Era il 1° maggio del 305. A Nicomedia, nel nord-ovest dell’attuale Turchia, si verificò un episodio senza precedenti nella storia dell’impero romano.
L’imperatore Diocleziano abdicò e subito dopo riferì la sua intenzione di trasferirsi nel palazzo-fortezza che si era fatto costruire a Spalatum, l’attuale Spalato, sulla costa dalmata che lo aveva visto nascere.
Prima di allora nessun imperatore aveva lasciato il potere di sua spontanea volontà né aveva preferito l’oblio di una vita dimessa ai lussi della capitale.
Ma l’idea di ritirarsi aveva iniziato a prendere forma nella mente di Diocleziano il 20 novembre del 303, mentre la città di Roma si preparava a una serie di celebrazioni. Scopriamo insieme come si sono realmente svolti i fatti…
1. L’addio dell’imperatore
A quel tempo erano ormai circa vent’anni che Diocleziano aveva assunto il potere con il titolo di augusto per poi condividerlo con Massimiano e ne erano trascorsi dieci da quando aveva nominato due cesari subalterni per meglio difendere le frontiere: Costanzo a Occidente e Galerio a Oriente.
La sua decisione aveva dato inizio alla tetrarchia, la divisione dell’impero in quattro zone governate da un augusto o da un cesare.
Era poi passato un lustro da quando le milizie romane avevano sconfitto il re persiano Narseo (o Narsete) vendicando la cattura dell’imperatore Valeriano avvenuta quarant’anni prima per mano di Sapore I, un altro monarca persiano sasanide.
Roma scintillava dunque in tutto il suo splendore e Diocleziano poté contemplare soddisfatto i fori imperiali, i grandiosi templi pagani e perfino le terme appena concluse che avrebbero consegnato il suo nome all’eternità.
Dai tempi di Marco Aurelio nessun altro imperatore era rimasto per così tanto tempo al potere. Il suo regno, prossimo a festeggiare i vent’anni, aveva finalmente garantito un periodo di pace dopo un secolo di crisi economica, d’incertezza politica e di caos militare alle frontiere.
Nemmeno l’ultima grande persecuzione dei cristiani iniziata il 23 febbraio dello stesso anno avrebbe incrinato la gloria dell’imperatore.
E così, durante i fastosi festeggiamenti, il popolo esultò per le abituali corse di carri e gli spettacoli dei gladiatori e poté assistere a una straordinaria parata trionfale in cui, davanti al carro dell’imperatore, sfilarono le mogli, le sorelle e i figli dello sconfitto Narseo.
Tuttavia, il potere imperiale era ormai un pesante fardello anche per un uomo navigato come Diocleziano, che secondo alcune fonti aveva intrapreso la propria carriera militare in Gallia. Si diceva perfino che fosse figlio di schiavi o di un liberto che aveva lavorato come scriba per un senatore.
Nella foto sotto, cartina dell’impero romano durante il governo della tetrarchia. Sono evidenti i territori divisi tra i due cesari e i due augusti.
2. La scalata al trono
Nessuno sapeva come quell’uomo, che non era romano e che rispondeva al nome di Gaio Aurelio Valerio Diocle, fosse finito a quarant’anni a comandare la guardia a cavallo dell’imperatore Marco Aurelio Caro durante la campagna di quest’ultimo contro l’impero persiano.
Ma quel periodo oscuro doveva essere molto difficile e incerto, segnato da sanguinosi tradimenti, da una vertiginosa successione di governi effimeri e da grandi ribellioni che sorgevano ovunque.
Alla morte di Caro nel 283 nessuno dei figli era riuscito a imporsi: nel 284, dopo pochi mesi di governo, il minore, Numeriano era stato rinvenuto senza vita nella sua portantina e Diocle aveva trafitto con la spada il presunto assassino, il prefetto del pretorio Arrio Apro; il maggiore, Carino, aveva trovato la morte l’anno seguente nella battaglia del fiume Margus (Morava) mentre reclamava il trono che gli aveva usurpato Diocle.
Per quell’anno il veemente ufficiale conosciuto ora con il suo nome latinizzato, Diocletianus, era divenuto il vero padrone o dominus di Roma, riceveva gli onori divini in quanto appartenente alla stirpe di Giove ed era venerato come un padre benevolo perché aveva restituito la pace ai suoi sudditi.
Tuttavia era pure considerato una figura lontana, quasi invisibile dietro la cerchia di cortigiani e guardie del corpo e viveva recluso nei suoi molti palazzi; Diocleziano non amava partecipare a eventi pubblici, ma quando sporadicamente lo faceva il rigido protocollo gli impediva di goderne.
