C’è chi vivrebbe con lo zaino in spalla e chi, alla sola idea di una vacanza, anche la più tranquilla, rabbrividisce.
C’è chi non vede l’ora di partire, qualunque sia la destinazione, e chi è disposto a fare le valigie solo se la meta è quella dell’anno precedente e di quello ancora prima.
L’atteggiamento psicologico, insomma, è variegato. E se agli estremi di questo campionario ci sono i “vagabondi” e “gli stanziali”, nel mezzo si trovano infinite sfumature.
Lì si colloca la maggior parte delle persone che viaggiano, ma non di continuo.
Sei tra quelli che al ritorno da un viaggio pensa già a quello successivo? Forse hai il gene del viaggio, un recettore che alza il livello normale della curiosità.
Lo dicono gli psicologi, che però avvertono: quando diventa un’ossessione, c’è qualcosa che non va.
1. La paura di perdere il controllo
C’è chi vivrebbe con lo zaino in spalla e chi, alla sola idea di una vacanza, anche la più tranquilla, rabbrividisce.
C’è chi non vede l’ora di partire, qualunque sia la destinazione, e chi è disposto a fare le valigie solo se la meta è quella dell’anno precedente e di quello ancora prima.
L’atteggiamento psicologico, insomma, è variegato. E se agli estremi di questo campionario ci sono i “vagabondi” e “gli stanziali”, nel mezzo si trovano infinite sfumature. Lì si colloca la maggior parte delle persone che viaggiano, ma non di continuo.
Del resto, muoversi fa parte delle caratteristiche degli animali, noi compresi. Si tratta di un atteggiamento dettato dalla necessità di procacciarsi il cibo, esplorare l’ambiente e andare in cerca di novità.
Il bisogno di varietà, infatti, ci caratterizza come essere umani (basti pensare alla varietà del cibo che ingeriamo, alle diverse attività che facciamo e così via).
Per studiare le diverse personalità si fa capo alla teoria dei Big Five: coppie di opposte caratteristiche che qualificano cinque grandi tipi di personalità e cioè l’estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale.
Anche quando si parla di viaggiatori e sedentari si può far riferimento a queste categorie. Chi desidera viaggiare è, in genere, caratterizzato da curiosità, interesse per la cultura e apertura all’esperienza.
Non che il sedentario non presenti affatto queste caratteristiche, ma in lui prevale la paura di perdere il controllo.
Chi non ha nessuna voglia di partire è infatti tendenzialmente un tipo estremamente coscienzioso, che prova ansia all’idea di mettersi in viaggio e non affronta bene gli imprevisti, fonte di stress e nervosismo perché determinano un’improvvisa perdita di controllo.
2. Desiderio spasmodico che dà tanta felicità
Partire implica distaccarsi da qualcuno o, soprattutto, da un luogo caro, fatto di certezze e abitudini consolidate.
Può essere faticoso. Basti pensare a chi prepara i bagagli in maniera minuziosa e con largo anticipo.
Per questi soggetti, la partenza è talmente complessa da comportare un enorme stress, che viene trasmesso ai conviventi. Il risultato è che piuttosto di affrontare questa situazione, si preferisce rinunciare a viaggi e vacanze e si resta a casa.
All’opposto, c’è anche chi vive in funzione dei viaggi he arrivano a diventare un’ossessione, e cioè il modo per evadere dalla realtà. Rappresentano una specie di anestesia alla noia.
È proprio quando non c’è nulla che soddisfi davvero che si progettano viaggi in continuazione. Il desiderio di fuga nasconde un profondo senso di insoddisfazione e, talvolta, persino la depressione.
Il bisogno spasmodico di viaggiare svolge un ruolo compensatorio, alla stessa stregua dello shopping compulsivo o del gioco d’azzardo.
Si chiama sindrome del sensation seeker (letteralmente, cercatore di emozioni) e si riferisce a un tipo di personalità che ricerca spasmodicamente sensazioni nuove e intense. Spesso chi è affetto da questa sindrome è un viaggiatore incallito.
Ciò non toglie che, se si è animati da una sana curiosità, viaggiare può dare molta felicità. Ancora più dei soldi.
Lo hanno dimostrato, anni fa, alcune ricerche dello psicologo Howard Gardner, docente di cognitivismo all’Università di Harvard (Massachusetts, Usa) che ha misurato la soddisfazione di chi aveva vinto grosse somme di denaro alla lotteria, confrontandola con la soddisfazione di chi aveva compiuto un viaggio o era stato in vacanza più volte nel corso dell’anno.
Secondo lo studioso, viaggiare dà benessere perché libera la mente, spezza la routine, incrementa la capacità di entrare in relazione con gli altri e modifica la percezione del mondo.
3. Viaggiare fa bene al cervello
"Viaggiare fa bene al cervello perché lo rende più attivo. Vedere posti nuovi, infatti, attiva la nostra mente e la rende più efficiente", sostiene Enzo Soresi, oncologo, tisiologo e autore de Il cervello anarchico (Utet, 2013).
