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Dimagrire con la scienza: come eliminare il grasso in maniera efficace

Le statistiche parlano chiaro: in Italia, secondo il rapporto Osservasalute 2018 (che fa riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat), più di un terzo della popolazione adulta (il 35,3 per cento) risulta in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8 per cento).

Una condizione che ci rende senz’altro meno sani: un recente studio pubblicato dal Lancet Public Health mostra una chiara relazione tra ospedalizzazioni e peso corporeo. E non è tutto: avere chili di troppo ci rende anche, in larga misura, infelici.

Un sondaggio di British Social Attitudes ha indicato che gli obesi sono malvisti dalla società: l’opinione pubblica britannica, per esempio, è per il 53 per cento intollerante, e ritiene che la maggior parte delle persone che hanno questo problema potrebbe dimagrire, se soltanto ci provasse.

La scienza, però, dimostra che non è soltanto questione di scarsa volontà.

“I circuiti della ricompensa legati al cibo sono ben delineati nel nostro cervello, e quindi, se qualcosa dà soddisfazione ed è sempre disponibile, perché non approfittarne?”, spiega Susan Jebb, esperta di scienze della nutrizione all’Università di Oxford. “Viviamo vite frenetiche e stressanti, dire di no ci richiede uno sforzo consapevole e costante”.

Fortunatamente, oggi la scienza offre alcune risposte al problema del controllo del peso. Appena dieci anni fa, non esisteva una mole di dati tale da consentire a medici e dietologi di fornire consulenze supportate da evidenze concrete.

Ora, invece, esistono indicatori scientifici dell’efficacia di alcune diete: i risultati di ciò che dicono davvero gli esperti con questi studi vi sorprenderanno (e troverete anche degli utilissimi suggerimenti in pillole). Buona lettura.

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1. QUAL È LA DIETA MIGLIORE, SECONDO LA RICERCA?

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In fin dei conti, il principio scientifico alla base di tutti i programmi di dimagrimento è molto semplice: mangiare di meno.

Un obiettivo raggiungibile scegliendo una dieta a basso contenuto di grassi (una variante crudista è la “raw”, che prevede il consumo di cibi appunto non cotti) o a basso contenuto di carboidrati (come la Atkins o la paleodieta).

Il punto critico dei regimi di restrizione calorica, però, non è tanto perdere chili, quanto farlo in maniera efficace, sicura, idonea al proprio stile di vita, e sostenibile, per evitare di ingrassare di nuovo.

Gli esperti di scienze della nutrizione (a differenza di chi vuole soltanto venderci qualche prodotto) evitano i consigli prescrittivi, perché diete diverse rispondono a differenti stili di vita e a tratti della personalità.

Ricerche svolte di recente indicano, però, che un gruppo particolare di regimi alimentari è quello più efficace per il più ampio numero di persone. Si tratta dei programmi dietetici supervisionati, come il Cambridge Weight Plan, il LighterLife o l’Optifast, che consistono interamente in barrette preconfezionate, bevande e altri alimenti analoghi.

Si potrebbe pensare che questi sistemi, che garantiscono risultati rapidi, vengano giudicati troppo drastici, poco salutari e “furbi” dagli esperti. Invece, gli studi in corso stanno dimostrando che queste diete fortemente ipocaloriche, a base di porzioni sostitutive di uno o più pasti, sono efficaci e sicure, se seguite correttamente.

Un’importante analisi condotta su prove effettuate lo scorso anno, diretta dal Centro Ricerche sull’Obesità dell’Università di Birmingham, ha dimostrato che regimi alimentari di questo tipo determinano una perdita di peso media pari a 10 chilogrammi nell’arco di 12 mesi.

Programmi su base comportamentale, invece (che si basano cioè sulla modifica delle abitudini alimentari e sull’esercizio fisico), come quelli di Slimming World e Weight Watchers, determinano un dimagrimento di 4 chili a distanza di un anno.

Jebb spiega che, malgrado tutti gli studi concordino sul fatto che coloro che si mettono a dieta poi riprendono invariabilmente peso (indipendentemente dal regime seguito), più si dimagrisce, più a lungo si tende a rimanere sotto la soglia della dannosa obesità.

“Le ricerche attestano che le diete a base di prodotti sostitutivi dei pasti, associate a supporto comportamentale settimanale o mensile, offrono i migliori risultati a lungo termine”, ha detto l’esperta.

E malgrado possano apparire estreme, in realtà garantiscono un apporto nutritivo più equilibrato di altre più improvvisate, come per esempio la dieta del latte o della limonata.