Il trono imperiale aveva trasformato quel rude soldato delle campagne danubiane in un meticoloso amministratore che alcuni consideravano un semplice burocrate. Ma in realtà sotto i numerosi strati di ermellino e i lussuosi tessuti di seta si dibatteva il fragile e caduco corpo di un uomo di sessant’anni. Per questo una volta terminate le celebrazioni trionfali, il 20 dicembre del 303 Diocleziano abbandonò improvvisamente la città di Roma.
Nella foto sotto, l'arco di Galerio. L’arco venne eretto a Tessalonica (Grecia) nel 303 per commemorare le vittorie dell’imperatore Galerio, uno dei tetrarchi, sui persiani sasanidi.
Secondo alcuni se ne andò contrariato per l’atteggiamento poco rispettoso della plebe che lo vessava continuamente con la sua sfrontatezza, ma era forse anche tormentato dalla malattia che l’avrebbe accompagnato per il resto della sua vita e nella quale altri intravedevano una punizione del Dio dei cristiani. Sia come sia, il 1° gennaio del 304 Diocleziano assunse formalmente a Ravenna il suo ultimo consolato onorifico.
Non sarebbe mai più tornato a Roma: forse riteneva di aver già lavorato abbastanza e di aver provveduto ad adottare le misure necessarie per l’incolumità dello stato, forse non aveva più l’energia per affrontare eventuali circostanze straordinarie che avrebbero messo in pericolo l’impero. Eppure rimaneva ancora del lavoro da fare e per quasi tutto l’anno successivo Diocleziano dovette fermarsi con Galerio presso le guarnigioni della frontiera settentrionale.
Dopo aver fornito le ultime istruzioni alle truppe danubiane trasferì la corte al palazzo di Nicomedia per trascorrervi la stagione fredda. Il silenzio dei mesi invernali veniva interrotto soltanto dalle voci che lo davano per morto e così il cesare orientale Galerio si recò presso la dimora imperiale per reclamare la successione.
Il 1° marzo del 305 una fugace apparizione di Diocleziano si limitò a confermare quanto fosse emaciato l’uomo che veniva di solito paragonato al dio supremo Giove.
Nella foto sotto, le terme di Diocleziano. Nel 298 Massimiano commissionò un complesso balneare che fu costruito a Roma e competeva con le terme di Caracalla. Fu dedicato a Diocleziano.
3. Verso Spalatum
Le sfarzose sale imperiali si riempirono allora di eunuchi – gli unici occhi e orecchi di cui allora disponeva Diocleziano –, i quali si affannarono ad allestire l’ultima e solenne cerimonia.
Il 1° maggio del 305 l’imperatore riunì le truppe alla presenza di Galerio, vicino alla stessa montagna in prossimità di Nicomedia dov’era stato proclamato imperatore più di vent’anni prima.
Con le lacrime agli occhi, Diocleziano confessò ai suoi uomini che si sentiva debole, che aveva bisogno di riposo e che aveva preso la decisione di abdicare.
Alcuni sostengono che Galerio avesse fatto pressioni in tal senso. I sospetti sembrano essere giustificati dal fatto che, proprio quello stesso giorno, a Milano Massimiano rinunciò formalmente al potere e si ritirò nei suoi possedimenti in Campania, mentre Galerio e Costanzo, dal canto loro, venivano proclamati augusti.
All’indomani della sua dichiarazione Diocleziano si tolse l’abito da imperatore e montò su un semplice carro che lo condusse per le strade di Nicomedia. Erano trascorsi diciotto mesi dai festeggiamenti per il ventennale del suo governo e quando partì per la Dalmazia Diocleziano non aveva più forze.
Nella foto sotto, la facciata del palazzo di Diocleziano che dava sul mare a Spalatum in un acquerello di Ernest-Michel Hébrard. 1909. École nationale supérieure des Beaux-Arts, Parigi.
Tempo prima aveva ordinato di costruire un maestoso palazzo su una baia nella penisola di Spalatum, vicino Salona, la sua città natale che aveva acquisito lo statuto di colonia grazie ad Augusto, il primo imperatore.
Con il nome di Martia Julia Salonæ, l’odierna Spalato era divenuta una cittadina di più di 60mila abitanti, parte dei quali al servizio di Diocleziano. I geografi greci dell’antichità avevano chiamato tale luogo Aspalathos in virtù dell’omonimo arbusto oggi comunemente conosciuto come ginestra spinosa, che cresceva in abbondanza sulle coste dell’Adriatico.
