gran Bretagna.
4. Il terzo viaggio
Livingstone riuscì a organizzare un nuovo grande viaggio per risolvere uno degli ultimi grandi misteri rimasti: dove si trovassero le sorgenti del Nilo, il fiume più lungo del mondo.
Nel gennaio 1866, dunque, partì dalla foce del fiume Ruvuma, che oggi segna il confine tra il Mozambico e la Tanzania.
Il piano era di usare il sistema dei grandi laghi africani per muoversi rapidamente e raggiungere la zona dove probabilmente si trovavano le sorgenti tanto sognate.
Fin da subito, però, il viaggio non fu fortunato. I suoi servi cominciarono presto ad abbandonarlo, rubandogli viveri e medicine. Quasi solo e malato Livingstone continuò a muoversi verso nord, raggiungendo il villaggio di Ujiji sul lago Tanganica.
Qui sperava di ricevere rifornimenti, ma dei 44 dispacci che aveva mandato alla base ne era arrivato solo uno. Inoltre i suoi servi, mentendo, avevano dichiarato che era morto. In realtà si stava spostando nella regione aiutato dai mercanti di schiavi arabi, proprio lui che aveva sempre combattuto la schiavitù.
Nei tre anni successivi vagò nella regione dei grandi laghi facendo importanti scoperte, come le sorgenti del fiume Congo (foto sotto), ma senza poterle comunicare a nessuno. Nel 1869, quando ormai da anni non si avevano sue notizie, il direttore del giornale popolare New York Herald, James Bennett, organizzò una spedizione per ritrovarlo.
Quando scelse per la missione il giornalista free lance Henry Morton Stanley, Bennet esclamò: «Prendete 1.000 sterline, quando saranno finite, prendetene ancora 1.000, e quando le avete spese, chiedetene altre 1.000, e quando le esaurirete ce ne saranno altre 1.000 e così via. Ma trovate Livingstone!».
Stanley lo prese in parola e organizzò un’immensa spedizione con oltre 2mila portatori che partendo da Zanzibar raggiunse infine Livingstone il 10 novembre 1871 a Ujiji.
Secondo il racconto dello stesso Stanley, probabilmente falso (il diario di Livingstone non ne fa cenno), quando incontrò l’unico uomo bianco nel raggio di centinaia di chilometri si presentò come se i due fossero stati in un club di Londra: «Il dottor Livingstone, suppongo?». Stanley cercò di convincere il vecchio esploratore a tornare in Europa.
5. Le ultime spedizioni
Al suo netto rifiuto si unì a lui in una serie di esplorazioni che stabilirono come non ci fossero collegamenti tra il Nilo e il lago Tanganica.
Quando Stanley partì gli lasciò un’abbondante scorta di medicinali, che però non fu sufficiente per assicurargli lunga vita.
Livingstone morì il 1° maggio 1873 (illustrazione sotto) per una forma di malaria presso il lago Bangweulu, che rappresenta una delle sorgenti del fiume Congo: il suo corpo venne riportato in Inghilterra e sepolto nella abbazia di Westminster, ma il suo cuore venne lasciato in Africa.
Curiosità: Mary, la moglie di Livingstone, era più famosa di lui
La moglie di Livingstone, Mary, era nata nel 1821 in Africa a Griquatown, un villaggio a circa 200 km dall’attuale Kimberly. Suo padre, il missionario congregazionalista scozzese Robert Moffat, aveva dedicato la vita alla predicazione del Vangelo nell’Africa meridionale.
Mary divenne un’esperta linguista (conosceva la lingua locale, lo tswana) e sapeva cavarsela bene in ogni situazione. Fu di grande aiuto al marito nei primi anni della sua carriera, perché era più famosa di lui e poteva contare su una grande rete di conoscenze, tanto che Livingstone veniva di solito presentato nei villaggi come il marito di Mary Moffat.
Quando però lui iniziò i suoi viaggi di esplorazione mandò la moglie, cui era sinceramente legato, in Scozia per proteggere i bambini. La donna tornò in Africa per partecipare alla seconda spedizione sullo Zambesi, ma rimase immediatamente incinta e dovette rientrare in Gran Bretagna.
Tornò nel Continente Nero una terza volta nel 1862, ma prese la malaria e nonostante le amorevoli cure del marito (che era anche medico) morì il 27 aprile di quell’anno.
Nella foto sotto, David Livingstone con la sua figlia più giovane Anna Mary.