Che cosa è successo nei 165 milioni di anni in cui questi mostri hanno dominato il mondo?
Ecco le nuove teorie e le scoperte più sorprendenti!
Il cianuro ci dà una mano (ha favorito la nascita della vita sulla Terra e potrebbe aiutarci a trovare gli alieni)…
1. Il cianuro era presente nell’atmosfera della terra e può attivare reazioni che producono molecole organiche
Nonostante sia più conosciuto come il veleno che prendono le spie quando, nei thriller di cattivo gusto, vengono catturate, il cianuro ha anche qualche pregio: potrebbe, infatti, aver contribuito all’evoluzione della vita sulla Terra.
I chimici di Scripps Research ritengono che, se lo cerchiamo su pianeti alieni, potrebbe anche dare una mano a localizzare eventuali forme di vita nell’Universo.
I paleo-ricercatori hanno scoperto che questo composto chimico, che contiene un atomo di carbonio legato a un atomo di azoto, potrebbe aver attivato le prime reazioni metaboliche sulla Terra, trasformando l’anidride carbonica in composti più complessi a base di carbonio.
Le reazioni metaboliche generano energia dal cibo e sono essenziali per sostenere la vita.
Ramanarayanan Krishnamurthy, professore associato di chimica presso lo Scripps Research, afferma: “Quando cerchiamo segni di vita – sia sulla Terra primordiale che su altri pianeti – basiamo la ricerca sulle componenti biochimiche che sappiamo esistere al giorno d’oggi. Il fatto che queste stesse reazioni metaboliche possano essere generate dal cianuro dimostra che la vita può avere caratteristiche molto variabili”.
Per arrivare a questa scoperta, il team ha focalizzato l’attenzione su una serie di reazioni chimiche, note come ciclo inverso dell’acido tricarbossilico (o ciclo di Krebs inverso), date dalla combinazione di anidride carbonica e acqua per la creazione dei composti più complessi, necessari per la vita.
Questo tipo di ciclo viene utilizzatoda alcuni batteri, ma si basa sull’uso di proteine complesse che non erano presenti sul nostro Pianeta quattro miliardi di anni fa.
Dal momento in cui studi precedenti hanno dimostrato che alcuni metalli possono innescare le stesse reazioni in condizioni di estremo caldo e altamente acide, il team di Scripps ha avuto l’intuizione che anche un’altra sostanza chimica possa essere in grado di farlo, solo in condizioni meno violente, come quelle viste sulla Terra primordiale.
Allora, si sapeva già che il cianuro era presente nell’atmosfera, quindi gli studiosi hanno definito una serie di reazioni che avrebbero potuto potenzialmente utilizzare il cianuro per la trasformazione dell’anidride carbonica in molecole organiche complesse e le hanno poi testate in laboratorio.
“Era inquietante quanto fosse semplice – dice Krishnamurthy – e infatti non abbiamo dovuto fare nulla di speciale, abbiamo semplicemente mescolato insieme le molecole e aspettato: la reazione è avvenuta spontaneamente”.
Sebbene l’esperimento non fornisca le prove che il cianuro fosse effettivamente coinvolto in questo processo sulla Terra primordiale, esso offre un nuovo modo di riflettere sull’origine della vita e magari una nuova modalità di ricerca della vita su altri pianeti.
2. I vulcani favorirono l’evoluzione dei dinosauri
Triceratops, Stegosaurus, Tyrannosaurus rex, Diplodocus... A quanto pare, le centinaia di specie di dinosauri che conosciamo oggi potrebbero essere nate proprio grazie ai vulcani, un team internazionale di ricercatori ci spiega come.
Durante il Triassico superiore, tra i 234 e i 232 milioni di anni fa, si scatenò un evento noto come Episodio Pluviale Carnico (CPE), identificato prima solo come cambiamento climatico.
Inizialmente, il supercontinente Pangea era secco e arido, ma il clima da “mega monsoni” del CPE ha portato a un aumento della temperatura e dell’umidità globali. Questa trasformazione delle condizioni atmosferiche ha avuto un impatto sulla vita vegetale e animale.
Jason Hilton, coautore della ricerca, afferma: “Nell’arco di circa due milioni di anni, tutta la vita del Pianeta ha subìto dei cambiamenti radicali, come alcune estinzioni selettive nel regno marino e l’aumento della diversità dei gruppi vegetali e animali sulla terraferma”.
In seguito all’analisi dei sedimenti e reperti fossili provenienti dalla Cina settentrionale, i ricercatori suggeriscono che l’attività vulcanica possa aver portato al significativo cambiamento climatico osservato durante il CPE. Così, il team di ricerca ha individuato quattro eventi distinti all’interno di tale periodo, ognuno dei quali caratterizzato da una potente eruzione vulcanica.