“Scegliere alimenti sostitutivi dei pasti consente di perdere peso facilmente e rapidamente: non ci vedo nulla di sbagliato”, conclude Jebb.

 

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2. LE DIETE DRASTICHE FUNZIONANO?

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Dipende da che cosa si intende per “drastiche”: è dimostrato, per esempio, che alcuni programmi basati sulla sostituzione supervisionata dei pasti funzionano molto bene per tante persone.

Ma che dire delle soluzioni “fai da te”, che promettono miracolosi dimagrimenti?

Pensiamo alla dieta della minestra di cavolo o del pompelmo, o a quelle a base di estratti e centrifugati: le evidenze a supporto di queste opzioni sono piuttosto inconsistenti. È vero, tuttavia, che le critiche rivolte dalla comunità scientifica ai metodi pensati per perdere peso rapidamente sono meno perentorie che in passato.

Una ricerca australiana ha rivelato che non soltanto un numero maggiore di persone riesce a centrare i propri obiettivi di dimagrimento se la dieta è veloce, ma anche che perdere i chili di troppo in poco tempo non significa necessariamente riprenderli altrettanto velocemente.

Un rapido dimagrimento può anzi motivare le persone a proseguire il percorso intrapreso, dicono gli studiosi. Mantenere un apporto nutritivo equilibrato quando si segue un regime dietetico drastico può però essere un problema.

Secondo il Servizio Sanitario Nazionale britannico, per esempio, “queste diete possono far sentire fuori forma, poco efficienti e, a lungo andare, causare problemi di salute”. Può essere la stessa biologia umana, per non parlare dei nostri stili di vita, a condannare molte soluzioni estreme al fallimento.

Giles Yeo, ricercatore responsabile dell’Istituto di Science Metaboliche dell’Università di Cambridge, è specializzato nei meccanismi molecolari alla base del controllo dell’apporto alimentare e del peso corporeo.

“Se vogliamo perseverare in un programma dietetico, la cosa peggiore che possiamo fare è affamare il nostro corpo per tre settimane”, ha detto. “Invece di ricorrere a misure tanto drastiche, che poi si ritorceranno contro di noi spingendoci a esagerare nell’altro senso, penso che sia importante trovare un equilibro che ci aiuti a dimagrire nel lungo periodo”.

In particolare, dobbiamo tenere conto del fatto che questi regimi così severi, generalmente, fanno provare un forte senso di fame.

La ricerca di Yeo esamina la risposta del cervello agli ormoni e ai nutrienti che vengono rilasciati dall’intestino nel flusso sanguigno: questi rispecchiano la condizione nutritiva del nostro organismo, che il cervello ci traduce come sensazione di “sazietà” o appunto, di “appetito”.

“Una delle verità universali sulla perdita di peso è che, se si vuole mangiare meno, occorre individuare una strategia che ci faccia sentire maggiormente sazi: in caso contrario, passeremo la vita a combattere i morsi della fame”, spiega Yeo.

“Oggi sappiamo che più sono lunghi i tempi di digestione di un alimento, più questo ci farà sentire pieni, perché mentre il cibo attraversa il tratto intestinale, vengono rilasciati diversi ormoni, la maggior parte dei quali ci comunica una sensazione di sazietà.
Per questo, le diete ad alto contenuto proteico di solito funzionano: le proteine sono più complesse di lipidi o carboidrati, e percorrono una distanza maggiore all’interno dell’intestino prima di venire scomposte nei singoli componenti”.

 

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3. DIETA FAST O DIGIUNO E FAT AND FIT

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- LA DIETA FAST O IL DIGIUNO INTERMITTENTE SONO EFFICACI?