Si usava per produrre una grande varietà di profumi e oli essenziali. Probabilmente tale dettaglio botanico non sfuggì a Diocleziano, che una volta fuori dai giochi si dedicò con passione al giardinaggio in uno dei cortili del palazzo.
Chi fosse giunto via mare alla baia avrebbe notato una spettacolare galleria porticata con una loggia centrale riservata all’imperatore. Eppure, visto dal continente il palazzo di Diocleziano mostrava l’impenetrabilità di una fortezza protetta da torri e mura imponenti.
Era a tutti gli effetti la dimora di un imperatore-soldato: assomigliava a un castrum – un accampamento romano – e la sua organizzazione con un asse verticale e uno orizzontale che s’intersecavano al centro permetteva ai servitori di spostarsi in modo rapido ed efficiente, quasi fossero stati i membri di una guarnigione.
La struttura era isolata dall’esterno grazie alle spesse mura e alle torri di guardia disposte sui tre lati che davano sulla terraferma.
4. Clausura imperiale
Nonostante le ingenti misure di protezione il palazzo di Spalatum ostentava l’eleganza di una grande villa imperiale.
Gli interni erano decorati con lussuosi mosaici e colonne di marmo, mentre per adornare i portici e i peristili erano stati portati dei marmi greci dal Proconneso e da Caristo.
Non solo: intere colonne erano state sradicate dai templi egizi ed elementi in porfido e granito erano arrivati da Assuan.
Gli appartamenti privati di Diocleziano si affacciavano sul mare e quindi chi si fosse avventurato su una barca avrebbe potuto osservare l’imperatore mentre era dedito ai suoi passatempi quotidiani.
A suo modo Diocleziano voleva coltivare un’immagine di normalità e semplicità pur limitando l’accesso alla sua persona per ragioni di sicurezza. Egli si allontanò dal palazzo di Spalatum in una sola occasione, quando Galerio lo convocò all’incontro di Carnuntum, nell’attuale Austria, l’11 novembre del 308.
Lì in molti gli chiesero di tornare al potere perché l’impero era troppo difficile da amministrare, ma lui rispose: «Se aveste visto l’orto che coltivo con le mie mani, non mi avreste mai fatto una simile proposta».
Nonostante il rifiuto la spirale di discordia in cui era precipitato l’impero dopo l’abdicazione amareggiò comunque i suoi ultimi anni: Galerio, ormai influente augusto d’Oriente, infranse la promessa di nominare come cesari Costantino e Massenzio, figli del cesare Costanzo Cloro e dell’augusto Massimiano.
Quest’ultimo, che era stato costretto a ritirarsi, tornò dalla Campania e si autoproclamò nuovamente augusto. Il sistema di governo pensato da Diocleziano fallì miseramente lasciando il posto a una cruenta guerra civile.
Nella foto sotto, il palazzo di Diocleziano. Durante il Medioevo il palazzo di Diocleziano fu occupato dalla popolazione locale e al suo interno vennero costruite delle case. Al giorno d’oggi l’insieme romano è completamente assimilato nel centro di Spalato.
5. Un amaro finale
Alla morte dell’augusto Galerio nel 311 la figlia e la moglie di Diocleziano subirono la confisca delle loro proprietà, furono condannate all’esilio e mesi dopo morirono decapitate a Tessalonica per ordine di un nuovo augusto, Licinio.
Le statue di Diocleziano vennero abbattute e s’iniziò a rinnegare l’imperatore e la sua eredità.
Ciononostante, tutti riconoscevano che Diocleziano era stato un grande statista capace di guidare l’impero romano in uno dei momenti più critici della sua storia.
Probabilmente il suo errore fu quello di volersi proporre come modello di umiltà rinunciando quindi alla società proprio quando si trovava al culmine del potere.
La morte di Diocleziano non è chiara in diversi suoi aspetti. Per cominciare c’è l’incognita della data: di sicuro morì un 3 dicembre, ma non c’è certezza sull’anno, anche se oggi si tende a credere che fosse il 313.
Un altro dubbio riguarda la causa della morte. Lattanzio, autore cristiano e quindi ostile a Diocleziano, assicura che non fu più in grado di nutrirsi a causa della malattia e che, «sfinito dall’angoscia mentale, spirò».
Secondo un compendio di biografie degli imperatori risalente alla fine del IV secolo Diocleziano, ormai vecchio, umiliato e solo nel suo magnifico palazzo si diede la morte.
Nella foto sotto, la cattedrale di Spalatum. Agli inizi del VII secolo i cristiani trasformarono il mausoleo di Diocleziano in una cattedrale. Nel XIII secolo vi si aggiunse un alto campanile.