Anche un’equipe di ricercatori del Brain & Mind Research Institute dell’Università di Sidney ha messo in rilievo in uno studio del 2012 che coloro che viaggiano frequentemente hanno una maggiore densità neuronale e che il loro cervello è caratterizzato da un maggior spessore del lobo corticale frontale.
In altre parole, le esperienze che viviamo in viaggio fanno sì che nel cervello si creino nuove connessioni tra i neuroni e quindi ne incrementano l’attività, aumentando le capacità cognitive.
Viaggiare inoltre contribuisce alla remissione di alcune patologie psicosomatiche.
Lo testimonia l’esperimento effettuato nel 2013 dai ricercatori dell’University of Southern Maine di Portland (Usa) su un gruppo di 74 veterani di guerra, compresi tra i 33 e 60 anni e affetti da disturbo post traumatico da stress.
La sperimentazione, che consisteva nell’osservare le variazioni dell’umore e una serie di altri parametri durante una breve vacanza in campagna dei soggetti, ha dimostrato una netta riduzione dell’ansia e del grado di depressione, ricorrenti nelle persone sopravvissute a disastri, persistente anche dopo sei settimane dal rientro dal viaggio.
4. Il gene che fa la differenza
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Evolution and Human Behaviour, il bisogno di esplorare dipenderebbe dal cosiddetto “gene del viaggio” e cioè dal recettore della dopamina D4 (DRD4 7r).
Questo gene regolerebbe il nostro livello di curiosità e ci renderebbe più o meno sensibili agli stimoli esterni.
La sua funzione è collegata a quella della dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per la regolazione del tono dell’umore. Solo il 20 per cento della popolazione ha, però, alti livelli di DRD4 7r nel proprio corredo genetico.
Secondo Chaunsheng Chen, docente di Psicologia e comportamento sociale all’Università del Michigan (Usa), «è più facile che il gene si trovi in popoli che sono migrati e che hanno percorso notevoli distanze centinaia di anni fa».
Un altro studio, condotto da David Dobbs della National Geographic Society, supporterebbe queste teorie. Secondo il ricercatore, «il DRD4 appartiene a persone che sono più propense di altre a correre rischi, esplorare posti nuovi, provare nuovi cibi, nuove relazioni e nuove avventure sessuali».
Nevrotici, non abitudinari... Coloro che hanno paura del nuovo e per i quali tutto ciò che è inusuale è terrorizzante appartengono alla categoria dei “neofobi".
Il significato sta nell’etimologia della parola: fobia del nuovo ed è questo il motivo per cui optano sempre per le stesse vacanze, nello stesso hotel, arrivando addirittura a prenotare la stessa camera d’albergo anno dopo anno. Non si tratta quindi di semplici abitudinari.
5. Ecco alcuni tra i più grandi viaggiatori della storia
1) Alessandro Magno (356 a.C.-323 a.C.)
Alessandro III il Macedone, re di Macedonia, faraone d’Egitto, re di Persia e re dell’Asia. Il suo sogno era riunire tutti i popoli del mondo in un grande regno universale. Con il suo esercito attraversò l’Asia Minore e giunse fino in India.
2) Marco Polo (1254-1324)
Esploratore e commerciante veneziano, autore de Il Milione, aprì le porte dell’Asia al mondo occidentale.
Marco non visitò solo i Paesi dell’Estremo Oriente, ma divenne amico e consigliere di sovrani e generali e trasmise ai suoi contemporanei la curiosità per i mondi lontani. Fu il primo occidentale a descrivere approfonditamente la Cina, il Tibet, la Birmania e l’India.
3) Cristoforo Colombo (1451-1506 )
Esploratore e navigatore genovese, divenne suddito del Regno di Castiglia. Per conto dei sovrani di Spagna fece quattro viaggi verso le Americhe (Caraibi, America centrale e Meridionale) tra il 1492 e il 1502.
4) Charles Darwin (1809-1882)
Naturalista e geologo inglese, Darwin è il padre dell’evoluzionismo. Per approfondire i suoi studi, dovette fare lunghi viaggi. Navigò intorno al mondo toccando le coste di Sudamerica, Galapagos, Tahiti, Australia, Mauritius e Sudafrica.
5) Fridtjof Nansen (1861-1930)
Norvegese, padre delle esplorazioni polari. È stato il primo ad attraversare la Groenlandia (1888-89) e a navigare nell’Oceano Artico (1893-95).
Durante una delle sue spedizioni trascorse 9 mesi su un’isola artica, nutrendosi di orsi polari e trichechi. Le sue innovazioni tecnologiche sono usate ancora oggi nelle spedizioni polari.
6) Jack Kerouac (1922-1969)
Pioniere della beat generation, il suo viaggio attraverso gli Stati Uniti gli ha ispirato il celebre romanzo On the Road (1951). Viaggiava senza un soldo in tasca, elemosinando passaggi e mantenendosi con lavoretti saltuari.
7) Yuri Gagarin (1934-1968)
Cosmonauta russo, fu il primo uomo a volare nello spazio portando con successo a termine la propria missione il 12 aprile 1961.