Le diete basate sul digiuno intermittente – per esempio il metodo Fast o la dieta 5:2 – lasciano la libertà di mangiare ciò che si vuole in alcune giornate, limitando però rigorosamente l’apporto calorico per il resto della settimana.
Sono diventate molto popolari negli ultimi cinque anni, ma che dire della loro efficacia? È superiore a quella di altri regimi alimentari?
Pare di no, secondo le ultime ricerche. Uno studio pubblicato da una rivista dell’American Medical Association nel 2017 ha dimostrato che, a distanza di un anno, la perdita di peso non risultava statisticamente diversa rispetto a gruppi sottoposti a restrizione calorica quotidiana.
I fan del digiuno dicono che i benefici per la salute vanno oltre il dimagrimento, ed è vero che ricerche sugli animali hanno indicato che l’astensione dal cibo prolunga la durata di vita e riduce il rischio di sviluppare diabete, tumori, cardiopatie e malattia di Alzheimer.
Ma i dati relativi agli umani sono insufficienti e contraddittori. Uno studio dell’Università della Southern California su 71 adulti, pubblicato di recente, ha confermato che il digiuno intermittente abbassa la pressione sanguigna e limita i fattori di rischio per patologie cardiovascolari, tumori e diabete, oltre a ridurre il grasso corporeo.
Un’altra ricerca svolta dall’Università dell’Illinois, però, suggerisce che la limitazione del rischio cardiovascolare è simile a quella ottenuta con altre diete.
Ciò che è sicuramente vero è che il digiuno intermittente si adatta facilmente a diversi stili di vita, perché non interferisce troppo con la quotidianità e la preparazione dei pasti in famiglia.
“Non è particolarmente rischioso perché, in pratica, non è richiesta alcuna modifica della propria alimentazione per diversi giorni: alla fine della settimana, però, le calorie ingerite sono comunque di meno”, spiega Yeo. “Per alcune persone, queste diete si rivelano molto utili”.
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- FAT AND FIT: SI PUÒ ESSERE GRASSI E IN FORMA?

Per decenni, il dibattito scientifico ha sostenuto con fervore l’importanza dell’esercizio fisico ai fini della perdita di peso.
Oggi, però, i ricercatori sembrano concordare sul fatto che sia più determinante, in questo senso, la limitazione dell’apporto calorico. Un punto, tuttavia, è ancora controverso: essere in buona forma fisica riduce i rischi per la salute derivanti dal sovrappeso?
Al centro della disputa c’è uno studio del Cooper Institute for Preventive Medicine di Dallas, che dimostra che gli ultrasessantenni che fanno sport hanno un tasso di mortalità inferiore, indipendentemente dalla quantità di chili in eccesso.
La psicologa americana Traci Mann dell’Università del Minnesota, specialista in salute e nutrizione, è il personaggio pubblico più autorevole a sostenere la teoria secondo la quale anche gli obesi possono essere sani, purché facciano esercizio fisico.
L’esperta sostiene che non esistono prove del fatto che le persone sovrappeso abbiano un arco di vita più breve: le evidenze dimostrano invece che vivono di meno le persone sedentarie, in difficoltà economiche e che trascurano la salute.
“Solo in casi estremi, l’obesità influisce sulla durata di vita”, chiarisce Mann, aggiungendo che stare a dieta non serve a nulla. “Per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e diabete, non dobbiamo essere magri, dobbiamo fare movimento”.
Un recente studio su 3,5 milioni di cartelle cliniche fornite da medici di base, condotto dall’Università di Birmingham ha scoperto però che le persone obese “sane”, cioè con valori pressori e di colesterolemia normali, erano comunque maggiormente a rischio di sviluppare gravi patologie rispetto a individui normopeso.
Le persone fortemente sovrappeso, infatti, denotavano un incremento del 49 per cento del rischio di coronaropatie, del 7 per cento del rischio di ictus e addirittura del 96 per cento del rischio di arresto cardiaco.


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4. ANTIBIOTICI E PILLOLE “BRUCIAGRASSI”

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- SONO (ANCHE) GLI ANTIBIOTICI A FARCI INGRASSARE?

Negli ultimi cinque anni l’idea che il nostro microbiota intestinale giochi un ruolo chiave nella regolazione del peso corporeo ha riscosso sempre più consensi: uccidere i batteri “buoni” con gli antibiotici, quindi, potrebbe essere una delle cause dell’obesità.
Le evidenze più recenti, per quanto affascinanti, non sono risolutive: studi condotti da prestigiose riviste mediche, infatti, hanno fornito risultati contrastanti.
Uno di essi ha dimostrato che tre trattamenti con antibiotici prima dei due anni di età sono risultati associati a un maggior rischio di obesità nella prima infanzia, mentre l’altro studio ha concluso che l’esposizione a queste sostanze nei primi sei mesi di vita non era correlabile al sovrappeso in età pediatrica.
Recenti indagini, tuttavia, evidenziano effettivamente un legame tra microfauna intestinale e indice di massa corporea.
Le persone con una popolazione importante di batteri Christensenellacee (ovvero, un individuo su 10) sembrano meno inclini ad accumulare chili di troppo rispetto a coloro che invece ne presentano livelli inferiori.
Alcuni scienziati del King’s College di Londra hanno scoperto che la quantità di questi microrganismi presente nell’intestino è in parte determinata geneticamente.
Secondo Yeo, che ha esaminato la fattibilità dei trapianti microbici per curare l’obesità nell’ambito di un programma divulgativo per la BBC, questo nuovo spunto terapeutico è importante e richiede ulteriori approfondimenti.
“Non ho ancora trovato prove convincenti del fatto che esistano batteri “magri” e batteri dell’obesità”, ha specificato.
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- LE PILLOLE “BRUCIAGRASSI” SONO EFFICACI?

