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Come difenderci dai nostri brutti pensieri

“Non sono come dovrei essere”, “Gli altri sono meglio di me”, “Faccio solo errori”: quante volte rimuginiamo e la mente sembra bloccata su pensieri negativi…

Ciò però non ci aiuta a migliorare, anzi. Gli psicologi ci mettono in guardia: questi pensieri, detti “disfunzionali”, sono velenosi per la nostra mente.

Discorso analogo per tutte quelle deduzioni arbitrarie e rigide di cui ci riempiamo la mente: “Tanto non c’è soluzione”, “È inutile andare avanti”.

La loro pericolosità sta nel fatto che sono convinzioni immutabili e autolesionistiche. Sono pensieri che ci portano a provare emozioni negative intense e durature e a comportarci in modo inefficace e limitativo.

Spesso sono automatici, cioè vengono elaborati così frequentemente da diventare abituali, sfuggendo così alla nostra consapevolezza. Perché li facciamo? Perché abbiamo bisogno di definire giusti o sbagliati i comportamenti propri e altrui, gli stati emotivi e gli eventi.

Così facendo però generiamo pensieri troppo rigidi, alcuni dei quali sono particolarmente “tossici” per la nostra stabilità mentale: scopriamo insieme i principali.

1. Paragoni continui, catastrofizzazione e personalizzazione

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  • ➊ Paragoni continui
    È forse il pensiero disfunzionale più comune: “Il mio vicino di casa ha un’auto lussuosa e fa vacanze da sogno mentre io no”.
    Paragonarci agli altri, sentendoci perdenti, fa male e non serve a nulla. Con il tempo questi paragoni possono influenzare la nostra autostima portandoci alla depressione.
  • ➋ Catastrofizzazione
    Consiste nel pensare che un evento avrà conseguenze ben più gravi di quelle reali.
    “Se non passo l’esame è la fine” è un esempio. Quando ragioniamo così ci concentriamo solo sugli aspetti negativi, esagerandoli.
    È importante arrestare il prima possibile questo meccanismo di pensiero perché causa solo tristezza, ansia e disperazione.
  • ➌ Personalizzazione
    È la tendenza a pensare che da noi dipenda ogni insuccesso o che siamo sempre al centro dell’attenzione di tutti.
    “Stamattina Stefano mi ha salutato frettolosamente: sicuramente ce l’ha con me”. Così però ci prendiamo la responsabilità di tutto, stando male inutilmente.
    Spesso a ciò si aggiunge il senso di colpa: chi pensa sempre in termini di “colpevolezza” o “innocenza” soffre per la sua rigidità mentale.

2. Doverizzazione , generalizzazione e denigrazione costante

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  • ➍ Doverizzazione
    È la tendenza a giudicare troppo rigidamente.
    Se è giusto porci obblighi o aspettative per raggiungere i nostri obiettivi, recriminare continuamente circa errori o mancanze presunti fa solo del male e non ci fa andare avanti.
    A volte poi ci poniamo regole troppo ferree, ad esempio: “Devo comportarmi bene ed essere sempre approvato dagli altri altrimenti sono un incapace”.
  • ➎ Generalizzazione
    Avviene quando arriviamo a conclusioni generali in modo arbitrario: “Ce l’hanno tutti con me” oppure “Tutte le donne sono così”.
    La generalizzazione porta a stereotipi che trasformano atteggiamenti e comportamenti, sbarrando le porte a opportunità di cambiamento.
  • ➏ Denigrazione costante
    Il nemico numero uno della nostra stabilità mentale è la scarsa autostima che porta ad autodenigrarci: “Non sono all’altezza di questo compito” è l’esempio più tipico.
    A volte questa tendenza è rivolta anche agli altri: “I miei collaboratori sono tutti incompetenti”.
    Per alcuni è impossibile vivere senza criticare gli altri: questo però è un segno di malessere visto che la critica implica insoddisfazione.

3. Sminuire il positivo , ragionamento emotivo e predizione del futuro

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  • ➐ Sminuire il positivo
    È un errore non vedere o sminuire i nostri pregi. È uno stile di pensiero depressivo che gli americani definiscono Yes, but, ovvero “Sì, ma”.
    Lo mettiamo in atto quando otteniamo un risultato positivo che però sottovalutiamo subito: “Sì, è vero, ho vinto la partita, ma solo perché gli avversari sono delle schiappe: avrei potuto giocare meglio”.
  • ➑ Ragionamento emotivo
    Crediamo che qualcosa sia vero solo perché “sentiamo” che è così, ignorando le evidenze del contrario.
    Così ad esempio pensiamo “Mi sento sfiduciato, quindi non ha senso tentare di fare qualcosa di diverso”, come se le nostre emozioni fossero una prova di ciò di cui siamo convinti.
  • ➒ Predizione del futuro
    Si manifesta quando abbiamo la certezza di sapere quel che accadrà e ci comportiamo di conseguenza, finendo col danneggiarci.
    Ad esempio ci invitano a una conferenza, dove pensiamo che ci impappineremo parlando. Così assumiamo un atteggiamento insicuro in partenza, il che renderà probabile la figuraccia.
    È il cosiddetto fenomeno della profezia che si autoavvera. Troppo spesso traiamo infatti deduzioni senza i dati necessari, giungendo a conclusioni negative.

4. Essere intelligenti fa male?

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Parlando della tendenza al pensiero disfunzionale, nel suo Psicotrappole, ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle lo psicoterapeuta Giorgio Nardone scrive:
«Nella mia esperienza clinica i casi più difficili riguardavano persone eccezionalmente dotate, che proprio in virtù delle capacità superiori estremizzavano i problemi».

Le persone intelligenti sembrerebbero più portate a elaborare pensieri eccessivi, autolesionistici e inutili: l’intelligenza è quindi un ostacolo alla felicità?