Queste eruzioni hanno liberato enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, che hanno quindi inevitabilmente innescato un aumento della temperatura e dell’umidità globali. La probabile origine di queste eruzioni fu la grande provincia ignea di Wrangellia, i cui resti sono conservati oggi in Nord America.
Emma Dunne, paleobiologa all’Università di Birmingham, che non è stata coinvolta nella ricerca, commenta: “Questo periodo, relativamente lungo, di attività vulcanica e cambiamenti ambientali potrebbe aver portato a conseguenze significative per gli animali sulla terraferma. A quel tempo, i dinosauri avevano appena iniziato a diversificarsi ed è probabile che, in assenza di questo evento, non avrebbero mai raggiunto la dominanza ecologica, che vediamo perdurare nei prossimi 150 milioni di anni”.
Oltre ai dinosauri, il CPE è stato importante anche per lo sviluppo delle conifere moderne e ha avuto un enorme impatto sull’evoluzione di felci, coccodrilli, tartarughe, insetti e mammiferi primitivi.
Steve Brusatte, paleontologo dell’Università di Edimburgo, che non è stato coinvolto nella ricerca, spiega: “Circa 232 milioni di anni fa, i dinosauri si sono evoluti dai loro piccoli e umili antenati e hanno iniziato a diversificarsi. Anche se, su questo punto, le prove sono un po’ circostanziali, c’è motivo di credere che questo cambiamento da condizioni più secche a più umide abbia contribuito a innescare la crescita dei dinosauri”.
E aggiunge: “Questo nuovo studio porta la storia un passo avanti e implica che le grandi eruzioni vulcaniche siano intese come causa del cambiamento climatico. Mettendo insieme i pezzi, sembra che ci sia stata una reazione a catena nel Triassico: alcuni grandi vulcani eruttano, cambiando il clima da secco a umido e catalizzando la diffusione dei dinosauri. Questo dimostra come i grandi cambiamenti climatici possano essere la causa delle estinzioni, ma possano avere anche grandi ripercussioni sull’evoluzione, aiutando alcuni gruppi a prosperare e a diffondersi”.
3. Appena nati, gli pterosauri erano già in grado di volare
Secondo una ricerca dell’Università di Portsmouth, gli pterosauri, un gruppo di rettili volanti presenti sulla Terra da 228 a 66 milioni di anni fa, potrebbero essere stati in grado di volare non appena usciti dall’uovo.
Un team di scienziati ha analizzato quattro fossili di neonati ed embrioni precedentemente rinvenuti di due specie di pterosauri, Pterodaustro guinazui e Sinopterus dongi.
Hanno confrontato le misure delle ali, insieme alle dimensioni e alla forza dell’omero, con quelle degli pterosauri adulti delle stesse specie.
“Questi piccoli animali – con un’apertura alare di 25 cm e corpi che possono stare perfettamente in una mano – erano volatori molto forti e capaci “sostiene il coautore dello studio, Mark Witton.
” Le loro ossa erano abbastanza forti da sostenere il battito d’ali e il decollo e le loro ali erano perfettamente modellate per il volo a motore, al contrario del volo planante. Tuttavia, non avrebbero potuto volare esattamente come i loro genitori, semplicemente per via del fatto che erano molto più piccoli: le capacità di volo sono infatti fortemente influenzate dalle dimensioni e dalla massa, e quindi, i cuccioli di pterosauro, essendo centinaia di volte più piccoli dei loro genitori, erano probabilmente più lenti e agili degli adulti, che potevano certo coprire distanze più ampie, ma al contempo si muovevano con maggiore difficoltà”.
I ricercatori hanno scoperto che le ali dei cuccioli erano lunghe e strette, adatte al volo a lunga distanza, ma comunque più corte e più larghe di quelle degli pterosauri adulti, con un’apertura alare più ampia rispetto alla loro massa e dimensione corporea.
Questo comporta che, quando si trattava di percorrere lunghe distanze, i cuccioli erano probabilmente meno funzionali degli pterosauri adulti, ma forse erano più agili e capaci di rapidi e improvvisi cambi di direzione e velocità.Secondo i ricercatori, ciò potrebbe averli resi più adatti, rispetto agli pterosauri adulti, all’inseguimento di prede veloci e al volo in mezzo a una fitta vegetazione.
“Gli studi che abbiamo fatto – conclude Witton – ci danno molto da pensare per quanto riguarda l’ecologia di questi rettili volanti. Quanto erano indipendenti i cuccioli dai loro genitori? Le scelte sul loro habitat sono state influenzate dal loro modo di volare? Si sono dovute modificare man mano che gli pterosauri crescevano? C’è ancora molto da imparare sulla vita di questi animali, ma siamo fiduciosi che, qualunque cosa fossero in grado di fare durante il loro periodo di sviluppo, erano già in grado di volare dal momento in cui si erano schiuse le uova”.