Decine di integratori a base di sostanze quali caffeina, capsaicina, L-carnitina ed estratto di tè verde vengono pubblicizzati come acceleratori dei processi energetici dell’organismo: farebbero dunque aumentare la velocità con la quale bruciamo calorie.
Non è sufficientemente dimostrato, però, che questi prodotti funzionino, e la maggior parte delle dichiarazioni che leggiamo sulle confezioni non è corroborata da test scientifici perché questi prodotti sono classificati come integratori dietetici e non come farmaci.
Alcune ricerche indicano che le persone tendono a consumare più calorie quando assumono caffeina, ma secondo la prestigiosa Clinica Mayo, l’influenza sulla perdita di peso non appare significativa.
I dati relativi alla composizione delle pillole “bruciagrassi” sono piuttosto scarsi, anche se alcuni studi su piccola scala confermano che la capsaicina, contenuta in natura nei peperoncini, aiuta a “sciogliere” l’adipe addominale e favorisce la sensazione di sazietà.
Ci giungono continuamente notizie di nuove categorie di cibi che dovrebbero facilitare il dimagrimento accelerando il metabolismo, contrastando l’accumulo di grassi e garantendo un habitat favorevole per i batteri intestinali “buoni”: solo alcune tra le ultime novità sono il pepe di cayenna, le mele, l’aceto di sidro e la cannella. Il problema è che spesso, questi dati derivano da studi isolati o limitati, frequentemente condotti su campioni di roditori e non di umani. Forse c’è del vero: ma è presto per confermarlo.

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5. CONSIGLI UTILI PER COMBATTERE I CHILI DI TROPPO

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1) Mangiare lentamente
Una ricerca presentata di recente a un convegno della società cardiologica americana, la American Heart Association, ha confermato che mangiare in fretta ci fa ingrassare, oltre ad aumentare il rischio di cardiopatie.
Secondo l’esperto di  obesità Giles Yeo, infatti, questa brutta abitudine non lascia all’intestino il tempo di rilasciare gli ormoni che segnalano al cervello la raggiunta condizione di sazietà.
Di conseguenza, sentiamo ancora appetito e continuiamo a mangiare.
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2) Evitare le calorie “vuote”
Le calorie vuote sono quelle apportate da alimenti zuccherini, che fanno ingrassare senza regalare sazietà.
Le bevande gassate e i succhi di frutta contengono grandi quantità di zucchero, che transitano talmente in fretta nel nostro apparato digerente da non venire quasi “riconosciute” come cibo.
Le proteine e i carboidrati complessi, invece, come legumi, cereali integrali, frutta a guscio e verdure a foglia, vengono processati in tempi molto più lunghi, determinando una sensazione di sazietà.
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3) Non mangiare da soli
Dati recentemente pubblicati nel quadro di un autorevole studio sull’obesità dimostrano che gli uomini che consumano in solitudine due pasti al giorno sono maggiormente a rischio di sovrappeso.
Questa correlazione non sembra invece altrettanto pronunciata nelle donne. Altri studi avevano indicato che vivere soli può aumentare la probabilità di fare errori alimentari.
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4) Scegliere con cura piatti e posate
Lo abbiamo letto in tanti articoli di giornale: le dimensioni, la forma e il colore dei piatti, così come le dimensioni e il peso delle posate, possono avere un impatto sulla quantità di cibo che ingeriamo.
Non tutti gli esperti concordano, ma è indubbio che porzioni grandi non aiutano certo a dimagrire, e un’analisi del British Medical Journal raccomanda piatti piccoli.
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5) Dormire a lungo
Sono oltre 50 gli studi che hanno esaminato il possibile legame tra mancanza di sonno e aumento di peso, e l’analisi delle evidenze raccolte ha permesso di concludere, recentemente, che esiste effettivamente una correlazione, sia negli adulti che nei bambini.
Dormire poco interferisce con la regolazione del rilascio ormonale e con il metabolismo del glucosio, e può causare la superproduzione di un ormone in particolare, la grelina, che stimola l’appetito.
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