Rende più lungo il percorso per raggiungere la felicità. Se la tendenza a categorizzare, etichettare e spiegare la realtà è innata nell’uomo, le persone intelligenti la mettono in atto ancora di più.

Certamente però gli intelligenti hanno più strumenti psichici e questo è un punto a loro favore: quando si comprende meglio il problema, la soluzione è più facile. Ma occorre non estremizzare la tendenza all’analisi. L’interrogarsi, il voler capire, l’approfondire possono portare a non chiudere mai il ragionamento.

Il modo migliore per evitare di farci del male con i nostri stessi pensieri passa dall’intelligenza emotiva, secondo lo psicologo americano Daniel Goleman, che suggerisce di concentrarci sulle emozioni, evitando la rigidità dei pensieri analitici e razionali che ci impediscono di guardare ai problemi da punti di vista alternativi.

Quando infatti pensiamo in modo troppo razionale apriamo la strada alle ossessioni. Per esempio, il pensiero delle pazienti anoressiche “Devo essere magra perché non sopporto l’idea di ingrassare” può diventare ossessivo: “Temo costantemente di ingrassare, ma siccome non voglio ingrassare non abbandono questo pensiero”.

La persona può essere consapevole dell’irrazionalità o infondatezza della sua ossessione, ma non riesce (e non vuole) a sottrarsene.

Più ci infiliamo in questi circuiti di pensiero senza fine, più attiviamo scenari negativi che si autoalimentano. Il risultato è che per paura di non farcela finiamo col sabotare continuamente la nostra stessa felicità.



5. Come eliminare i pensieri nocivi in 5 passi

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Come uscire dal circolo vizioso dei pensieri che ci fanno star male?

Come prima cosa dobbiamo riconoscerli e imporci di volerli affrontare per poi imparare a metterli in discussione attraverso alcune domande mirate per chiarirne l’illogicità e l’inconsistenza.

Una tecnica efficace è quella chiamata ABCDE, elaborata dallo psicologo americano Martin Seligman e illustrata dal coach Mauro Pillan nel suo saggio Parti da te! La road map per il tuo successo.

I passi da seguire
Il percorso si articola in 5 fasi, indicate con le prime lettere dell’alfabeto: A (avversità), B (belief, cioè convinzioni e pensieri disfunzionali), C (conseguenze), D (messa in discussione) ed E (energizzazione).

«L’uso della tecnica richiede applicazione costante e disponibilità ad auto-osservarsi», dice Pillan. «Per questo consiglio un quadernetto da portare con sé e da utilizzare, per almeno tre settimane, per registrare tutte le situazioni in cui ci siamo sentiti a disagio o nelle quali è cambiato il nostro umore».

Al fine di facilitare la comprensione della tecnica, il formatore la illustra riportando un esempio di pensiero disfunzionale. Eccolo: un uomo si ritrova a pensare: “Le persone si approfittano sempre di me mettendomi in ridicolo” dopo che, nel corso di una cena con i colleghi, sua moglie ha sollevato pesanti critiche su di lui.

Ecco qui di seguito come smontarlo:
A: Avversità
Riguarda la situazione che produce un pensiero “tossico”. L’uomo dell’esempio deve chiedersi: che cosa sta accadendo? Dove sono? Con chi? La risposta in questo caso è: mia moglie mi critica alla cena di lavoro davanti ai colleghi, facendomi sentire male.
B: Belief
Riguarda il pensiero tossico: “Le persone si approfittano sempre di me mettendomi in ridicolo”. Chiediamoci: mentre eravamo in quella situazione che cosa ci siamo detti? Che cosa abbiamo pensato? Quali immagini abbiamo avuto?
Nell’esempio: l’uomo pensa al fatto che frequentemente vive situazioni in cui qualcuno lo mette in ridicolo davanti ad altri.
C: Conseguenze emotive
Sono le emozioni provate di conseguenza al pensiero disfunzionale. Chiediamoci: che tipo di emozioni abbiamo provato? Come ci siamo sentiti? Nell’esempio: l’uomo pensa che la critica della moglie gli fa provare rabbia e frustrazione.
D: Messa in discussione
Poniamoci alcune domande per comprendere i punti A, B e C.
Eccone alcune proposte da Pillan:
● Cosa c’è di vero in quello che penso? Quali prove ho? Che cosa potrei avere ignorato?
● Riconosco qualche esagerazione nel mio modo di pensare?
● Qual è la cosa peggiore che potrebbe accadermi in questa situazione?
● Quanto è probabile che si verifichi davvero?
● Se ciò si verificasse, sarebbe davvero così terribile? E, in caso, che cosa potrei fare?
● Questo modo di pensare mi aiuta a stare meglio? E quindi?
● Pensare che certe cose sono insopportabili mi aiuta a superare meglio le difficoltà?
E: Energizzazione
Dopo aver analizzato la situazione possiamo provare a porci altre domande che ci aiutino a vedere i fatti in una prospettiva diversa e a ridarci così “la carica”:
● In che altro modo posso vedere o pensare la situazione?
● Quale vantaggio ricavo a mantenere questa convinzione?
● Che cosa mi vuol far capire questa situazione?
● Se non avessi questa convinzione o pensiero, cosa succederebbe?
● Cosa farei se pensassi l’opposto di ciò che penso?
● Come interpreterei la situazione se fossi un bambino o uno scienziato?
● Come sarebbe se avessi già risolto la situazione? Come mi sentirei? Come agirei?
● Fra tre mesi quale rilevanza avrà avuto questa situazione nella mia vita? E fra un anno? Fra tre anni?
● Che cosa mi può dare energia, forza e/o calma per affrontare meglio la situazione?






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