4. Il Tyrannosaurus rex era un tipo schizzinoso
Proprio quando si pensava che il re dei dinosauri non potesse essere più terrificante di così, ecco che uno studio condotto da ricercatori giapponesi scopre che il T. rex potrebbe essere stato addirittura in grado di individuare le parti più appetibili e gustose della sua preda.
Un team di ricercatori presso l’Institute of Dinosaur Research dell’Università di Fukui, in Giappone, ha ricostruito, tramite tecniche di tomografia computerizzata (CT), la complessa struttura dei vasi sanguigni e dei nervi trovati nella mandibola di un fossile di T. rex originariamente rinvenuto nella Formazione Hell Creek, nel Montana.
Confrontando i dati con le scansioni di altri dinosauri come il Triceratops, insieme a quelle di uccelli e coccodrilli attualmente viventi, sono stati in grado di stabilire che il T. rex aveva sensori nervosi nella punta della mascella che gli consentivano di rilevare e selezionare più facilmente i bocconi più gustosi.
“Il T. rex – afferma Soichiro Kawabe, principale autore dello studio – era un predatore molto più temibile di quanto credevamo. I risultati delle nostre ricerche mostrano che i nervi nella sua mandibola sono distribuiti in maniera più complessa di quelli di qualsiasi altro dinosauro studiato fino a oggi e sono inoltre paragonabili a quelli dei coccodrilli moderni e degli uccelli foraggiatori, dai sensi particolarmente sviluppati. Questo significa che il T. rex era in grado di percepire le sottili alterazioni nel materiale e nel movimento e indica che era potenzialmente in grado di riconoscere le diverse parti della sua preda e mangiarle in maniera diversa a seconda della situazione”.
È un po’ come un orso che decide di mangiare solo la testa di un salmone, se è già pieno.
I risultati di questo studio fanno eco ai risultati di altri studi sui teropodi, tra i quali quello sul cranio di un Daspletosaurus, e sui nervi e i vasi sanguigni nella mascella di un Neovenator. E, a detta dei ricercatori, è molto probabile che le aree facciali di tutti i teropodi fossero altamente sensibili.
Kawabe conclude: “Tutto ciò cambia del tutto la nostra vecchia percezione del T. rex come un dinosauro dalla bocca insensibile, che mangiava di tutto e di più e che mordeva qualsiasi cosa, ossa incluse”.
Nella foto sotto, la distribuzione dei nervi nella mascella inferiore del T. rex gli permetteva di scegliere i bocconcini più gustosi.
5. Ricostruito nei minimi dettagli un antico rettile delle dimensioni di un gatto
I fossili rinvenuti in Scozia più di 100 anni fa sono stati finalmente identificati come appartenenti ai parenti dei rettili volanti che governavano i cieli nell’era dei dinosauri.
I ricercatori del Museo nazionale scozzese hanno identificato il primo antenato dello pterosauro Scleromochlus taylori tramite i calchi delle impronte lasciate nell’arenaria da diversi esemplari del rettile, trovati nel nord-est della Scozia.
Hanno quindi scansionato queste impronte e ricreato gli scheletri degli animali utilizzando un software di modellazione 3D.
Ciò ha permesso loro di mettere insieme tutti i dettagli anatomici e di inserirli nell’albero genealogico dei Lagerpetidae, per l’appunto i parenti più stretti degli pterosauri.
Lo Scleromochlus aveva più o meno le dimensioni di un gatto e viveva in quello che oggi è Elgin, nella Scozia Nord orientale, circa 235 milioni di anni fa.
Sotto, uno dei campioni di arenaria utilizzati nello studio, con l’impronta dello Scleromochlus ben visibile al centro.
Sebbene i fossili siano stati trovati per la prima volta all’inizio del Novecento, è stato difficile classificarli per via delle difficoltà nell’identificazione corretta dei piccoli dettagli nella sua anatomia.
Davide Foffa, direttore della ricerca ed ex ricercatore associato del Museo nazionale scozzese, è felicissimo: “È esaltante – dice – sapere di aver risolto un dibattito che va avanti da oltre un secolo. Ma è ancora più sorprendente essere in grado di vedere e conoscere un animale vissuto 230 milioni di anni fa e scoprire la sua parentela con i primi animali che abbiano mai volato”.
Sotto, lo Scleromochlus era lungo circa 20 cm dal naso alla coda, con arti lunghi e aggraziati.